Le ultime parole di Leelah Alcorn, che i genitori volevano maschio, prima del suicidio

Il 28 dicembre 2014 moriva Leelah Alcorn, nata nel corpo di un maschio e rifiutata come persona trans dai genitori. Nella sua lettera di addio il dolore per non essere accettata, e una preghiera a tutte le mamme e i papà: "Non dite mai a vostro figlio transessuale che non lo volete".

Era nata nel 1997 come Joshua Ryan Alcorn, ma lei voleva solo essere Leelah. Ha sempre voluto esserlo perché in quel corpo, così com’era nata, non ci si ritrovava proprio.

Quando però, a soli 14 anni, ha fatto coming out davanti ai genitori, Carla e Doug, si è sentita rifiutata, respinta, sbagliata.

Troppo dura, per quella coppia cresciuta nei valori della cristianità della Chiesa di Cristo di Cincinnati, accettare un figlio “diverso”, inammissibile concedere a Joshua il diritto di diventare chi sentiva di essere davvero… Leelah.

Così, non solo i suoi genitori non hanno accettato di accompagnare Leelah Alcorn al trattamento per il cambio del sesso, a 16 anni, ma l’hanno piuttosto spinta verso una terapia di conversione di matrice cristiana, con l’intento di ricacciare indietro il “demone”, per farle recuperare l’identità di genere con cui era nata. Anche se lei non voleva essere un maschio, anche se aveva ammesso di provare attrazione per i ragazzi. Per punirla, Carla e Doug la tolsero da scuola, poi la privarono di cellulare, social media, di qualunque contatto con il mondo esterno. Come se una figlia transessuale fosse una vergogna, un peccato mortale che doveva essere nascosto, sepolto sotto chili e chili di omertà e pregiudizio.

Troppa la solitudine, infinita la sensazione di sentirsi incompresa per Leelah Alcorn, che alla fine ha trovato maggiore consolazione nella morte. Si è tolta la vita il 28 dicembre 2014, a soli 17 anni, con il peso di una famiglia che non poteva accettarla e amarla per ciò che era, e la consapevolezza di essere vista come un “errore”.

Prima di uccidersi lanciandosi sotto un camion, alle 2:20, Leelah Alcorn ha lasciato un messaggio di addio, rivolto ai suoi genitori ma soprattutto a tutti i figli che faticano a trovare comprensione e appoggio in famiglie troppo preoccupate dalla “reputazione”, dal pensiero della gente, terrorizzate da quel concetto di “diverso” che ancora oggi serpeggia silenzioso, subdolo, malevolo, anche laddove ci si faccia vanto di apertura mentale e bontà d’animo. Ha programmato il messaggio in modo che fosse pubblicato automaticamente su Tumblr il giorno stesso della sua morte, poche ore dopo il suicidio. Questo il contenuto della lettera, pubblicato all’epoca da diversi siti.

“Se state leggendo questo messaggio, vuol dire che mi sono suicidata e quindi non sono riuscita a cancellare questo post programmato. 

Per favore, non siate tristi, è meglio così. La vita che avrei vissuto non sarebbe stata degna di essere vissuta… Perché sono transessuale. Potrei entrare nei dettagli per spiegare perché lo penso, ma questa lettera sarà già abbastanza lunga così. Per farla semplice, mi sento una ragazza intrappolata nel corpo di un ragazzo da quando avevo quattro anni. Per molto tempo non ho saputo dell’esistenza di una parola per definire questa sensazione, né che fosse possibile per un ragazzo diventare una ragazza, così non l’ho detto a nessuno e ho semplicemente continuato a fare cose convenzionalmente da maschi per cercare di adattarmi.

Quando avevo 14 anni ho imparato cosa volesse dire la parola ‘transessuale’ e ho pianto di gioia. Dopo dieci anni di confusione avevo finalmente capito chi ero. L’ho detto subito a mia mamma e lei ha reagito molto negativamente, dicendomi che era una fase, che non sarei mai stato davvero una ragazza, che Dio non fa errori e che ero io a essere sbagliata. Se state leggendo questa lettera: cari genitori, non dite così ai vostri figli.

Anche se siete cristiani o siete contro i transessuali, non dite mai questa cosa a nessuno: specialmente ai vostri figli. Non otterrete niente a parte far sì che odino se stessi. È esattamente quello che è successo a me.

Mia mamma ha iniziato a portarmi da terapisti ma solo da terapisti cristiani, tutti con molti pregiudizi, quindi non ho mai avuto le cure di cui avrei avuto bisogno per la mia depressione. Ho solo ottenuto che altri cristiani mi dicessero che sono egoista e sbagliata e che avrei dovuto cercare l’aiuto di Dio.

Quando avevo 16 anni mi sono resa conto che i miei genitori non mi avrebbero mai aiutata, e che avrei dovuto aspettare di compiere 18 anni per iniziare qualsiasi terapia e intervento di transizione, cosa che mi ha davvero spezzato il cuore. Più aspetti, più la transizione è difficile. Mi sono sentita senza speranze, sicura che avrei passato il resto della mia vita con le sembianze di un uomo. Quando ho compiuto 16 anni e ho capito che i miei genitori non avrebbero dato il loro consenso per farmi iniziare la transizione, ho pianto finché non mi sono addormentata.

