Il 21 marzo si celebra la Giornata sulla sindrome di Down. Perché, diciamoci la verità, queste tre parole a molti fanno ancora paura, e se per abbattere i pregiudizi e le reticenze sulla trisomia 21 bisogna parlare di storie bellissime e a lieto fine come quelle di Luca Trapanese e della sua Alba, adottata dopo essere stata lasciata dalla madre biologica in ospedale e rifiutata da diverse famiglie, dall’altro lato non si può dimenticare l’ignoranza ancora largamente diffusa sul tema e i terribili episodi di bullismo di cui molte persone con la sindrome sono vittime, a causa di una società che troppo spesso celebra l’inclusività a parole ma non abbastanza nei fatti.

Per questa giornata sono state ideate molte iniziative su scala nazionale, la più interessante è sicuramente quella dei calzini spaiati, con cui si invitano tutti, grandi e piccini, a indossare un paio di calze diverse, proprio per ricordare quanto l’inclusività, oltre le differenze, sia fondamentale.

Noi invece, per celebrare la giornata, abbiamo scelto di dare voce ad Antonella, mamma di una splendida bambina di sette anni, Maria, sguardo furbo e molti, moltissimi interessi, un tipetto davvero sorprendente che nel suo essere nata con la sindrome di Down vede tutt’altro che un ostacolo alla sua felicità.

Raggiungiamo Antonella, di cui ci ha incuriosito questo post, condiviso sulla sua pagina Facebook:

“Oggi tre compagne di classe di Maria mi hanno chiesto: “Maria ha dei problemi? Cioè, è down?” 
Amo la genuinità e la spontaneità dei bambini!!! Sicuramente l’argomento sarà stato trattato, forse in famiglia, forse a scuola … chissà! E la domanda di per sé conteneva già delle risposte, risposte sbagliate e superficiali. Io ho risposto molto volentieri a questa bellissima domanda!

Ho detto loro che tutti noi a volte abbiamo dei problemi, ho detto di immaginare Maria con uno zainetto un po’ pesante sulle spalle che le fa fare un po’ di fatica, ho detto che però nonostante lo zainetto pesante riesce a fare tutto anche se ci mette un po’ più di tempo … ad un certo punto Maria si è avvicinata e loro d’istinto le hanno detto di non ascoltare, quasi per proteggerla ma io ho detto loro che Maria sa tutto, che è consapevole delle sue difficoltà ma sa anche che con l’impegno e l’aiuto di chi le vuole bene può superarle. 

E queste compagne le vogliono davvero un gran bene, il loro affetto è spontaneo e sincero.
Ricevuta la risposta le bambine sono andate con entusiasmo ad abbracciare Maria, come se si fossero tolte un peso, come se le risposte ricevute in precedenza non fossero abbastanza per loro.
Il desiderio di sapere dei bambini supera di gran lunga quello degli adulti, i bambini chiedono ma gli adulti che cosa rispondono? Sono all’altezza delle loro domande?”

Le chiediamo di spiegare com’è la vita con un bambino che ha la sindrome di Down alle persone che la vedono solo da fuori.

Che parole useresti?

Partendo dal presupposto che nessun bambino con Sindrome di Down è uguale a un altro, personalmente posso dire che la vita con mia figlia è come quella di qualunque altra famiglia; forse un po’ più impegnativa, ma… Quale figlio non è impegnativo?

Per rispondere alla domanda ti dico che la vita con Maria è meravigliosa, faticosa e piena di soddisfazioni. Il cromosoma in più a volte la rallenta ma non ferma il suo desiderio di fare esattamente tutto quello che fanno gli altri suoi amichetti e devo dire che ci riesce anche bene.

Tua figlia, che è bellissima fra l’altro, percepisce la “diversità”? Cioè ti chiede mai perché lei è “diversa” dagli altri bambini?

“Maria è diversa nella stessa misura in cui tutti siamo diversi gli uni dagli altri. ‘Arricchiamoci delle nostre reciproche differenze’, diceva Paul Valéry. Certamente Maria è consapevole della sua condizione, si rende conto che rispetto agli altri fa un po’ più di fatica, ma non riesce ancora ad esternare questa sua consapevolezza.
È una bambina serena perché si sente amata e apprezzata per come è, inoltre è una bambina in gamba e sa farsi volere bene da tutti“.

