Certi stereotipi sono davvero duri a morire, e non è solo un modo di dire.

Prendiamo ad esempio quelli di stampo sessista che, ormai, sono talmente radicati nella nostra cultura, nella nostra società, persino nel modo stesso in cui ci esprimiamo e nella concezione che abbiamo rispetto alle cose, da essere accettati e vissuti come completamente “naturali”.

Insomma, nessuno (o quasi) si scandalizzerebbe né si sorprenderebbe se sentisse parlare, come effettivamente avviene, di giocattoli “da maschi” e “da femmine”, o sentisse un genitore rivolgersi al proprio figlio dicendo “Lascia perdere quello sport, è da signorine!”

Non ci scandalizziamo perché abbiamo metabolizzato talmente in profondità quest’idea, inculcata da retaggi passati al sapore di maschilismo e patriarcato, della diversità che impone il bisogno di distinguere tra “cose da maschi” e “cose da femmine”, da farla nostra anche nel linguaggio comune, per sottolineare una differenza, rimarcare nettamente un confine. Al punto che sono le donne stesse, le mamme, le nonne, a uscirsene con frasi del tipo “Comportati da signorina!”.

Ma il fatto che non ci scandalizziamo perché ormai “assuefatti” al dualismo uomini vs donne non significa che tutto ciò sia giusto; che dobbiamo perpetuare un errore già ampiamente portato avanti da altri, persino da chi dovrebbe educare le giovani generazioni all’uguaglianza di genere e invece, pur se involontariamente (proprio perché spinto dal medesimo cliché ormai consolidato) contribuisce a far notare maggiormente la presunta diversità.

La letteratura stessa, anche quella attuale, è tutt’ora talmente impregnata di stereotipi di stampo sessista che districarsi in un argomento, già di per sé complesso, con i propri figli è reso in questo modo ancor più complicato. Questo accade perché spesso sono gli stessi film, serie tv, ma anche i testi scolastici a fornire immagini stereotipate, in primis quella della mamma tuttofare che sta ai fornelli perfettamente truccata e pettinata, e del “papone” che torna dal lavoro e si butta sul divano a guardare la televisione in attesa della cena.

E tutto ciò dovrebbe essere contrastato, non passivamente accettato come immutabile e sempiterno, a partire proprio dai genitori, che per primi dovrebbero lottare affinché i cliché vengano definitivamente superati e abbattuti e ai figli si insegni il valore dell’uguaglianza, non quello della diversità presunta.

Ecco perché abbiamo scelto di raccontarvi la storia di Luigina Foggetti, che lavora nel marketing online e gestisce il magazine Girl Geek Life, ed è anche una mamma, di due gemelli. Ci ha colpito un post pubblicato sul suo account Facebook, e la riflessione ad esso seguente.

Controllo qual è la filastrocca da imparare a memoria – scrive Luigina nel post – e scopro che:
– non metto il rossetto
– non stiro camicie
– non vado al mercato
– non saltello in palestra
– non bevo, ahimè, il tè con le amiche

Quindi, non sarei una Supermamma?

Già, la domanda è proprio questa: non ci si può considerare supermamme solo perché non si rispecchia uno stereotipo? Luigina non ci sta, e decide di prendere provvedimenti, come lei stessa ci ha raccontato quando l’abbiamo ascoltata.

Ero alle prese nell’aiutare i miei figli più piccoli a imparare a memoria una filastrocca per la festa della mamma (sono gemelli in classi separate, ma hanno gli stessi compiti). Più che una filastrocca è un elenco di attività che fa la supermamma – titolo della filastrocca – durante la giornata. Di queste dieci attività io forse riesco ad arrivare a cinque, così posto sul mio profilo Facebook questa considerazione, chiedendomi pure ironicamente se questo facesse di me una mamma non super.

Contemporaneamente scrivo alla casa editrice tramite la loro pagina Facebook, facendo notare che la filastrocca proposta sul libro di testo di prima elementare ricalca stereotipi di genere che sarebbe meglio abbandonare.

Anche perché nella pagina a fianco a quella della supermamma, come se non bastasse, c’è quella dedicata al paparone, che recita così:

Papà è il solito tiratardi
a volte bisogna chiamarlo
anche cinque volte: – Papà,
è pronto in tavola!
E lui – solo un attimo che c’è
una notizia importante in tv.
Dopo qualche minuto: – Papà,
il cibo si raffredda.
E lui: – Sì, arrivo subito. Devo
controllare sul computer
se mi è arrivata una mail.
Insomma, finalmente, dopo
vari richiami compare lui,
il nostro adorato paparone.

Per una volta, però, e per fortuna, la casa editrice decide di accogliere la protesta di Luigina, e di fare un passo indietro.

