Ha fatto molto discutere il caso della donna italiana che ha fermamente rifiutato di far tagliare il cordone ombelicale al figlio appena partorito. È successo il 15 settembre 2017 nel reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale di San Daniele, nel Friuli Venezia Giulia: fulcro della questione sarebbe stata la forte convinzione religiosa della donna e del compagno, secondo la quale il cordone ombelicale del bambino dovesse cadere naturalmente, senza alcun aiuto medico (opinione religiosa successivamente soppiantata da una di natura più personale ed egoistica). Come riportato dal Messaggero Veneto, i medici avrebbero avvisato la coppia delle possibili complicazioni riguardo il mancato distacco del cordone, ma i genitori del piccolo sarebbero rimasti irremovibili sulla loro scelta “etica” e avrebbero inoltre minacciato di denunciare lo staff ospedaliero (riprendendo con un telefonino quanto stava accadendo) se avessero rimosso di loro iniziativa il cordone e condotto i consueti trattamenti medici rivolti a neonati e neomamme. Un caso che ha mosso non poco l’opinione pubblica e ha obbligato quindi i medici dell’ospedale di San Daniele a chiedere aiuto alla Procura perché, a loro avviso, le condizioni del neonato stavano peggiorando. Aiuto che, ovviamente, è arrivato: la Procura infatti ha reso disponibile l’intervento medico per salvare il bambino.

È un segno triste dei tempi, che dimostra a che punto è arrivata la medicina preventiva.

Ha annunciato il Procuratore capo della città di Udine, Antonio De Nicolo, aggiungendo informazioni rispetto la scelta della Procura di intervenire in questa controversa questione:

Ovviamente abbiamo risposto che devono salvare il bambino. La missione dei medici è salvare vite. Nel momento in cui sussiste un pericolo di vita, il trattamento sanitario va fatto. I medici devono essere liberi e sereni nello svolgere il loro lavoro per salvare i pazienti. Evitare le denunce è impossibile, ma qualora arrivasse, chiaramente archivieremo. Se al contrario il neonato fosse morto in assenza di intervento, in quel caso sì che avremmo aperto un fascicolo d’indagine.

Questo portato in esame non risulterebbe essere il primo caso di una consuetudine che, pian piano, starebbe prendendo piede nella nostra società. Tale si chiama Lotus Birth e si tratta di una pratica adottata da numerose donne la quale consiste nell’attendere il normale distaccamento della placenta e del cordone ombelicale. Il Lotus Birth risale ufficialmente al 1974 e prende il nome dell’infermiera americana Clair Lotus Day la quale per prima chiese che non venisse tagliato il cordone alla nascita del figlio.

Lotus Birth è il modo più dolce, sensibile e rispettoso per entrare nella vita. Il Lotus Birth è una bellissima e logica estensione della nascita naturale: ci invita a rispettare il cosiddetto secondamento, la fase in cui nasce la placenta, e ad onorare quest’ultima quale prima fonte di nutrimento del neonato.

Si legge fra i post proposti dalla community italiana ufficiale di tale pratica. Un modo, quindi, per entrare in contatto con la vita in modo naturale e riguardoso. Secondo tale community, infatti, il distacco della placenta deve avvenire solamente quando entrambi, bambino e placenta, hanno realmente concluso il loro rapporto e sono quindi pronti al momento della separazione. Ma il Lotus Birth, diversamente da quanto sopracitato, è una pratica fortemente sconsigliata dalla Società Italiana di Neonatologia (SIN):

Mancano oggi evidenze scientifiche che ne dimostrino il reale vantaggio per la mamma e per il neonato e il pericolo di infezioni che potrebbero mettere a rischio la salute e anche la vita del bambino non è infondato. I vantaggi ipotizzati di un maggiore passaggio di sangue dalla placenta al neonato, infatti, vengono meno dopo pochi minuti, quando il cordone smette di pulsare, mentre elevato può essere il rischio di infezione.

Ha annunciato la SIN nel suo sito internet ufficiale.

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