Il termine raschiamento non è tra i più piacevoli, è infatti utilizzato in ambito salute per identificare la pratica ginecologica dell’aborto, ovvero la perdita del feto.
Che l’aborto sia spontaneo o no, è necessario sottoporsi alla pratica del raschiamento per ripulire l’utero da frammenti di endometrio.

Non si tratta di una pratica dolorosa dal punto di vista fisico, avviene in anestesia totale, più precisamente in sedazione farmacologica profonda, e ha una durata che va dai 10 ai 15 minuti, eppure, nonostante non sia poi così faticoso sottoporcisi, non è certo un intervento foriero di bei ricordi.

Prima dell’intervento si ricorre ad un’attenta visita ginecologica che richiede l’ecografia dell’utero e la pratica del tampone cervico-vaginale. A seguire le analisi del sangue e il controllo di eventuali allergie che la paziente deve comunicare al medico preventivamente. Infine è richiesto di firmare un documento che confermi il consenso a procedere all’operazione da parte della paziente e che verifichi che sia a conoscenza dei possibili rischi dovuti alla pratica chirurgica.

Come si effettua il raschiamento uterino?

L’operazione prevede la dilatazione del collo dell’utero nel quale inserire i ferri chirurgici, tra questi la “curetta” (da qui il termine curettage, un altro nome con cui viene frequentemente chiamato il raschiamento uterino), un ferro a forma di cucchiaio con il quale il medico raschierà i frammenti di endometrio per poi trasportarli verso l’esterno con un altro ferro anch’esso a forma di cucchiaio.

A fine intervento, al risveglio dall’anestesia, è possibile riscontrare perdite di sangue ma non in maniera eccessiva, dato che tendono a scomparire dopo qualche ora.
L’operazione avviene in day hospital, cioè nell’arco della giornata. Non prevede il ricovero, per cui si può tornare a casa dopo aver finito. Lo svuotamento e la revisione della cavità uterina è un passaggio obbligato, oltre che necessario, in caso di aborto spontaneo. Si devono infatti rimuovere i residui di endometrio e il feto morto dall’utero affinché non ci siano emorragie.

L’isterosuzione

Un’altra pratica di controllo e revisione uterina è l’isterosuzione: è simile al raschiamento e permette di definire lo stato di salute dell’utero, del canale cervicale e dell’endometrio.
Ci si può sottoporre se l’interruzione di gravidanza avviene prima delle otto settimane di gestazione, prevede anestesia generale e ha una durata di 5 minuti.
In questo caso gli strumenti sono meno invasivi, si utilizza infatti una pompa aspiratrice che attraverso una cannula inserita nell’utero porta all’esterno l’embrione e i residui di endometrio. Possono essere effettuate entrambe le due pratiche, quella del raschiamento e dell’isterosuzione, se la gravidanza supera le otto settimane di gestazione.

Dopo il raschiamento

Il medico, infine, raccomanda di non avere rapporti sessuali nelle settimane successive, di evitare tamponi o lavaggi vaginali e di preferire la doccia alla vasca per lavarsi. Non dovrebbero esserci complicazioni, ma è il caso di preoccuparsi se si hanno dolorose fitte, sanguinamento, cattivo odore vaginale, svenimenti o perdita della vista, febbre alta o flusso mestruale abbondante. Il ciclo mestruale dovrebbe tornare alla sua normalità dopo qualche settimana, il medico potrebbe anche consigliare l’uso di anticoncezionali. Inoltre il raschiamento non nega la possibilità di avere una gravidanza subito dopo, o anche col passare degli anni, e non lascia cicatrici evidenti.

Raschiamento diagnostico o terapeutico

Ci si può sottoporre a raschiamento non solo in caso di aborto, ma anche in caso di anomalie all’interno dell’utero.
Si tratta di raschiamento diagnostico o terapeutico: a questo si procede in caso di abbondanti perdite di sangue o in caso di immotivata scomparsa del ciclo (amenorrea) a saltelli. Tocca soprattutto donne over 40 e tenta di risolvere il sospetto nei confronti di polipi nella cavità uterina, o peggio di un tumore all’utero o di una tubercolosi genitale.
Utilizzato come strumento di diagnosi, risponde con certezza ai dubbi sopracitati definendo quale sia effettivamente il problema. Non è però adatto in caso di tumore come strumento terapeutico, perché questo va trattato chirurgicamente.

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