Essere 'matrigna': "Sono non-madre della figlia di un'altra ed è meraviglioso"

"Personalmente non mi sento affatto arcigna e dispotica come accadrebbe in tale ruolo in quei racconti tanto celebri quanto colmi di principi e principesse: certe fiabe sono infatti obsolete e vetuste, raccontano bugie ma sono tramandate per pigrizia ideologica, per codardia".

Gio è un’amica, una di quelle che si vedono e si sentono troppo poco e finiscono per diventare, che peccato, conoscenti o amiche di Facebook per le quali, però, coltivi un affetto speciale.

Non sentivo Gio da parecchio tempo quando condivisi sulla mia pagina Facebook personale questo mio articolo

Lo commentò anche Gio, che non è madre, ma “matrigna” della bellissima bambina che il suo compagno ha avuto da una precedente relazione.
Le parole non vanno dette a caso e sì, uso “matrigna” con cognizione di causa, perché è uno di quei vocaboli che portano già in sé lo stereotipo da vessatrice di Cenerentola e un pregiudizio antico.

Con il permesso di Gio, riporto il suo post, che parla di quelle donne di cui nessuno parla mai: le matrigne, donne con o senza figli, che sono parte integrante della vita dei nostri figli quando mamma e papà si separano; donne che amano i nostri figli e che i nostri figli amano a loro volta.
Non sempre, non per forza, ma in una famiglia allargata dove a fare da collante è l’amore sì.

Queste sono le parole di Gio:

Non sai quante “amiche storiche” e più “grandi” mi abbiano spesso rivolto frasi discutibili come “Non sei mamma, non puoi capire quanto sia stanca”, valorizzando soprattutto la parte negativa della loro scelta e non la gioia infinita che essere madri – come realizzare ogni sogno singolo o condiviso – immagino implichi. Forse per sfogo, forse per miopia. Il risultato è che oggi con queste amiche non ci si vede purtroppo quasi più: come se essere madri crei muri tra chi lo è e chi no; come se non si fosse più le donne di prima, con confidenze da scambiare e rapporti d’amicizia da curare. E a me di questo distacco tanto evidenziato spiace ancora, pensa.

Così come mi spiace aver a che fare, episodio dopo episodio, con la chiusura, il giudizio facile. Non mi dispiace, però, avere oggi più tempo per frequentare il mio ragazzo e la sua bambina, che nel frattempo ho avuto la fortuna di incontrare e con i quali ho deciso di impegnarmi in un rapporto sereno e stimolante. Non sai quanto stia scoprendo e mettendo in gioco le “capacità materne” che ho e coltivo con dedizione, anche se non ho figli. Non sai quanto me ne freghi di chi dice che “gioco” a far la mamma”, ma sai il potere dell’amore più puro e quindi che i “giochi” nella vita sono molti, ma non sempre hanno a che fare con la maternità effettiva o “empatica”. E sai che ogni sforzo, impegno, responsabilità che ti assumi è ripagato da una micro-briciola dell’affetto espresso dalle creature, pure a te che non sei la mamma naturale.

Anche le donne che di figli non ne hanno ancora dati alla luce (avendo fatto finora o chissà altre scelte, come me), ma si trovano – con gioia – a crescere quelli di chi li ha avuti magari con uomini non amati abbastanza o sbagliati o ormai assenti, sanno quanto sia duro, a tratti, ma sempre meraviglioso, avere a che fare con dei bambini. E infine: come di chi fa le guerre alle “non mamme” – e grazie, cara mamma Ilaria, del tuo fortissimo pezzo -, non si parla mai nemmeno di chi una volta sarebbe stata definita “matrigna”.

Personalmente non mi sento affatto arcigna e dispotica come accadrebbe in tale ruolo in quei racconti tanto celebri quanto colmi di principi e principesse: certe fiabe sono infatti obsolete e vetuste, raccontano bugie ma sono tramandate per pigrizia ideologica, per codardia; l’importante è conservare, imparandolo solo dai più piccoli, l’apertura giusta per rinfrescarle dai pregiudizi, ridare loro continua nuova vita, farle evolvere. Senza dimenticare mai i diritti alla libertà, all’affermazione personale, all’uguaglianza e al rispetto, all’essere diversi. Senza rendere vane, come chiudi tu, tante battaglie condotte con successo da nostre grandi antenate.