La casa editrice mi risponde molto gentilmente il lunedì dopo – ci racconta – Ha deciso di rivedere il libro in questione e in generale le proprie pubblicazioni scolastiche nelle parti che riguardano i ruoli di uomini e donne, proponendomi una collaborazione in qualità di consulente. Mi è sembrato un bel gesto, da anni mi occupo di queste tematiche, l’ultimo articolo che ho scritto a riguardo questo tema esortava proprio a segnalare alle case editrici dei libri scolastici i loro testi ancora pieni di stereotipi.

Insomma, stavolta la casa editrice ha riflettuto sulle inopportune filastrocche considerandone i significati e tutto il pericolo connesso riguardo il portare avanti cliché di genere, e ha proposto a Luigina di collaborare per correggere e rivedere i testi, magari alla luce di una mentalità decisamente più contemporanea e meno stereotipata. Un esempio che tutti i genitori, alle prese con libri di testo spesso marcatamente sessisti (poiché rispecchianti quel tipo di impronta culturale e quindi tesi a evidenziare ancora le diversità piuttosto che ad annullare il gap), dovrebbero seguire, anziché accettare passivamente questa mentalità, che rischia, se assorbita acriticamente, solo di formare adulti altrettanto convinti che esistano “cose da uomini e da donne”.

I genitori sono prima di tutto dei modelli che i figli prendono come esempio, ed è un processo naturale – ci dice Luigina – Perché parlare bene e razzolare male coi figli proprio non funziona. Bisogna vedere però quanta consapevolezza c’è di tutto ciò nei genitori.

Proprio ieri ero al parco e una mamma parlando con un’amica mentre allattava si lamentava che il marito in casa e soprattutto coi bimbi non l’aiutava affatto. Mentre diceva questo si è avvicinato l’altro figlio che aveva sì e no due anni.

Ecco, gli stereotipi si abbattono soprattutto quando certe considerazioni o opinioni non corrispondono più a una situazione reale.

Sfidare quello che lei chiama il “canyon che divide donne e uomini” è più che mai fondamentale.

… Perché gli stereotipi fanno male a tutti. Gli stereotipi fanno male anche agli uomini. Perché la mascolinità può diventare una trappola.

Ma da dove possiamo partire, le chiediamo, per provare a cambiare le cose? È sufficiente scrivere una protesta formale a una casa editrice per abbattere anni di sessismo placidamente ostentato? Proprio in virtù di “quell’abitudine” che tutti noi sembriamo aver fatto agli stereotipi, come possiamo smettere di considerarli “naturali” per ritenerli, invece, sbagliati?

Dal renderci conto, aziende e istituzioni, che gli stereotipi fanno male a tutti – asserisce Luigina – Proporre prodotti per maschi e femmine sembra pagare in termini di marketing e vendite nell’immediato, ma così non si è lungimiranti.

È noto che l’economia mondiale paga un costo in termini di mancata crescita per l’assenza delle donne dai meccanismi decisionali e dal mondo del lavoro: l’OCSE stima che nei prossimi 8 anni il PIL mondiale potrebbe aggiungere 2 punti e mezzo se dimezzassimo il gap di partecipazione.

Siamo solo all’inizio di un percorso che richiede uno grande sforzo da parte di tutti.

Ma la strada, se ne rende conto anche da sola, è tutt’altro che facile.

Molte volte assisto a discussioni sul tema che mi fanno rabbrividire. Appena una donna prende posizione la si taccia di essere femminista, come fosse un’onta. E lei quindi arretra. Ma cosa vuol dire in realtà essere femministi?

Io in questi casi ricordo il discorso fatto dal premier canadese Trudeau a Roma: ‘Come mai le donne rappresentano la metà della popolazione ma solo un quarto dei nostri legislatori?Personalmente, non lo trovo accettabile. Né come capo di governo, né come padre, e certamente nemmeno come femminista. Perché sono un femminista, non dimenticatelo. Perché è così che il progresso avanza. Una persona alla volta. Un cambiamento alla volta. Sono convinto che è nostra responsabilità insegnare alle bambine e alle giovani donne che il loro futuro non conosce confini. Ma questa è solo la metà dell’equazione. Dobbiamo anche insegnare ai nostri figli maschi di mantenere alta la loro attenzione sulle pari opportunità e le pari competenze.

Insegnare, insomma, che un “paparone” può anche dare una mano a preparare la cena, o che una mamma può anche essere stanchissima e aver voglia di ordinare una pizza e non di cucinare. O che è “super” anche quando lotta, come può, per cercare di dare un futuro migliore ai suoi figli, quello dove esistono solo cose da “persone” non da “uomini e donne”.

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