Una sentenza storica che crea un precedente di tutto rispetto per quelle coppie che non possono avere figli.
È successo al tribunale di Milano: una coppia è stata assolta dopo aver rischiato il carcere per aver dato il proprio cognome ad un bambino partorito da una ragazza ucraina.
I coniugi hanno rischiato ben 15 anni dietro le sbarre, ma se affittare un utero in Italia è ancora illegale, in altri paesi è una pratica regolarizzata e lecita. Proprio come in Ucraina dove la coppia si era recata per scegliere la madre surrogata.
La procura aveva accusato i due di aver falsificato i documenti con cui al rientro da Kiev si attribuivano la paternità di un neonato partorito da un’altra donna.

I giudici della sezione penale di Milano hanno deciso:

“La vicenda trae origine dall’impossibilità di avere figli verificata, dopo il matrimonio, dalla coppia C. e B. ed è emblematica, nella sua evoluzione, delle difficoltà a realizzare il diritto alla genitorialità di cui, nonostante l’evoluzione delle tecniche medico – scientifiche, le famiglie gravate da problemi riproduttivi continuano a doversi fare carico”

La donna italiana infatti è affetta da una rara malattia, certificata, che le impedisce di portare a termine una gravidanza.
Il desiderio di diventare genitori però era molto forte e i due dopo aver provato la fecondazione assistita ma senza i risultati sperati, si erano rivolti ad una mamma in affitto, con un contratto regolare conforme alla legge ucraina.
La donna che ha portato il grembo il bambino ha attestato davanti ad un notaio l’inesistenza di qualsiasi relazione genetica con il bambino, consentendo l’adozione ai due coniugi milanesi che sarebbero diventati genitori a tutti gli effetti.
L’iter giudiziario in Italia però è stato un vero e proprio calvario.

Quei documenti ucraini non convincevano l’ambasciata italiana che ha segnalato la vicenda alla procura di Milano. Un’accusa grave ma se in Ucraina l’atto è legale, in Italia bisogna accettarlo. Nessuna infrazione dunque.
L’unica pecca della coppia è stata quella di aver dichiarato il falso al pubblico ufficiale al momento del rientro in Italia.
Un passo avanti forse, ma che come sempre sottolinea l’inefficienza della burocrazia italiana, che di ben altro dovrebbe occuparsi dato i tempi che corrono, anche quando ci si trova davanti a grandi gesti d’amore verso il prossimo e la vita.

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