“Nostra figlia morirà, ma sua mamma ha scelto di farla nascere per donare gli organi"

È davvero una storia di coraggio e di infinita generosità, una di quelle che toccano tutte le corde dell'anima: Keri decide di far nascere la sua piccola, Eva, pur sapendo che morirà subito dopo il parto, per donare i suoi organi ad altri bambini. Il marito le scrive una lunga e toccante dedica su Facebook.

Per un genitore non c’è cosa peggiore al mondo che perdere un figlio, ma se una futura mamma e un futuro papà sapessero che il loro bambino è già destinato a morire, che non vivrà neanche un minuto dopo che uscirà dal grembo materno come reagirebbero?

Cosa fare quando la diagnosi è impietosa, e gli esami in gravidanza rivelano che esistono malformazioni talmente gravi e compromettenti da non poter garantire la vita al bambino? Forse la maggior parte, una volta saputo il reale stato delle cose, preferirebbe affrontare il dolore di un aborto piuttosto che quello, altrettanto irreparabile, di una perdita del genere, interrompendo subito una gravidanza destinata a non avere esiti felici.

La scelta che hanno fatto Royce e Keri Young, invece, è stata decisamente diversa; non più o meno coraggiosa di altre, né più o meno rispettabile, dato che tutte le decisioni da prendere per quanto riguarda la vita di un feto malato sono tremendamente difficili allo stesso modo, ma è stata sicuramente altruistica: Royce e la moglie hanno deciso di portare avanti comunque la gestazione, di far nascere la piccola Eva, pur sapendo che lei non vivrà neppure un minuto su questa terra. Lo hanno fatto perché la sua piccola, sfortunatissima vita non vada sprecata, e possa aiutare qualcun altro ad avere ciò che lei non ha avuto, la possibilità di vivere: i suoi genitori, pur se affranti dal dolore, hanno deciso di portare avanti la gravidanza per donare i suoi organi.

La diagnosi atroce che Royce e Keri hanno dovuto incassare è che la loro bambina sarebbe nata senza sviluppare un organo fondamentale: il cervello. Ma, appena saputa la terribile notizia e appresa la verità, i due non ci hanno pensato su neppure un momento, e hanno scelto di terminare la gravidanza, per far si che tutti gli organi buoni di Eva potessero aiutare altri bambini, altre persone.

Royce ha scritto un lungo e commovente post sul proprio profilo Facebook, proprio per condividere con altri genitori, con chi si è trovato o si trova nella stessa situazione, tutto l’insieme di sensazioni, emozioni, pensieri che gli attraversano il cuore e la mente; non per ricevere empatia o facili like, come spesso accade quando si condivide qualcosa di estremamente privato su un social network, ma per dichiarare di essere orgoglioso di sua moglie, della sua forza, del suo coraggio.

L’altra sera, prima di partire per New Orleans, stavo guardando la mia bella moglie sonnecchiare tranquillamente sul divano. La guardavo mentre se ne stava lì, e la nostra bambina le tirava calci nel pancione, una bimba che non vivrà più di un paio di giorni. Allora sono rimasto sopraffatto da quanto incredibile sia questa donna. Sono uno scrittore, così, quando mi sento qualcosa, tendo a scriverlo. Perciò  ho tirato fuori il mio smartphone e iniziato a scrivere quello che stavo pensando. Ho capito, proprio stasera, seduto a mille miglia di distanza in una stanza d’albergo, soprattutto dopo l’incontro con questo incredibile bambino che si chiama Jarrius, che è stato ovunque all’ All-Star Weekend e ha bisogno di un trapianto di fegato, che invece di tenermi tutto dentro, come faccio di solito, dovrei dire tutti gli altri quanto sia incredibile Keri Young. (Mi manca già cinque secondi dopo essere uscito di casa, penso a lei continuamente)

