Il dibattito sull’allattamento al seno è sempre aperto e spesso inficiato da pregiudizi di  varia natura, come quello che vorrebbe le madri che scelgono o devono allattare artificialmente “meno madri” delle altre.

Esiste una sorta di “santificazione” delle mamme che allattano al seno, e di conseguenza una stigmatizzazione neanche troppo implicita verso chi segue un percorso diverso, soprattutto se questo percorso deriva da una scelta ponderata e fatta per le più diverse ragioni: senso di inadeguatezza, dolore fisico, mancanza di tempo o poca pazienza.

Tra le forme di violenza ostetrica più comuni, ma molto spesso normalizzate, c’è proprio quella del personale medico che “obbliga” le neomamme ad allattare al seno o fa domande sulla scelta di voler interrompere con l’allattamento naturale. Frasi come “Non sei la prima né l’ultima a farlo, non ti lamentare” o “Un po’ di dolore è normale, ma puoi sopportare” fanno male alle mamme, le fanno sentire inadeguate e sbagliate, laddove invece non allattare dovrebbe essere un diritto non sindacabile.

È quanto scrive anche la scrittrice Sirin Kale, contributor del Guardian, in un articolo per il giornale britannico, in cui, ripercorrendo i giorni dopo la nascita del figlio Cyrus, descrive proprio il senso di frustrazione e lo stigma ricevuto per aver deciso di non allattare.

La mia sanità mentale e i miei capezzoli cominciarono a corrodersi intorno al terzo giorno. Prima sanguinavano, macchiando il mio reggiseno da allattamento bianco. Apparvero profonde fessure, come la superficie screpolata di una torta appena sfornata. Le croste non guarivano e fuoriusciva un liquido che si attaccava alle coppette assorbilatte. Allattare Cyrus giorno e notte attraverso una ferita aperta e infetta era come essere strofinati con la lana d’acciaio e bagnati con l’acido. Al mio controllo al quinto giorno, mostrai alla consulente per il supporto materno i miei capezzoli martoriati. Mi osservò allattare, rabbrividendo dal dolore. L’aggancio era buono, disse. Sarebbe diventato più facile.

Posso tracciare la mia successiva disintegrazione mentale attraverso la mia cronologia di ricerca di Google. Quattro giorni dopo il parto: sanguinamento al capezzolo durante l’allattamento. Come continuare l’allattamento con capezzoli sanguinanti? Benefici dell’allattamento. Sei giorni dopo il parto: dolore al seno nella prima settimana di allattamento. Come dovrebbero apparire i capezzoli dopo l’allattamento? Tre settimane dopo il parto: inferno dell’allattamento. Odio l’allattamento. Non ce la faccio con l’allattamento.

[…] Piangevo tutto il tempo. Raramente uscivo di casa. Mio marito mi supplicava di smettere di allattare, ma rifiutai. Non potevo farlo. Perché? Perché ero disposta a sacrificare il mio benessere per versare il mio latte in quella piccola bocca perfetta? E perché nessun professionista mi diceva di smettere?

Le linee guida sull’allattamento raccomandano, in linea generale, l’allattamento esclusivo al seno almeno per i primi sei mesi, meglio se prolungati ai 12, e l’OMS, nelle indicazioni più recenti, lo raccomanda anche entro i 24 mesi. Il latte materno, è comunemente riconosciuto dal mondo scientifico, riduce il rischio di infezioni, diarrea, vomito, sindrome della morte improvvisa del lattante, obesità e, in età adulta, malattie cardiovascolari, mentre per le madri riduce il rischio di cancro al seno e alle ovaie, osteoporosi, malattie cardiovascolari e obesità. I benefici, insomma, sembrerebbero molteplici, anche se non tutti sono d’accordo.

“Non credo che ci sia una prova schiacciante dei benefici dell’allattamento”, afferma ad esempio al Guardian la dottoressa Ruth Ann Harpur, psicologa e co-fondatrice dell’Infant Feeding Alliance, sostenendo che i bambini allattati al seno provengano soprattutto dalle famiglie più ricche, quelle che hanno un miglior accesso ai servizi sanitari in generale. La dottoressa sottolinea inoltre che è piuttosto elevato il numero di neonati e bambini piccoli che viene ricoverato per disidratazione, perché le madri cercano di continuare con l’allattamento anche quando il latte non apporta nutrienti a sufficienza.

Anche la professoressa Amy Brown, della Swansea University, sostiene che “Ognuno deve valutare le proprie circostanze individuali e prendere la decisione che è giusta per sé. L’allattamento al seno non è il fattore definitivo che influenzerà la salute del tuo bambino oltre ogni altra cosa. Sappiamo che aiuta a proteggere la salute dei bambini a livello di popolazione, ma non si possono semplicemente applicare quei dati a qualsiasi bambino. Se il tuo bambino è alimentato con la formula crescerà comunque bene”.

Nel Regno Unito, la maggior parte delle donne desidera allattare i propri figli, ma smette dopo poche settimane dalla nascita. Accedere a dati affidabili è difficile, perché il governo ha sospeso il suo Studio sull’Alimentazione Infantile nel 2010 ma, fino a quel momento, solo l’1% delle donne allattava esclusivamente a sei mesi. Dati più recenti dalla Scozia suggeriscono un miglioramento, con il 21% dei bambini allattati al seno a 13-15 mesi di età. In Italia, secondo una ricerca della Sin, nei primi giorni di vita il 90% delle mamme allatta al seno il neonato; alla dimissione dall’ospedale la percentuale scende al 77%, per poi crollare al 31% a 4 mesi. Solo il 10% continua ad allattare oltre i 6 mesi di vita.

Questo accade perché non per tutte le madri l’allattamento al seno è un’esperienza piacevole, priva di complicazioni, e troppo spesso i medici sono poco aggiornati e continuano a consigliare rimedi vetusti per stimolare la prosecuzione dell’allattamento.

Kale spiega che l’NHS britannico, ad esempio, consiglia alle donne di applicare del calore sui seno gonfi e doloranti, mentre un recente protocollo (2022) dell’Accademia di Medicina dell’Allattamento afferma che il modo migliore per ridurre il gonfiore è con impacchi freddi.

La verità è che spesso anche chi dovrebbe occuparsi di consulenze sull’allattamento lo fa con un tono paternalistico e una sorta di “misoginia interiorizzata”, dando per scontato che allattare al seno sia la sola ipotesi da prendere in considerazione; sappiamo già che il dolore delle donne viene minimizzato o sottovalutato in sede medica, e quello provato durante l’allattamento è solo un altro dei tanti esempi.

 

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