Avere un figlio disabile può davvero rivelarsi ogni giorno una lotta, non solo contro le barriere architettoniche e le difficoltà della malattia, ma anche, e a volte soprattutto, con gli sguardi della gente e i loro pregiudizi. Per questo Angela Agresti, di professione supervisor presso un gruppo internazionale, un giorno ha deciso di “reinventarsi” scrittrice per mettere nero su bianco la vita sua e della sua famiglia, che si è unita per combattere contro la sindrome di “Sofia”, la sua bambina.

Sofia lo abbiamo messo tra virgolette perché non è il vero nome della figlia di Angela, oggi adolescente; è la sola cosa, ci dice, che ha scelto di cambiare per proteggerla, per tutelarla il più possibile. Il nome è fittizio, la sua storia, però, è tutta vera. Ed è raccontata in Tutti i bambini ridono allo stesso modo, edito da Ponte Sisto nel 2017 ma che oggi Angela ha deciso di tornare a presentare, cosa che farà il 5 dicembre 2019 a Casetta Rossa, nel quartiere Garbatella. Il libro, ci racconta, è nato come una sorta di diario personale della sua vita con Sofia, ma mano a mano che scriveva, lei si è resa conto che, forse, quella storia poteva essere messa al servizio degli altri.

Di altri genitori come lei, ad esempio, per farli sentire meno soli di fronte a un destino che a volte sembra ineluttabile e anche beffardo; di altri figli come la sua Sofia, ma anche, perché no, di quelli che la disabilità la guardano con gli occhi di chi crede per chissà quale motivo di essere superiore, o migliore.

A noi, e con noi, Angela ha raccontato e ha ripercorso tutte le tappe di questi quindici anni trascorsi con la sua Sofia, dalla diagnosi fino alla quotidianità.

La malattia di Sofia l’abbiamo scoperta quando lei aveva 8 mesi, durante una visita di controllo dal pediatra.
Quel giorno ci fu detto che dovevamo fare una visita dal Neurologo. Tre giorni dopo, eravamo al reparto di Neuropsichiatria Infantile del Bambino Gesù. Le prime parole dei medici parlavano di ‘ipotono muscolare’, ci hanno detto che serviva un ricovero per poter effettuare tutti gli accertamenti previsti per quel tipo di patologia.

Decidiamo subito di cambiare ospedale per avere un altro parere, così dopo due giorni siamo al reparto di Neuropsichiatria Infantile del Gemelli e ci mettono in lista per il ricovero.
Il 14 novembre del 2004 inizia un capitolo nuovo della nostra vita“.

Sofia ha una malattia genetica sconosciuta, a cui i medici non hanno dato neppure un nome. Per questo, anche capire da dove derivi e come tenerla sotto controllo è complesso.

Non abbiamo una diagnosi definitiva. Nei primi mesi di vita, mia figlia era una neonata tranquillissima, non piangeva quasi mai e si muoveva poco, però cresceva molto bene, quindi non ce ne siamo accorti subito, ma solo dopo 8 mesi.

A oggi le cartelle cliniche parlano di atrofia cerebellare, atassia, con tutte le conseguenze che queste malattie comportano: ipotonicità, disartria, difficoltà di coordinazione… Ma nonostante questo in questi anni è riuscita a mettersi in piedi, camminare un po’, salire su una bicicletta, sciare con il karter, frequentare un corso di Yoga e di Dance Ability, praticare l’handbike e down – hill“.

Angela spiega anche che la malattia non è degenerativa, “pertanto lei può solo migliorare se supportata da tantissima fisioterapia, logopedia, stimolata sempre, senza lasciare nulla al caso“.

Sofia è anche pienamente cosciente della propria condizione, ma come detto non se ne fa un cruccio, anzi vive una vita più normale possibile.

Lei è perfettamente cosciente dei suoi limiti, delle sue difficoltà, dei suoi problemi. È una ragazza speciale, solare, sensibile, coraggiosa, serena e molto autoironica.

Noi come famiglia non abbiamo affrontato il problema direttamente con lei, poiché la psicologa ci disse che quando lei sarà pronta ci farà le domande ‘specifiche’ e a quel punto avrà le risposte. Ora frequenta la II Liceo Artistico e fortunatamente in questi anni non è stata oggetto di episodi di discriminazione“.

Nonostante questo Angela, come tutti i genitori, alla domanda “Vi spaventa il futuro?” risponde.

“Sì, molto.

È per questo che in questi anni, stiamo lavorando molto sul farla diventare il più autonoma possibile.

L’autonomia è l’unica risorsa che la potrà integrare nella società. Noi come famiglia dobbiamo darle tutti gli strumenti che la porteranno a raggiungere un’indipendenza che la porterà a vivere nella società al meglio delle sue possibilità. Stiamo lavorando sulle sue capacità, sulle sue abilità, cerchiamo di potenziarle e aspiriamo di crearne altre, per poter ambire a vederla in un prossimo futuro integrata in un contesto sociale, politico e produttivo della società.

La strada è molto lunga e in salita, ma noi non ci arrendiamo. Lottare sempre con lei e per lei, questo è il mio motto“.

Del suo libro, invece, Angela dice che è nato “dalla volontà di raccontare prima di tutto a me stessa e poi alla mia famiglia i primi 10 anni di Sofia; ho dovuto mettere, nero su bianco, 10 anni importanti della mia vita, per non dimenticare.

Con il tempo ho capito che la nostra esperienza poteva essere d’aiuto alle famiglie che si trovano nelle nostre condizioni e non perché tutte le famiglie che hanno figli si trovano a dover risolvere i problemi dei ragazzi nelle varie fasi della vita, chi più chi meno. Noi abbiamo fatto tesoro delle esperienze che la vita ci ha donato e le abbiamo volute condividere con gli altri“.

Da lì, anche l’esigenza di ripresentarlo al pubblico, due anni dopo l’uscita:

Alle presentazioni si incontrano sempre persone meravigliose, si ascoltano storie, si ride, si piange, si condividono opinioni, sono momenti di crescita che fanno bene. 
Servono a sensibilizzare le persone su temi importanti, come ad esempio l’integrazione scolastica.

In quella settimana si parlerà di disabilità [il 3 dicembre è la Giornata Internazionale della Disabilità, ndr.] e condividere con gli altri un argomento così importante come la scuola mi sembrava giusto. Bisogna portare all’attenzione di tutti dei problemi che sta vivendo oggi la scuola. La scuola ha tanti obiettivi ma penso che uno dei più importanti sia quello di includere ciascun ragazzo all’interno della comunità scolastica indipendentemente dai limiti, diversità che alcuni individui possono avere.

La scuola, è il luogo dove ci vengono insegnate le regole del rispetto, nei confronti dei compagni, degli insegnanti, gli operatori.
Insegna l’autonomia ai ragazzi, nei compiti a casa, e nel gestire le attività scolastiche. È il luogo dove ci insegnano a ragionare, a studiare, per giungere all’acquisizione di competenze linguistiche, matematiche, scientifiche, artistiche, ma la cosa fondamentale è che tutto questo deve essere fatto rispettando le identità personali di ogni singolo individuo, ponendo attenzione alle singole necessità di tutti.

Gli studenti sono tutti diversi, ma hanno tutti gli stessi diritti.

Chiudo con una citazione: ‘La conoscenza è potere’. Questa è la risposta di Daisaku Ikeda, attualmente presidente della Soka Gakkai International, alla domanda ‘perché studiare?'”

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