Aborto: tipologie, metodi e polemiche

Aborto è il nome che comunemente che si utilizza per parlare di un’interruzione di gravidanza, sia che avvenga in modo spontaneo, sia che si tratti di un’interruzione volontaria. Da anni, in Italia come in altre nazioni in cui l’interruzione volontaria è consentita entro i limiti della legge, esiste un vasto dibattito tra antiabortisti e pro-scelta. Abbiamo deciso quindi di addentrarci all’interno di questo delicato tema per fare un po’ di chiarezza.

Aborto: tipologie, metodi e polemiche

Tipi di aborto

Con “aborto” si intende l’interruzione di una gravidanza e quindi la rimozione del feto o dell’embrione dall’utero. Spesso si tende a utilizzare questo termine solo per indicare gli aborti indotti, ovvero quelli causati da un intervento esterno, mentre in realtà anche quelli spontanei rientrano nella categoria. Questi ultimi, seppure al di fuori delle polemiche etiche riguardanti questo tema, rappresentano in realtà la tipologia di aborti più diffusa. Infatti il 50%-70% dei concepimenti non progredisce oltre il primo trimestre, questo significa che la maggioranza degli aborti spontanei avvengono senza sintomi, talvolta quando la donna non è ancora a conoscenza di essere incinta. Un ritardo del ciclo mestruale spesso è causato proprio da questo. Per quanto riguarda invece le statistiche delle gravidanze consapevoli, il 15%-30% si conclude con un aborto, dunque una percentuale non irrisoria.

Le cause possono essere molteplici: la più diffusa è un’anomalia cromosomica del feto, che interessa per lo più gli aborti del primo trimestre, mentre problemi all’utero o alla cervice, stili di vita scorretti ed età troppo avanzata della madre possono portare a interruzioni più tardive. A volte può capitare di subire un aborto interno, ovvero la perdita di vitalità dell’embrione, che rimane però all’interno dell’utero e che va così verso un diverso destino in base allo stato della gravidanza (dal riassorbimento nelle prime settimane, alla disidratazione e mummificazione in quelle successive). In questi casi si renderà necessario uno svuotamento dell’utero con una delle pratiche di aborto indotto di cui parleremo più avanti. 

Gli aborti provocati interessano invece in media un quinto delle gravidanze totali, di cui più di un terzo sono indesiderate. Infatti sono proprio quest’ultime a rappresentare la principale motivazione che spinge le madri verso questa scelta.

Metodi per abortire

Esistono principalmente due metodi di aborto: quello farmacologico e quello chirurgico. L’aborto farmacologico è provocato da alcuni farmaci, tra cui la celebre pillola RU-486. È il metodo che interessa le interruzioni che avvengono nelle prime settimane di gravidanza, durante le quali ha un’efficacia molto alta. La RU-486 è stata autorizzata in Italia nel 2009 ed è entrata in commercio dall’anno dopo. Bisogna però fare attenzione a non confonderla con la pillola del giorno dopo, in quanto quest’ultima non interrompe la gravidanza, bensì evita che la fecondazione avvenga.

Come abortire chirurgicamente dipende invece dallo stato di avanzamento della gravidanza. Nelle prime 6 settimane (dall’ultima mestruazione) la donna può anche decidere di ricorrere a un aborto preventivo senza la sicurezza di essere incinta, attraverso l’aspirazione endometriale. Il procedimento prevede l’aspirazione delle pareti uterine con una cannula flessibile e senza la necessità di dilatare la cervice. I rischi e i costi sono bassi, ma l’efficacia non è al 100%, per questo si consiglia di fare comunque un test di gravidanza dopo una settimana. Un metodo praticamente identico è l’isterosuzione, che viene presa in considerazione fino alla settima-ottava settimana ed è chiamata anche evacuazione uterina precoce.

Se si decide, o si rende necessario, un aborto più tardivo (ma comunque entro la dodicesima settimana) si può ricorrere ad altri due metodi. Il primo è la dilatazione ed evacuazione, che consiste nella rimozione del tessuto fetale attraverso una cannula non flessibile e dunque in questo caso è necessaria la dilatazione della cervice, che aumenta le probabilità di complicazioni, ma ha un efficacia maggiore. Il secondo modo è la dilatazione e raschiamento, ormai in disuso rispetto al primo, e che effettua la rimozione del feto non con un’aspirazione, ma con un’operazione manuale attuata con la curette, una anello metallico con un manico lungo e sottile. Anche in quest’ultimo caso si rende necessaria la dilatazione della cervice.

