Aborto selettivo: dove si abortiscono le femmine, per far nascere i maschi

L’aborto selettivo, ossia basato sulla selezione del sesso del nascituro, è tuttora praticato in molte aree del mondo, dalla Cina all’India, dall’Azerbaigian al Montenegro, e contribuisce ad acuire la disparità di genere e lo squilibrio sociale. A discapito, ovviamente, delle donne.

La discriminazione di genere inizia dalla culla. Lo dimostrano i dati rilasciati dal British Medical Journal pochi mesi fa, nell’agosto del 2021, in base ai quali si stima che, entro il 2100, nei Paesi a forte “preferenza culturale per i maschi” 22 milioni di bambine non verranno al mondo.

Il motivo ha un nome preciso: si tratta della pratica dell’aborto selettivo, strettamente connesso ai retaggi culturali, sociali ed economici vigenti in alcune aree del mondo e fortemente deleteri per il loro sviluppo umano e tecnologico.

Un fenomeno che, però, non si limita solo alla Cina e all’India – ossia le nazioni in cui sono ancora preponderanti restrizioni governative sul numero di figli e pregiudizi classisti e di genere –, ma anche in buona parte dell’Europa, se pur con cifre lievemente più basse.

Vediamone i dettagli.

Aborto selettivo: che cos’è?

L’aborto selettivo, definito da molti anche “gendercide”, è un’interruzione volontaria di gravidanza motivata dalla decisione di porre fine alla gestazione sulla base del sesso del nascituro. Nello specifico, l’obiettivo è quello di tarpare, fin dai primi stadi di vita potenziale, lo sviluppo e la conseguente nascita di un feto femminile.

L’espressione, dunque, dovrebbe essere volta, per correttezza, in “aborto selettivo femminile”, dal momento che, a subirlo, sono solo le bambine ancora “in nuce” ed embrionali – in senso letterale. Alla base vi è, come sempre, un grave squilibrio di genere, meritevole di alimentare e rinforzare anche il clima di violenza contro le donne, marginalizzandole sempre di più.

Diffuso da secoli in diverse aree del mondo, ma soprattutto nel sud-est asiatico, l’aborto selettivo ha diverse cause. In India, per esempio, esso è correlato a questioni prettamente economiche: al momento del matrimonio, infatti, la sposa deve donare al futuro marito una dote, che, però, impoverirebbe notevolmente la famiglia d’origine.

In Cina, invece, le motivazioni sono perlopiù legate alle politiche restrittive del figlio unico, imposte dal Partito Comunista per rallentare, come si legge su Il Post, la crescita della popolazione, e che ha condotto, nel corso del tempo, ad aborti di feti femmina, sterilizzazioni forzate e abbandono delle neonate.

Il fenomeno si è acuito anche grazie alle tecniche di diagnosi prenatale a prezzi accessibili per tutte le fasce della popolazione, le quali hanno reso possibile intervenire sulla gestazione in modo repentino ed “efficace”. E a nulla sono servite le leggi che, specialmente in India, hanno tentato di ridurre la determinazione del sesso prima della nascita ai soli scopi medici, dal momento che esse sono state facilmente prevaricate con la diffusione di mercati illegali di test diagnostici.

Senza dimenticare, infine, le gravi conseguenze dell’aborto selettivo, tra cui spicca, in particolare, lo squilibrio demografico e la conseguente tensione per il mantenimento della sicurezza sociale, cui si associa anche il “bride trafficking”, ossia la “tratta delle spose” causata da una generale impossibilità da parte degli uomini di trovare moglie – proprio a causa del minor numero di donne in circolazione.

Aborto selettivo, numeri e dati

Ma di quali cifre si parla, esattamente? Secondo uno studio dell’UNFPA – United Nations Population Fund, l’aborto selettivo avrebbe condotto, dagli anni ‘70 a oggi, alla nascita mancata di circa 140 milioni di bambine.

A partire dagli anni ‘90 – come si legge sul sito –, in alcune aree sono state registrate fino al 25% di nascite maschili in più rispetto a quelle femminili. Il fatto che la selezione del sesso sia in crescita è allarmante, perché riflette il persistente status svantaggiato di donne e ragazze. Lo squilibrio tra i sessi che ne consegue, inoltre, ha anche effetti negativi sulle società. L’aumento dei casi di violenza sessuale e di tratta di esseri umani, per esempio, sono collegati a questo fenomeno.