Ho sviluppato nel tempo una specie di atteggiamento ‘vaffanculo’ verso i miei genitori e ho fatto coming out come gay a scuola, pensando che forse sarebbe stato più facile così un giorno dire che in realtà sono transessuale. Per quanto la reazione dei miei amici sia stata buona, i miei genitori si sono arrabbiati. Hanno pensato che volessi compromettere la loro immagine e che li stessi mettendo in imbarazzo. Volevano che fossi il classico piccolo perfetto ragazzo cristiano e ovviamente non era quello che volevo io.

Quindi mi hanno tirato via dalla scuola pubblica, mi hanno sequestrato il computer e lo smartphone e mi hanno impedito di frequentare qualsiasi social network, isolandomi così completamente dai miei amici. Questa è stata probabilmente la parte della mia vita in cui sono stata più depressa, e sono ancora stupita di non essermi uccisa già allora. Sono stata completamente sola per cinque mesi. Nessun amico, nessun sostegno, nessun amore. Solo la delusione dei miei genitori e la crudeltà della solitudine.

Alla fine dell’anno scolastico i miei genitori finalmente mi hanno restituito il mio smartphone e mi hanno permesso di tornare sui social network. Ero felicissima, finalmente potevo riavere indietro i miei amici. Ma solo all’inizio. Alla fine mi sono resa conto che anche a loro non importava molto di me, e mi sono sentita persino più sola di quanto fossi prima. Piacevo agli unici amici che pensavo di avere per il solo motivo che mi vedevano per cinque giorni ogni settimana.

Dopo un’estate praticamente senza amici unita al peso di dover pensare al college, di risparmiare per quando avrei lasciato casa, di tenere alti i miei voti, di andare in chiesa ogni settimana e sentirmi di merda perché in chiesa tutti sono contrari a quello che sono, ho deciso che ne ho abbastanza. Non completerò mai nessuna transizione, nemmeno quando andrò via di casa.

Non sarò mai felice con me stessa, col modo in cui appaio e con la voce che ho. Non avrò mai abbastanza amici da esserne soddisfatta. Non troverò mai un uomo che mi ami. Non sarò mai felice. Potrò vivere il resto della mia vita come un uomo solo che desidera essere una donna oppure come una donna ancora più sola che odia se stessa. Non c’è modo di averla vinta. Non c’è via d’uscita. Sono già abbastanza triste, non ho bisogno di una vita ancora peggiore di così. La gente dice che ‘le cose cambiano’ ma nel mio caso non è vero. Le cose peggiorano. Le cose peggiorano ogni giorno.

Questo è il succo, questo è il motivo per cui sento di uccidermi. Mi dispiace se per voi non sarà abbastanza una buona ragione, lo è per me. Per quel che riguarda le mie volontà, voglio che il 100 per cento delle cose che possiedo sia venduto e che il denaro (più i soldi che ho da parte in banca) siano donati a un movimento per il sostegno e per i diritti delle persone transessuali, non importa quale.

L’unico momento in cui riposerò in pace arriverà quando le persone transessuali non saranno più trattate come sono stata trattata io: quando saranno trattate da esseri umani, con sentimenti validi, sinceri e legittimi, e con dei diritti umani.

Le questioni di genere devono essere insegnate a scuola, prima è e meglio è. La mia morte deve significare qualcosa. La mia morte dev’essere contata tra quelle dei transessuali che si sono suicidati quest’anno. Voglio che qualcuno guardi a quel numero e dica ‘questa cosa è assurda’, e si occupi di sistemarla. Sistemate la società. Per favore.

Addio,

(Leelah) Josh Alcorn

Nel 2018 la regista Elizabeth Littlejohn ha realizzato un documentario ispirato a Leelah, Leelah’s Highway, presentato in anteprima al Woodward Theatre di Over-the-Rhine, in cui propone interviste con i suoi vicini e amici, con il reporter di Enquirer Sharon Coolidge che si è occupato della notizia del suo suicidio, e Jonah Yokoyama, direttore esecutivo del Heartland Trans Wellness Center di Mount Auburn. La regista ha fatto sapere di aver provato a contattare anche i genitori di Leelah Alcorn, ma di aver ricevuto un rifiuto.

Anzi, in un’intervista alla Cnn, Carla Alcorn ha dichiarato di non essere pentita per la morte della figlia, e continua a parlare di lei al maschile.

La condizione di transgender è contraria ai nostri principi religiosi. Gli dicevamo che comunque lo amavamo moltissimo. Gli volevamo bene a prescindere. Amavo mio figlio. Era un ragazzo buono e gentile.

Forse la tragedia di Leelah Alcorn potrebbe aprire gli occhi alle persone che ancora dubitano del fatto che non sia il sesso di un figlio a determinarne la qualità e le virtù, ma il suo essere; e che quando, come lei, si trova il coraggio per aprirsi con il mondo sfidando ogni preconcetto, e la forza per ammettere davvero come ci si sente a nascere in un corpo sbagliato, si dovrebbe solo ricevere appoggio, non condanna.

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