Foto di Gio

A queste parole di Gio, sono seguiti vari scambi di chat, che parlano della sua esperienza di non mamma della bambina del suo compagno:

Ho conosciuto il mio ragazzo, sarà scontato, quando meno me lo aspettavo e nel posto che ritenevo meno probabile a incontri sorprendenti, poiché in 5 anni non mi era mai successo nulla di simile: quella mattina una bimba di poco più di due anni guardava la mia treccia, imbronciata perché fuori pioveva e non poteva andare ad accarezzare i cavalli, le ho quindi chiesto se ne volesse una simile per distrarla, la ho accontentata, fatta sorridere, mi ha abbracciata e poco dopo, lì, dietro i suoi occhioni dolci, ho incrociato lo sguardo autentico, grato e sorridente del suo papà.
Quella prima volta che l’ho visto ho pensato, nell’ordine: “Che bello! Che bravo papà! Vedi al maneggio chi si può incontrare? Uffa, tutti impegnati gli uomini così?”
Invece lui era single, da molto: da una relazione che non aveva funzionato era sbocciato uno splendido fiore; a dimostrazione che l’amore porta sempre, comunque, amore e a riprova che le emozioni passano e i sentimenti si costruiscono e ricostruiscono.
Ci ho messo molti mesi a lasciarmi andare con lui: avevo un’indicibile paura di una relazione salda, che già sapevo sarebbe stata non a due ma a tre.

Oggi quella bimba fantastica ha oltre 5 anni. Tutto fila. Da quell’episodio originario in poi la spontaneità di padre e figlia, il loro affetto totale mi hanno avvolta ed è stato impossibile non ricambiarli.
Il rapporto è cresciuto, le responsabilità anche. Tutto si è fatto più complicato: ho cominciato a sentir parlare di calendari, avvocati, a percepire il peso delle potenziali ripicche più vacue tra genitori separati.
Quando sei la compagna di un padre – a maggior ragione se con una bimba piccola – devi avere grande equilibrio, sapere che tu e i tuoi tempi verranno dopo quelli della piccola, non tanto in termini affettivi, ma di esigenze quotidiane.

Non so se sia meglio consigliare di tenere disgiunti i due mondi – la coppia e la genitorialità del compagno – per la propria autonomia e la loro (di padre e figlia, sempre nel caso che vivo) o amare semplicemente entrambi come ho fatto, senza fatica ma con totale naturalezza, io. Consapevole fin da subito tanto del mio ruolo fatto soprattutto di garbo e discrezione, leggerezza e maturità, presenza e indipendenza, quanto delle nostre serie intenzioni di coppia e dell’essere modello ed elemento femminile aggiuntivo per la bimba, così da creare per gradi una famiglia allargata: rassicurante, accogliente, stabile, gioiosa e arricchente per tutti.

Tutto si è fatto allora meraviglioso: niente mi stimola oggi di più dell’essere tornata a guardare il mondo con occhi puri e liberi da pregiudizi. Nonostante la mia famiglia tradizionale e “perfetta”, nonostante in passato pensassi che non sarei mai stata all’altezza di rapporti così spigolosi e delicati, nonostante oggi io non sia mamma.
Sarà che il nostro rapporto è iniziato con un triplice colpo di fulmine, sarà che non si è mai smesso di impegnarsi, tutti e tre insieme, a praticare la tolleranza e il rispetto della diversità, sarà che sono banalmente venuta – e fortemente desiderata – dopo, ma non ho mai pensato di essere gelosa della ex-compagna del mio fidanzato. Sono anzi fortunata ad aver potuto incontrare e amare di un sentimento condiviso e reciproco tra noi due (la piccola e io), la loro bambina: anche una donnina di nemmeno 3 anni, in fondo, sa scegliere con senno le persone di cui fidarsi, e trovatele, spera soltanto – e non posso che appoggiarla – che tutti coloro che le vogliono bene, un giorno, vadano d’accordo.

Il resto è, in fondo, una perdita di tempo, di energie, di umanità. Ci vogliono invece tanta pazienza, coraggio, empatia, determinazione, lucidità, lealtà con se stesse, capacità di lasciarsi andare, purezza d’intenti, in storie così, come la mia. Facile a dirsi, ma sono certa che anche una non-mamma, ogni donna forte in quanto tale e innamorata, possieda tutte queste virtù e le sappia mettere in pratica al meglio. Stare insieme non ammette paletti, ma insegna a superarli. Stare insieme a un compagno con prole permette di superare gli ostacoli se ognuno singolarmente ha chiari i propri sogni e sa come raggiungerli, fondendoli, armonizzandoli nella nuova famiglia.

E se tutto questo fosse capitato, al contrario, a me? Nei panni della mamma sarebbe meglio essere sterile o completamente gelosa nei confronti della nuova compagna dell’ex che frequenta pure la mia creatura o cercare, invece, per il bene della piccola/del piccolo (e di me stessa, dato che ogni attaccamento eccessivo, anche alle negatività, fa solo male) di aprire un dialogo costruttivo anche con la nuova coppia? Per me la risposta non ammette alternative. Nel mondo ideale. In quello reale, al meglio, l’importante credo sarebbe far sì che i bambini non risentano di rancori e polemiche: basta ascoltarli, giocare con loro, dare continuità ai loro ritmi quotidiani, coccolarli e lasciarli esprimere. Facile a dirsi, ma sono sicura che una brava mamma, ogni brava donna, lo sappia fare. Senza scuse.

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