La ricerca condotta dalla rivista scientifica Plos One, ancora, ha rilevato che entro il 2030, in India, l’aborto selettivo porterà a 6,8 milioni di nascite femminili in meno, e che, come si legge sempre su Il Post, questa pratica potrebbe sfociare, nei prossimi dieci anni, in un rapporto uomo-donna svantaggiato e pericoloso per la salute sociale.

Per comprendere meglio l’andamento del fenomeno, è utile prendere in considerazione le proporzioni (sex ratio at birth). Statisticamente, infatti, come riportato da L’Espresso, il rapporto tra i due sessi si annovera intorno ai 105 nati maschi ogni 100 femmine. La tendenza, tuttavia, ha subito una vertiginosa inversione negli ultimi decenni, e si attesta ora a una relazione di 117 maschi ogni 100 femmine (come in Azerbaigian), fino a toccare i 130 maschi ogni 100 femmine (come si registra in alcune aree rurali della Cina).

Le donne, insomma, sono sempre meno.

Dove viene praticato l’aborto selettivo

A essere fautrici dell’aborto basato sulla selezione del sesso, però, non sono solo la Cina e l’India. Come accennato, infatti, a esse si affiancano anche altre realtà, alcune delle quali non così lontane dalla nostra.

Un esempio è costituito dalla Norvegia e dall’Inghilterra, ma anche dalla Grecia e dall’Italia stessa, dove le persone delle comunità indiana, cinese e albanese, nonostante siano integrate in un ambiente culturale e sociale privo di discriminazioni prenatali, ricorrono spesso a quella che è stata definita “mascolinizzazione selettiva”.

L’aborto selettivo risulta, poi, praticato anche in Kosovo, nella Macedonia occidentale e in Montenegro. In quest’ultimo Paese, in particolare, il fenomeno è relativamente recente ed è causato dalla posizione marginale in cui versano le donne, le quali non sarebbero in grado di garantire la sicurezza familiare – a differenza degli uomini, “ovviamente” – e, per tale motivo, sono spesso rifiutate e “scartate” fin dalla nascita.

In ogni caso, dunque, quello femminile si configura come il sesso “sbagliato”, “difettoso”, “sconveniente”, un sesso che non ha diritto di esistere e che, in base a retaggi culturali, religiosi e sociali e a tradizioni vetuste, non potrebbe apportare alcun beneficio alla società in cui verrebbe alla luce. Confermando, ancora una volta, la discriminazione sempre più pervasiva nei confronti delle donne.

Aborto selettivo: controversie

L’aborto selettivo non manca di recare con sé molteplici controversie e, con esse, anche alcune voci a favore sostenute dai comparti più progressisti della società occidentale.

È il caso dell’Inghilterra, dove, nel 2013, il Daily Telegraph ha dimostrato come, sebbene illegale, l’aborto in base alla selezione del sesso fosse praticato senza particolari difficoltà. La magistratura britannica, interpellata, ha risposto che non sarebbe intervenuta perché, come si legge sul sito Tempi, l’aborto selettivo non è «nell’interesse pubblico».

Posizione cui si è accodata Ann Furedi, direttrice della più grande clinica abortiva inglese, la quale ha affermato che:

Se le donne non sono felici del sesso dei figli possono abortire. […] O accettiamo fino in fondo ogni scelta della madre, oppure no.

Un caso similare si è verificato anche in Canada, dove lo scorso anno il parlamento ha votato, con una maggioranza schiacciante, contro una legge che avrebbe reso un crimine eseguire un aborto “sapendo che questo sia ricercato esclusivamente sulla base del sesso genetico del feto”.

È inaccettabile – ha dichiarato Maryam Monsef, ministra per le donne e l’uguaglianza di genere – che nel 2021 i conservatori continuino a presentare proposte di legge contro la libertà di scelta: le donne, e solo le donne, hanno il controllo del proprio corpo.

La questione è sicuramente spinosa e discutibile, ma è indubbio che crei un cortocircuito all’interno delle stesse società progressiste, combattute tra la promozione totale della libera scelta delle donne sul proprio corpo, da un lato, e la lotta alla discriminazione di genere in tutte le sue forme e in tutte le sue “età”, dall’altro.

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