Ci sono donne che fin da bambine sognano il momento in cui diventeranno madri, e passano l’infanzia “facendo pratica” con le bambole, altre che decidono che la maternità non fa per loro, alcune che vorrebbero, ma non possono, chi lo diventa senza programmarlo e chi invece magari ci prova per decenni senza risultati.

Insomma, la cosa chiara è che ciascuna di queste tipologia di donna sia da rispettare, indipendentemete che il suo pensiero rispecchi il nostro o no.

Ma “l’ultima frontiera” – se così vogliamo definirla – della maternità è quella esplorata dalle donne che vogliono essere madri, senza però le complicazioni dei nove mesi, delle nausee, del pancione e, soprattutto del parto e che, per realizzare il proprio scopo, ricorrono alla maternità surrogata.

Certo, generalmente sentiamo parlare di questo tipo di fecondazione, peraltro illegale in diversi paesi (in Italia lo è), nei casi di infertilità, oppure di coppie omosessuali, sicuramente quasi mai, almeno fino a ora, quando a volere un bambino tramite l’utero in affitto è una donna che sarebbe pienamente capace di poterlo “fare da sé”.

Eppure la pratica sta prendendo sempre più piede negli Stati Uniti, ad esempio, dove sono diverse le cliniche che ultimamente stanno raccogliendo richieste di questo tipo, come documentato in un articolo del Guardian.

Perché si ricorre alla maternità surrogata

Perché si ricorre –  o si dovrebbe voler ricorrere – a questa “gravidanza per interposta persona”? Il dottor Vicken Sahakian, della Pacific Fertility Center, nel Wilshire Boulevard di Los Angeles, fornisce una spiegazione che sembra sinceramente plausibile, quantomeno alla luce di voler giustificare una scelta che è sicuramente inusuale.

Se la maternità surrogata fosse più accessibile, più donne lo farebbero, assolutamente – afferma con sicurezza – C’è un vantaggio nella gravidanza, nel legame, lo capisco e, per esperienza, posso dire che la maggior parte delle donne ama essere incinta. Ma molte donne non vogliono restare incinte e perdere un anno della loro carriera.

Già, perché, mentre conosciamo i nomi di diverse star che hanno fatto ricorso alla maternità surrogata (Kim Kardashian ha avuto gli ultimi due figli, Chicago e Psalm West, attraverso questo metodo), Sahakian spiega che a chiedere di usare un utero in affitto per mettere al mondo un figlio siano soprattutto coloro che, in realtà, hanno una carriera ancora tutta da avviare.

I candidati tipici sono modelle e attrici che stanno bene economicamente ma non si sono ancora fatte un nome. Mi dicono di punto in bianco, ‘Se rimango incinta, perderò la mia parte. Lavoro, non ho tempo a causa del lavoro. Io sfilo, recito, ho un bell’aspetto e non voglio sfigurare il mio corpo. Perché la maternità, inutile negarlo, decisamente sfigura il corpo, e se non si fanno gli esercizi necessari ci vorrà un po’ per tornare alla normalità.

C’è sicuramente un po’ di verità sulla gravidanza che cambia il corpo. Il tuo osso pelvico si apre, accumuli grasso che non va via. Non sto dicendo che sia un motivo per ricorrere alla maternità surrogata, ma evidentemente per alcune persone lo è“.

Le linee guida ufficiali dell’American Society for Reproductive Medicine (ASRM) affermano che alla fecondazione con utero in affitto si dovrebbe ricorrere solo in presenza di un evidente “bisogno medico”. Solo che la definizione lascia ampio spazio alla discrezionalità, tanto che non è difficile, per le donne assolutamente fertili, ricorrervi.

Qual è il risultato finale qui? – continua Sahakian – Qualcuno vuole diventare genitore. Lo sto facilitando. Capisco che sia controverso, è eticamente borderline per alcune persone, ma mettetevi nei panni di una modella di 26 anni che si sta guadagnando da vivere sfilando in costume da bagno. Ditemi, è immorale, per non distruggere la carriera di questa donna?

La domanda è sicuramente complessa. La specialista della fertilità di San Diego, la dottoressa Lori Arnold, stima che fino al 20% dei 100-200 clienti che vede nella sua pratica ogni anno sia lì per ricorrere a quella che viene definita maternità surrogata “sociale”. E i motivi sono gli stessi: le donne cercano di salvaguardare le proprie carriere chiedendo l’aiuto di una madre surrogata.

La maggior parte delle donne desidera sperimentare gravidanza, parto e allattamento al seno. La maggior parte delle donne ha davvero questo desiderio. Ma alcune no, e dobbiamo rispettarlo. Non penso che ci sia niente di male: vogliono avere un figlio e una famiglia, ma non vogliono rimanere incinte . Personalmente nei miei 25 anni di esperienza non ho però incontrato nessuno che non volesse davvero essere incinta – è principalmente una scelta che la loro carriera ha imposto loro.

Certo, la scelta potrebbe destare più di una perplessità, ma, alla luce di quanto il lavoro femminile viva in condizione di perenne e preoccupante precarietà, e quanto alto sia il tasso di donne che rinuncia – o è costretta a rinunciare – alla propria professione per la gravidanza, sembra tutt’altro che priva di razionalità.

È, sicuramente, una scelta che in pochi possono permettersi, dato che in America un trattamento di questo tipo, afferma Sahakian, può arrivare a costare fino a 150 mila dollari.

I “requisiti” per essere una madre surrogata

Naturalmente le donne che accettano di mettere il proprio utero a disposizione per la gravidanza di qualcun altro devono avere requisiti ben precisi, anche se c’è da dire che le agenzie che si occupano della ricerca molto spesso decidono di orientarsi sulle mogli dei militari, che in questo modo possono restare a casa a occuparsi dei figli guadagnando comunque qualcosa.

Per il resto, le donatrici devono dimostrare di aver già avuto figli biologici, avere un’età media di 28 anni, e le linee guida ASRM limitano a cinque il numero di gravidanze che una donna possa avere.

Capita però che queste donne non comprendano la scelta di chi affida loro quella gravidanza che loro non vogliono: Diane Batzofin, assistente del dottor David Smotrich a La Jolla IVF di San Diego, che cura il 5% di clienti in cerca di maternità surrogata sociale, ha riportato al Guardian il commento fattole da una mamma surrogata.

Ha detto: ‘Quindi devo rischiare la mia vita per salvare qualcuna dall’avere alcune smagliature?’ E ho detto, ‘No, non è esattamente così’, e lei ha risposto ‘ È esattamente così che mi sento’.

Certamente il tema apre un dubbio etico: è giusto volere un figlio a tutti i costi ma “liberarsi” del peso della gravidanza? La maternità assume lo stesso valore? Allora perché non ricorrere all’adozione?

Insomma, le domande sono tante, e sicuramente lecite, ma l’unica cosa che sappiamo per certo è che nessuno può e dovrebbe mettersi nella testa di una donna che fa questa scelta, o prendere posizioni nette senza prima aver ascoltato. Fermo restando il diritto, sacrosanto, di continuare a pensarla come vogliamo, qualunque sia la nostra idea.

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