“Però sei fortunata. Guarda che meraviglie. Alla fine è questo che conta, no?
E poi oggi mica è scontato che uno dei due porti a casa uno stipendio con cui mantenere tutta la famiglia”.

“Però sono fortunata. Guarda che meraviglie. Alla fine è questo che conta, no?”. Me lo ripeto come un mantra da mesi. Sono le parole che altri continuano a dirmi con grandi sorrisi e pacche sulle spalle ogni volta che accenno al fatto che mi manca il lavoro, che voglio altro.

Lo dicono in buona fede alcuni, lo so; altri un po’ meno e assumono quell’aria di chi finge di dare importanza a quello che stai dicendo mentre ti ha già pesato come quella inutilmente problematica, che non si accontenta mai.

No. Non mi accontento. Ho passato mesi che sono diventati anni, più di 2 e mezzo dalla nascita dei gemelli, per l’esattezza, a provare a spiegare alle persone che mi sono vicine come mi sento e quello di cui ho bisogno, ma è evidente che loro non mi ascoltino neppure e il fatto che io non sia felice mi rende, ai loro occhi, un’ingrata ed egoista. Ma non mi importa più.

Quando abbiamo scoperto di aspettare non uno, ma due bambini, ci è venuto il panico (del resto, a quale coppia non verrebbe?), seguito da un impellente bisogno di riorganizzare le nostre vite.

Succede ogni volta che arriva un figlio, credo. Ma se sono due il delirio è garantito. Lasciare il mio lavoro di copywriter in un’agenzia di comunicazione, amato tanto quanto sottopagato, è stata più una necessità che una scelta.

Calcolatrice ed excel delle entrate e uscite alla mano, è stato subito chiaro che la soluzione migliore (leggi l’unica per evitare un bagno di sangue) era che io restassi a casa con i gemelli, invece di cercare un nuovo lavoro che, salvo compensi mirabolanti, difficilmente avrebbero equiparato le mirabolanti, quelle sì, uscite economiche necessarie per un asilo nido o una baby sitter, non avendo nonni disponibili full-time.

L’ho fatto, ma ora basta. Qualche mamma, lo so, storcerà il naso, ma quest’anno ho iscritto i miei figli alla scuola dell’infanzia, come anticipatari (essendo nati a gennaio mi è stato consentito) e io ora torno al lavoro.

Ché poi in realtà non torno da nessuna parte, nel senso che un lavoro non ce l’ho più, ma ho deciso di crearmelo. Ho bisogno di flessibilità. Ci saranno giorni in cui il maschio o la femmina avranno la febbre e non potranno andare all’asilo, quello in cui portarli a fare i vaccini…

Essendo da soli è chiaro che non posso pensare di avere un posto fisso da 8 ore: devo potermi gestire i miei tempi e l’unico modo per farlo è un lavoro da freelance.

Negli anni ho lavorato con diverse agenzie e vari clienti. Ho fatto un giro dei miei contatti e ho scoperto di avere lasciato un ricordo migliore di quanto io stessa pensassi. Due aziende per cui avevo lavorato mi hanno offerto un piccolo fisso mensile per aggiornare e scrivere i testi dei loro blog e, con altri, sono in trattativa in questo senso.

Anche la mia più cara amica, l’unica in questi anni che mi abbia capita e spronata a ricominciare, è stata fondamentale e lo sarà, ora, ancora di più. È commercialista, adesso anche “la mia commercialista“: mi suona ancora strano.

Mi ha aiutata in tutte le questioni burocratiche, ben oltre le sue competenze. Mi ha per esempio trovato persino questo conto per freelance con N26, una banca 100% mobile, che ha zero spese e la possibilità di gestire tutte le operazioni tramite smartphone e, quindi, di tenere sotto controllo soldi e spese ovunque io sia.

E, soprattutto nel mio caso, so bene quanto questa parte di gestione finanziaria sia fondamentale.

In questo senso con la funzione Spaces conto di fare la differenza nell’organizzazione delle mie finanze e, soprattutto, nel raggiungimento dei miei obiettivi. Al momento ne ho impostati due: una cifra che, mensilmente, sin da subito voglio vada a contribuire alle spese familiari; ma anche una dedicata solo a me e ai miei progetti: un nuovo laptop, un corso di
formazione, insomma, tutto quello che può essere utile alla crescita mia e della mia attività.

Sono più di due anni che per concedermi una spesa extra devo attingere dal conto comune della famiglia che, di fatto, è il conto di mio marito. Lui è meraviglioso e so che ha ragione quando dice che quei soldi mi appartengono di diritto, ma alla fine io in questi due anni non mi sono mai sentita di usarli per soddisfare il benché minimo sfizio e ho tanta voglia di concedermi un regalo.

“Sono fortunata. Guarda che meraviglie”, me lo ripeto ancora tutti i giorni – senza il però davanti – e lo so. Sono una mamma felice, una moglie amata e ora so che non c’era nulla di sbagliato nel non sentirmi appagata solo da questo.

Sono tutte queste cose belle, ma sono anche “solo io”, una donna, nella sua individualità di progetti, sogni, ambizioni e voglio andare a prendermi le mie soddisfazioni personali e la mia versione di felicità, non quella che qualcun altro ha deciso che devo farmi andar bene.

Lo devo a me stessa, ma anche all’uomo che ho accanto e, soprattutto, ai miei figli che, più che una “brava madre” nel senso stereotipato del termine, hanno bisogno di avere accanto “una mamma serena”.

E poi lo devo, su tutti, a lei, alla mia piccola strega. Perché l’unico modo che ho per insegnarle che la maternità è una scelta potente che non ci annienta, è crescerla con accanto una donna che non è solo “sua mamma”, ma molto di più.

Cosa che, peraltro, libererà sia lei sia suo fratello dallo zainetto dei sensi di colpa qualora dovessero fare scelte di personali e di vita totalmente diverse dalle aspettative della loro famiglia e, nella fattispecie, della loro adorata madre, cioè io.

La testimonianza di L., cliente di N26, è pubblicata con il suo gentile consenso, omettendo dati sensibili nel rispetto della privacy. La fotografia correlata pertanto è un’immagine generica di repertorio e non ritrae L. né i suoi figli
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