È inutile dire che i social network abbiano stravolto del tutto il nostro modo di concepire la comunicazione e l’informazione, e, spesso, persino esasperato l’esibizionismo smodato di qualcuno.

Oggi tutto, potenzialmente, può essere condiviso in tempo reale sui social, possiamo mostrare come ci stiamo godendo le vacanze postando foto dei luoghi che visitiamo, far sapere a tutti di avere un nuovo lavoro, di essere incinte, oppure, persino, di essere al pronto soccorso, taggandoci all’ospedale nell’attesa che qualche amico virtuale, preoccupato, ci domandi cosa abbiamo fatto o se stiamo bene. I meno disinibiti, poi, non esitano a pubblicare dettagli e momenti decisamente più intimi, tanto che, anche tra le celebrity, in tempi recenti si è diffusa la moda del cosiddetto after sex, ovvero dell’immagine postata sui profili social subito dopo un rapporto.

Certo, l’infinità libertà concessa dallo strumento, che incontra limiti legati solo alla pubblica decenza e alla non fomentazione di odio e discriminazioni (per cui gli amministratori seguono criteri che, tuttavia, sono giudicati spesso e volentieri opinabili e discutibili dagli utenti), consente di dare in pasto, a chiunque lo voglia, praticamente ogni attimo della propria vita privata, eppure si tende a dimenticare che, talvolta, nelle nostre smanie narcisistiche possono essere coinvolte altre persone. In primis, i nostri figli.

Moltissimi genitori, infatti, tendono a sottovalutare, o a non preoccuparsi affatto, delle possibili implicazioni legate alla pubblicazione dei volti di minori sui social network che, pure, sono tante, e assolutamente degne di nota, e condividono con gli amici virtuali immagini dei loro bambini nelle più diverse occasioni.

Ma corrono rischi enormi e, soprattutto, li fanno correre ai figli, inutilmente, solo per il piacere di qualche like in più o perché incapaci di resistere al richiamo del social a tutti i costi.

Se, a livello legale, il nuovo Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali prevede un canale di tutela preferenziale dei minori rispetto agli adulti, considerando pregiudizievole per i primi la pubblicazione di loro foto sui social network da parte dei secondi, ma non punisce effettivamente con sanzioni i genitori o gli adulti che postano foto di bambini, a dissuadere dall’intento dovrebbe essere soprattutto il rischio, estremamente grave, di far diventare i propri figli facili prede alla mercé di malintenzionati e pedofili, ad esempio.

Il pericolo non è solo, come già capitato, che i volti e le facce dei bambini vengano letteralmente prese e incollate su foto di tipo pedo-pornografico, ma che fisicamente un bambino possa diventare vittima di un pedofilo. Come? Lo ha spiegato perfettamente il criminologo Francesco Esposito in un podcast sulla sua pagina YouTube, che chiarisce come potrebbe agire qualunque persona intenzionata a fare del male ai nostri figli, utilizzando semplicemente le informazioni che, pur se involontariamente, noi stessi gli forniamo.

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Tutti lasciano indizi sulle passioni dei piccoli. Cuccioli, gattini, gelato preferito, scuola di danza, scuola di calcio. Compleanni, battesimi, promozioni al lavoro. Tutti lasciano indizi sui loro fatti di adulti. Ci vuole poco per capire quale gancio usare.

Ecco che qualcosa che, molto innocentemente, desideriamo condividere con gli amici di Facebook o Instagram si trasforma d’improvviso in un’arma a doppio taglio che può mettere davvero a repentaglio i nostri figli. Ecco che quei tag, scelti in maniera così superficiale, in un luogo, una palestra, un ristorante, una via, un parco, possono diventare informazioni preziose per i delinquenti, che i nostri nomi, il nostro lavoro, o i nomi degli amici che compaiono sulle foto assieme a noi possono trasformarsi in esche per far abboccare i bambini, farli sentire al sicuro e quindi lontani dalla zona di pericolo. Perché, nella mente di un bambino, un adulto che sa esattamente come si chiama la mamma, il papà, la zia o l’amico di famiglia, che conoscono il loro posto di lavoro, o la palestra che frequentano, non è più, automaticamente, uno sconosciuto, ma una persona di cui fidarsi.

Se fossi un pedofilo prenderei tua figlia, tuo figlio come e quando voglio – scrive Francesco – Sei fortunato che io sia dalla parte dei buoni. Ma non può andare sempre bene. Pensaci prima di postare sul web le foto della prole con questa smania e ripetizione.

Insomma, proteggersi e proteggere i propri figli non è semplice, ma neppure impossibile, se si tengono a mente alcuni suggerimenti e regole ben precise, valide per la Rete ma anche per la vita di tutti i giorni, come quelle che elenchiamo in gallery. Usare un pizzico di giudizio in più non elimina del tutto i pericoli, ovviamente, ma di certo può aiutare. E non possiamo essere proprio noi a esporre al rischio i più piccoli, solo per quel briciolo di popolarità in più sui social. Quindi, la prossima volta, pensiamoci meglio.

"Se fossi un pedofilo prenderei tua/o figlia/o quando voglio grazie a te"
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