Per fortuna, nella sua vita Maria non ha mai incontrato finora la cattiveria umana, al massimo delle domande, da parte degli amichetti e dei compagni di classe, che Antonella però ritiene importanti per comprendere davvero di cosa si stia parlando.

I compagni di classe non l’hanno mai presa in giro, ma si pongono delle domande, e io credo sia importante dare loro delle risposte semplici ma chiare ed esaurienti perché i bambini non si accontentano di mezze risposte“.

Inutile però negare che sulle persone con la sindrome di Down esistano ancora moltissimi cliché e preconcetti, nonostante tantissimi ragazzi con questa condizione conducano vite assolutamente ordinarie, divisi fra il lavoro, lo studio, e le varie attività ludiche e sportive. Perché allora, chiediamo ad Antonella, così tanta diffidenza verso ciò che viene percepito come “diverso”?

Il pregiudizio è figlio dell’ignoranza – ci risponde – Le persone con sindrome di Down, se adeguatamente stimolate fin dalla nascita e accompagnate con attenzione nel loro percorso di crescita, possono raggiungere un buon grado di autonomia.
La Giornata Mondiale sulla Sindrome di Down serve ad abbattere i pregiudizi, a sensibilizzare, informare e a sfatare i luoghi comuni che ancora ruotano intorno alle persone che hanno questa sindrome“.

Per questo, ci tiene a precisare alcune cose: anzitutto, che la sindrome di Down prende il nome dal medico che, nel 1866, ha descritto per la prima volta le caratteristiche delle persone che ne sono affette, John Langdon Down, perciò “avere la Sindrome di Down quindi non significa essere down, non è un aggettivo e non definisce la persona“.

La sindrome di Down non è una malattia, non può essere curata e non è contagiosa; è una condizione genetica, una caratteristica della persona che la accompagnerà per tutta la vita.
Le persone con sindrome di Down sono tutte diverse, non è vero che sono tutti dolci, teneri e affettuosi, non è vero che sono violenti, aggressivi o testardi, semplicemente ognuno ha il proprio carattere e le proprie peculiarità.

“Nonostante ci sia ancora molto da fare, soprattutto in tema di inclusione sia scolastica che nel mondo del lavoro, è doveroso dire che rispetto al passato la qualità della vita di queste persone è migliorata. In campo medico e della ricerca si sta facendo molto, la società sta cambiando, ma la strada è ancora in salita.”

Antonella è una donna solare, positiva, così come lo è la sua bambina; possibile che non abbia mai passato un momento “no”, uno di quelli in cui spesso ci si chiede “perché a me”? Soprattutto, le chiediamo, non hai mai avuto paura all’idea di far nascere tua figlia in un mondo dove il bullismo e l’ignoranza la fanno da padroni?

Abbiamo scoperto che Maria aveva la Sindrome di Down durante la gravidanza. Nonostante io e mio marito non avessimo mai avuto dubbi nell’accogliere nostra figlia, sicuramente il periodo della gravidanza è stato difficile – ci dice sinceramente – un’altalena di emozioni, dalla domanda ‘ma come proprio a me? Non è possibile!’ alla domanda ‘perché non a me?’, fino ad arrivare alla consapevolezza ‘ci rimbocchiamo le maniche!’

Settimane che mi hanno portato a conoscere, informarmi, prepararmi tanto che nell’ultimo periodo il desiderio di incontrare nostra figlia era così grande che la sua nascita è stata una vera e propria festa.

Oggi la guardo e mi domando ‘perché a lei?’… Sì, perché è lei che dovrà fare i conti con il suo cromosoma extra per tutta la sua vita, io sono sua mamma e amo Maria così come è, non la cambierei per nulla al mondo, ma se potessi renderle la vita più semplice lo farei subito, solo ed unicamente per lei.

In gallery vi facciamo conoscere la piccola e bellissima Maria, attraverso le foto che mamma Antonella ci ha dato.

"Il cromosoma in più di mia figlia la rallenta, ma non le impedisce di essere felice"
Fonte: Antonella Loia
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