"Vi racconto la storia di L: mio figlio, un bambino stupendo che ama vestirsi di rosa!"

Camilla è la mamma di un bambino perfetto, biondissimo, occhi azzurri, intelligente, sveglio e super energico. Tutto magnifico ma a suo figlio L. piace il rosa, si il colore rosa, adora vestirsi di rosa, mettere i vestitini e giocare con giochi tipicamente femminili. Solo una fase? L. ha 8 anni e da quando ha potuto scegliere cosa mettere e con cosa giocare non ha mai cambiato le sue scelte.

L. è un bambino di 8 anni, una bellezza disarmante, un angelo biondo con gli occhi azzurri. In salute, super sveglio e intelligentissimo. A 10 mesi correva già per tutta casa, a un anno era perfettamente in grado di scegliere da solo i suoi vestiti e giochi preferiti. Tutto normale fin qui, se non fosse che i suoi vestiti preferiti erano tutti rosa e i suoi giochi più adorati da “femmina”. Si perché così siamo sempre stati abituati sin da piccoli, non con malizia non con pregiudizio (o meglio non sempre con pregiudizio), esistono cose da maschio e cose da femmina. Anche se alle femmine (forse) va un po’ meglio, una femmina puoi vestirla di celeste, può giocare con i robot e può calciare un pallone, male che va sarà un maschiaccio, che in alcuni casi fa anche figo. Per un bambino è diverso. Nessun neonato avrà mai una tutina rosa, eppure il rosa è solo un colore identico a tutti gli altri colori, eppure siamo sicuri che un maschietto con un pagliaccetto rosa non lo ha mai visto nessuno. La parola femminuccia non fa figo, la parola femminuccia è un marchio impresso a fuoco vivo sulla pelle che non si toglie più. Un maschietto non può giocare con le bambole anche se un giorno diventerà anche genitore, ma oltre a non poter giocare non può neanche desiderare una principessa, perché i maschi non desiderano le principesse.

Fonte: Bambinitransgender.blogspot.it
Fonte: Bambinitransgender.blogspot.it

Eppure a L. le principesse piacciono da impazzire. Da subito, senza sapere cosa fosse da maschio o cosa da femmina lui aveva già scelto che il suo colore preferito era il rosa, che voleva vestirsi da fatina e che per essere una fatina serviva una gonna, una gonna rosa.

L. non aveva  nemmeno un anno una volta che, non trovando più il suo ciuccio, nella disperazione totale, più io che lui, all’idea di passare una notte insonne, scesi in farmacia a comprarne uno. Ricordo che li avevano finiti. Era rimasta solamente una confezione da due: uno era rosa e l’altro era verde. Mi dissi, vabbè c’è quello verde… quello rosa lo terrò di riserva. Allora anche io avevo subito pensato che il rosa non fosse da maschio. Non importava che mia figlia avesse sempre avuto ciucci blu… perché le femmine “possono” vestirsi di blu, essere maschiacci, mettere i pantaloni ecc. I maschi, invece, devono sempre e inevitabilmente rappresentare la loro ‘categoria’. Così anche io, che non ho mai avuto nulla contro nessuno, ebbi il pensiero innato che quel ciuccio rosa lui non lo avrebbe usato.
Arrivai a casa. Lui sul seggiolone. Presi le forbici per aprire l’involucro di plastica e gli porsi il ciuccio verde. Lui mi guardò e mi disse ‘no!’. No cosa? Lui indicò l’altro ciuccio e mi ridiede quello verde dicendo “Etto no! Ello sì’. E si mise in bocca, tutto felice, quello rosa.
Se riflettiamo in maniera un po’ più approfondita, ma poi nemmeno troppo, gli stereotipi molto spesso si basano su un nulla.

Camilla Vivian è la mamma di questo bambino, dal 1 Ottobre ha deciso di raccontare la sua storia su un blog: Mio Figlio in rosa, storia di una crescita anticonvenzionale:

Ecco, oggi ho deciso di mettere finalmente online e accessibile a tutti questo mio blog.
Non è una scelta facile. Mi domando quali saranno le implicazioni, quali i risvolti. Non tanto sulla mia vita ma su quella di mio figlio. Lui da quando gli ho chiesto che cosa pensasse al riguardo mi ha assillato perché questo giorno arrivasse. Dice che almeno così le persone inizieranno a conoscere e a capire e a lasciarlo tranquillo. Questo mi ha fatto capire ancora meglio il suo disagio interiore e il bagaglio che si porta dietro e che vorrebbe tanto invece abbandonare.
So già che molte delle persone a me vicine mi criticheranno quasi io avessi agito con superficialità e  senza cognizione di causa. Paradossalmente dovrebbero essere quelle più comprensive. Invece spesso ho riscontrato il contrario. Spero comunque con tutto il cuore che parlarne possa servire a qualcosa. Credo che quando si vive l’esperienza di un bambino gender fluid sia impossibile incollargli le stesse etichette che vengono incollate agli adulti. Un bambino non lascia dubbi: ognuno nasce come è. Non sono sfizi, capricci, traumi, mancanze, carenze. Un bambino non può creare pensieri pregiudizievoli.