I metodi che abbiamo descritto fino a questo punto sono applicabili entro la dodicesima settimana e quindi, per la legge italiana, quelli che si possono prendere in considerazione per un aborto volontario. Se si fa procedere la gravidanza, infatti, la donna non potrà più rivolgersi a istituti medici per chiedere di interromperla. Nonostante ciò, per complicazioni legate alla salute del feto o della madre, si può rendere comunque necessario indurre un aborto e in tal caso, qualora i metodi precedenti non siano più applicabili, si può optare per il travaglio indotto o l’isterotomiaIl primo prevede l’induzione del travaglio attraverso l’infusione di una soluzione salina di prostaglandine all’interno del sacco amniotico. Le contrazioni del travaglio provocheranno così un aborto “spontaneo”. L’isterotomia si basa invece sullo stesso principio del parto cesareo, ovvero la rimozione del feto attraverso un taglio nell’addome e rappresenta, essendo un intervento chirurgico, il metodo con più complicazioni.

Il diritto all’aborto

In Italia l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) è regolata dalla legge 194 del 1978 che consente alla donna di ricorrere all’aborto volontario entro i primi 90 giorni, mentre per i successivi è consentito unicamente per ragioni terapeutiche. Appoggiata dalla volontà popolare (espressasi con un referendum), questa legge rendeva finalmente l’aborto non più un reato, garantendo quindi alla donna la libertà di poter decidere della propria vita. Seppure ci sia stato questo importante passo avanti, il fatto che i medici possano dichiararsi obiettori di coscienza (quindi contrari all’aborto) ha però reso di fatto, e rende ancora tutt’oggi, non semplice ricorrere all’IVG. Sono numerosissimi infatti i ginecologi e i medici obiettori, soprattutto nel Sud d’Italia, e questo dilagante bigottismo tra gli istituti ospedalieri costringe le donne e le coppie che vogliono abortire a sottoporsi a giudizi che vanno assolutamente in contrasto con quello che prevede la legge.

In Texas l’aborto è divenuto legge pochi anni prima che in Italia grazie anche a Norma McCorvey, la quale (con lo pseudonimo Jane Roe) ha combattuto e portato alla sua legalizzazione nel 1973. Prima di allora, però, sono stati molteplici i casi negli Stati Uniti di interruzione di gravidanza, molti quelli di giovani donne rimaste incinte a seguito di uno stupro. Prima del ’73, l’aborto veniva effettuato di nascosto dai genitori, in solitudine o grazie all’ausilio di abortisti illegali senza ovviamente nessun tipo di anestesia, portando spesso alla morte.

La questione etica

Le difficoltà nel ricorrere all’aborto è dovuta al complicato dibattito che interessa questa pratica, dibattito non facile da gestire, in quanto va a toccare uno dei misteri più grandi dell’uomo, ovvero il concetto stesso di vita. Quando l’embrione e il feto possono considerarsi vivi? È una domanda la cui risposta non è solo un tecnicismo medico, in quanto decreta se considerare l’aborto un omicidio o meno. Le scuole di pensiero in merito a tale quesito sono molteplici, si passa dall’integralismo cattolico che difende a spada tratta la forma anche più potenziale di vita, alle lotte femministe in difesa del diritto della donna di poter decidere per se stessa. Noi vorremmo però mettere da parte per un attimo questo dibattito, in quanto in fondo ognuno di noi può avere una propria legittima opinione, e fare un ragionamento più pratico. Lo stesso che sta alla base della legge 194/78, che ebbe come fine principale quello di ridurre il numero degli aborti clandestini, diffusissimi all’epoca. Infatti è pressoché inutile ostinarsi a vietare qualcosa che comunque verrà sempre praticata, ma che a causa del divieto lo sarà in condizioni non salutari per la popolazione. Difatti gli aborti clandestini mettevano a serio rischio le donne che vi ricorrevano, dato che venivano eseguiti senza i dovuti accorgimenti e senza l’assistenza di personale qualificato. Offrire una possibilità di scelta non toglie dunque nulla a chi preferisce portare avanti una gravidanza, anche se indesiderata, ma al contempo possono evitare a chi non si sente pronta a diventare madre di ricorrere a mezzi pericolosi o di essere obbligata a vivere esistenze che non ha voluto.

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