Ripenso al momento in cui abbiamo scoperto che Eva non era perfetta, e come, esattamente 30 secondi dopo che il nostro medico ci ha detto che il nostro bambino non avrebbe avuto un cervello, Keri, sconvolta dalla disperazione, ha alzato gli occhi e ha chiesto: “Se io porto a termine la gravidanza, possiamo donare i suoi organi? ” Mi ricordo che il nostro medico, mettendo la mano sulla spalla di Keri, le ha detto: “Oh tesoro, è così coraggioso quello che dici”. Come a dire, davvero gentile da parte tua, ma andiamo. Keri era seria. Io ero lì, devastato, con il cuore a pezzi, paralizzato e sbalordito. Ero spettatore della mia stessa vita, stavo guardando un supereroe che scopriva i suoi superpoteri. Nel momento peggiore della sua vita, nel momento in cui ha scoperto che la sua bambina sarebbe morta, in meno di un minuto ha pensato a qualcun altro e a quanto il suo altruismo sarebbe potuto essere d’aiuto. È una delle cose più potenti che io abbia mai sperimentato. Negli otto anni in cui siamo stati sposati (e 15 anni insieme) ho avuto molti momenti in cui mi sono fermato a pensare “Cavolo, ho sposato questa donna. Quanto sono fortunato”. Ma stavolta è stato diverso. Mi ha colpito il fatto che non solo sono sposato con la mia migliore amica, ma con un essere umano davvero speciale. Tutto il processo è stato duro, lo dico come uno spettatore che osservi dalla gradinata. Keri è stata in trincea tutto il tempo, sentendo ogni piccolo calcio, ogni singhiozzo e ogni movimento. Ogni istante di ogni giorno lei sapeva che stava portando in grembo una bambina che morirà. La schiena le fa male. Ha i piedi gonfi. Ha tutti i fantastici dettagli che caratterizzano la gravidanza. Ma la luce alla fine del suo tunnel di nove mesi si tramuterà in una oscurità mai vissuta prima, in un paio di ore o di giorni dopo la nascita di Eva. Lei è quella che va incontro al post gravidanza -il latte, il recupero e tutto il resto- ma senza alcun  morbido e bellissimo neonato da guardare per ricordarle quanto ne sia valsa la pena. Abbiamo scelto di far nascere Eva per molte ragioni, ma la principale è per donare i suoi organi. Non vi stiamo dicendo questo per diventare popolari o sentirci grandi. Questo è solo un finale che nelle nostre menti -prima ancora di veder nascere Eva e di riflettere su quanto avrebbe meritato di conoscere la sua mamma e il suo papà- ci dà un motivo per andare avanti. Donare è stata la prima cosa che Keri ha avuto in mente, accanto alla seconda, ovvero che abbracciare e baciare la nostra bambina sarà qualcosa che porteremo dentro per sempre, il dono che ha nel suo corpo è quello che conta davvero. Keri ha visto questo quasi istantaneamente. Quel bambino, Jarrius, che indossa una maglietta con scritto “Ci vogliono delle vite per salvare altre vite”. Non sono riuscito a smettere di pensare a lui per tutto il giorno. C’è un’altra famiglia lì fuori che sta male e sta sperando in un miracolo per il proprio figlio, sapendo bene che per averlo sarà necessario che prima muoia un altro bambino. Eva può essere quel miracolo. Siamo vicini al traguardo, e mentre sarà bellissimo tagliare quel nastro e conoscere Eva, sappiamo che tutto questo ha un costo. Andremo in ospedale per una nascita e non porteremo una bambina a casa con noi. Tante persone dicono cose come “Non cambierei nulla”, dopo alcune esperienze, ma io non lo dirò. Lo cambierei assolutamente se potessi. Avrei voluto che mia figlia fosse perfetta. Avrei voluto farle soffiare la candelina al suo primo compleanno. Avrei voluto vedere la sua testa sbattere contro il tavolino nei suoi primi passi. Avrei voluto vederla correre a rispondere al messaggio di un ragazzo sul telefonino. Avrei voluta accompagnarla all’altare. Vorrei cambiare tutto e fa così male. Ma non posso. Questa è la nostra realtà. E non abbiamo modo di fermarla. Ogni volta che Harrison ( il loro primo figlio, n.d.r.) si fa male, o deve mettere un cerotto o altro, Keri gli chiede: “Sei un duro? Sei coraggioso?”. E quel piccolo bambino annuisce dicendo “Sono un osso duro! Sono coraggioso!”. Sto guardando Keri ora e non ho neanche bisogno di chiederglielo. Lei è una dura. Lei è coraggiosa. Lei è incredibile. Lei è straordinaria. Lei è una combinazione di arguzia, bellezza, coraggio, stupidità, carattere e integrità in una sola e spettacolare donna. E, in qualche modo, lei è mia moglie. Non che avessi bisogno di una situazione terribile come questa per accorgermi di tutto questo, ma quello che ha fatto mi ha fatto venire voglia di dirlo a tutti.

 

Inutile aggiungere altro.

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