Un blog fortemente voluto anche da L. che è stanco soprattutto di doversi giustificare costantemente ogni volta che indossa i suoi vestitini super colorati: se non ho problemi io ad uscire così perché ve ne dovete fare voi per me? E come dargli torto. Camilla ha altri due figli, la primogenita una femminuccia, L. e un altro maschietto. Dopo tre figli prendi tutte lo loro stranezze come una fase, ma dopo 8 anni che sia solo una fase è un’ipotesi che non regge più.

Sicuramente per i primi due anni ho pensato anche io che fosse una “fase”. Lo lasciavo molto libero di esprimersi. Del resto era così felice coi suoi vestiti e con i suoi giochi e non faceva nulla di male! Non mi ero nemmeno posta il problema che tutto quello volesse dire qualcosa.
Mi era capitato  di parlare con le maestre chiedendo loro se riscontrassero in lui qualche disagio, qualche ombra di tristezza, qualche atteggiamento eccessivo. Loro mi tranquillizzavano dicendo che tutto era normale “per la fase che stava attraversando”! Aveva molte amichette femmine e anche a scuola faceva più volentieri giochi da femmina.
Finché, non mi dimenticherò mai, l’ultimo giorno di nido, proprio l’ultimo, una delle due maestre mi mandò a chiamare e così a bruciapelo mi disse: “Io credo che tu debba andare a parlare con uno psicoterapeuta dell’età evolutiva, ma uno bravo! Perché L. ha chiaramente un problema e se continua così a settembre alla scuola materna avrà una vita d’inferno! E inoltre basta comprargli principesse! Inizia un po’ con le macchinine e le pistole che vedrai che passa tutto”
“Passa tutto”
Io rimasi attonita.
Fonte: Bambinitransgender.blogspot.it
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Arrivai a casa e mi feci immediatamente dare da una amica il numero di una psicoterapeuta infatile da cui era stata anche lei con la figlia. Non tanto perché volessi ubbidire a bacchetta a ciò che la maestra aveva detto, ma perché volevo capire chi fosse quella fuori di testa! Del resto anche quasi tutte le mie amiche criticavano la mia accondiscendenza e si premuravano di regalare loro a mio figlio giochi da maschio per i compleanni, visto che io non lo facevo.
Andrai dalla dottoressa. Esposi la situazione. Lei ascoltò e poi mi chiese: “il punto è uno: lei che rapporto ha con l’omosessualità?”
Al tempo mi era sembrata una domanda così giusta! Se ci ripenso adesso 6 anni dopo capisco invece quanta non-conoscenza ci sia anche da parte degli “addetti ai lavori”! Comunque, dopo questa domanda, alla quale risposi ovviamente che non avevo alcun problema, la psicologa mi disse che la persona inadeguata era stata sicuramente la maestra e che io non avevo assolutamente sbagliato nell’assecondare mio figlio nei suoi gusti. Anche se già sapevo istintivamente di aver fatto la cosa giusta, avere la conferma da una specialista mi sollevava. Non solo: mi dava carta bianca per rispondere a tutte quelle persone che, oltre la maestra, mi dicevano che sbagliavo. La dottoressa mi suggerì inoltre di lasciar fare a L. ciò che voleva, ma di ignorarlo, di non complimentarmi su che principessa bella fosse o come gli stesse bene un vestito o un gioiello per vedere se il suo era solo un mezzo per attirare l’attenzione. Così feci e la fase non passò! L. sfoggia con orgoglio la sua bellissima maglietta rosa che dice: “Be yourself! Unless you can be a unicorn!” (Sii te stesso! A meno che tu non possa essere un unicorno!)
Fonte: Bambinitransgender.blogspot.it
L. è un bambino, un pink boy, per dirla all’inglese, quando Camilla si è resa conto che non era solo una fase ha iniziato a documentarsi, sul web non appariva nulla, nessuna ricerca rimandava a casi simili al suo. Per fortuna aveva vissuto in America e sapere l’inglese in questo caso fu fondamentale. Togliendo l’italiano si apriva un mondo. Un mondo identico al suo, qualcuno di affine, un’intera comunità pronta ad aiutarla, supportarla e consigliarla. In Italia è tutto più silenzioso e complicato, non che non esistano casi simili a L. anzi ne esistono molti, solo che molta è ancora la quantità di persone bigotte e piene di pregiudizi. Lo scopo del blog è anche questo, aiutare le persone nelle stesse situazioni di Camilla a non sentirsi sole e abbandonate, parlare non risolve i problemi ma aiuta sicuramente ad affrontarli.
L. si riferisce a sé sempre al maschile.
E se gli chiedi ‘Ti senti maschio o femmina?’, risponde: “Io mi sento io”
L. è super felice del suo blog e non manca di raccontare le sue avventure, come quel giorno che nella fretta è andato a scuola con il sopra del pigiama… delle Winx:
Un giorno di scuola mi alzo dal letto e vedo che sono molto in ritardo e allora mi preparo, faccio tutto e vado. A un certo punto mi accorgo che ho ancora il pigiama, il pigiama delle Winx! Entro in classe con un pochino di ansia. Appena entro cerco un po’ di non farmi notare però poi invece di prendermi in giro il pigiama piaceva e anche tanto e allora poi sono rimasto a giocare con i miei amici tutto tranquillo. Appena finita la scuola torno a casa felice e contento di essere andato a scuola così.
L.
Fonte: Bambinitransgender.blogspot.it
Fonte: Bambinitransgender.blogspot.it
Nel suo blog Camilla racconta scorci di vita, aneddoti e storie del quotidiano, di quando si esce a fare la spesa, di come sia frustrante per L. spiegare alla commessa che se prende 2 magliette da femmina e una da maschio lei deve farsi semplicemente gli affari propri, di come sia più semplice per la sorella comprare una maglia da uomo passando inosservata. Spiega come sia felice L. quando può vestirsi come gli pare e piace, che magari lo scambiano per una femmina ma a lui non importa perché è semplicemente libero di essere ciò che si sente di essere. Inoltre di come i pregiudizi siano tipicamente adulti o influenzati da essi, come quel giorno che “spiando” i figli all’uscita della scuola si rese conto di come siano innocenti i pensieri dei bambini:
Qualche giorno fa, all’uscita di scuola, mentre i miei figli giocavano insieme agli altri bambini, mi sono avvicinata senza farmi vedere. Volevo capire come fossero le dinamiche tra di loro.
Ormai L. e F. è il secondo anno che frequentano la stessa scuola, in classi diverse certo, ma essendo la scuola molto piccola tutti i bambini conoscono tutti, soprattutto i fratelli e le sorelle dei compagni.
Così erano tutti lì che giocavano: alcuni di seconda e alcuni di terza.
Mio figlio F. si era allontanato un attimo per prendere una cosa.
Appena tornato, P., una sua compagna, gli dice: “ah bene che sei qui! Allora: tu sei in squadra con tua sorella!”
Lui dice ok e va  a sistemarsi dalla parte di L.
E iniziano tutti a giocare.  Un gruppetto di dieci scugnizzi felici!
Tutto è successo nella tranquillità più assoluta.
È buffo vedere come ogni tanto qualche bambino fa un piccolo sforzo in più. Nella fretta del gioco, infatti,  il tempo per il pensiero più articolato è pochissimo. Così ecco che esce un “Dai! Su, F., dì a tua sorella di prender la palla! Anzi no scusa volevo dire: dì a tua fratella… uffa insomma a lui…vabbè” e pure lì il gioco continua pacifico come nulla fosse. C’è però un bambino che è il più furbo. Ogni volta che si rivolge a mio figlio per complimentarsi gli grida “grandeeee!!!!” Ecco lui è il genio. Quello che nella vita ha capito tutto.
Invidio e ammiro la naturalezza di tutti questi bimbi per i quali, del resto, di base resta il fatto che l’importante è giocare, chi se ne frega poi di chi è cosa.
Camilla ha ancora tanta strada da fare e tante cose da imparare da L. e su di L. ma L. è un* bambin* felice, con i suoi capelli lunghi e le sue magliette rosa, sempre supportato dalla sua famiglia e dai suoi amici che non si preoccupano molto di associarlo ad una categoria ma lo accettano per quel che è come è giusto che sia e come sempre dovrebbe essere in ogni e qualsiasi forma di diversità. Per le persone che ancora fanno fatica a capire ed accettare, Camilla ci ride su, dopo tutto anche Steve Jobs, il colosso della tecnologia apple, ha avuto difficoltà a riguardo:
Non credo che sia affatto facile sradicare tali stereotipi dalle nostre teste e certo non sto dicendo questo nulla di nuovo. Ma forse non sapete perché non è così facile! E ora ve lo spiego: l’altro giorno ho aggiornato il mio iphone. Chi ce l’ha saprà che crea una cartella chiamata PERSONE nella quale automaticamente raggruppa le foto degli stessi visi, una cartella per faccia. Beh… indovinate un po’… Nel mio Iphone esiste adesso una cartella per me (con pochissime foto perché non mi piace farmi fotografare) e quattro cartelle per quattro figli. Mia figlia S., mio figlio F. e mio figlio L. versione femmina e mio figlio L. versione maschio!!!!
Quindi il punto è uno: se Steve Jobs non ci è riuscito, questo è un segno che non è affatto un lavoro semplice!
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