Se si torna al lavoro ma asili e scuole sono chiusi, i bambini dove li mettiamo?

Il cruccio di milioni di famiglie alle porte della fase 2 del lockdown sono i bambini: con le scuole chiuse probabilmente fino a settembre, lo smart working che diventa meno vincolante e il ritorno imminente in ufficio, cosa ne sarà di loro? Tra soluzioni, proposte e campagne social, facciamo il punto della situazione.

La news aleggia nell’aria da settimane, anche se non è ancora stata ufficializzata dalla ministra dell’Istruzione Azzolina: nella fase 2 del lockdown prevista dal 4 maggio 2020, la riapertura delle scuole non è parte dell’equazione.

Quando (perché ormai non è più un “se“) verrà annunciato lo slittamento del ritorno tra i banchi, sapremo anche se a settembre la scuola italiana sarà pronta ad accogliere milioni di bambini e ragazzi seguendo i principi di sicurezza, buon senso e distanziamento sociale per evitare di tornare al punto di partenza con la diffusione del Covid-19. O forse non lo sapremo se non all’ultimo, perché al netto delle polemiche, il Coronavirus ci ha insegnato che fare piani con lui in giro non è poi così semplice.

Da un lato si parla di ri-partenza per industrie e aziende necessaria per alleggerire il peso della crisi economica, dall’altro ci sono madri e padri che di questa ripresa sono il cuore. E i loro figli, i nostri figli, che fine fanno in questo quadro?

La risposta è che al momento un posto non ce l’hanno o meglio, ce l’hanno ed è a casa con chissà chi accanto. Tra le istituzioni il silenzio sulla questione è assordante e la voce dei genitori ancora troppo flebile, persino quella di chi ha continuato a lavorare per tutto il tempo e davanti al problema ci si è trovata ben prima di chi ha fatto smart working.

I numeri del lavoro nella fase 2

Secondo uno studio di Yoopies, piattaforma internazionale di incontro fra domanda e offerta di assistenza all’infanzia e servizi alla famiglia, durante il confinamento in circa l’87% dei nuclei familiari analizzati almeno uno dei due genitori è potuto rimanere a casa con i bambini, mentre nel 13% dei casi entrambi hanno continuato a lavorare fuori casa.

Dal 4 maggio in poi ci saranno due gruppi: una buona metà (il 53%) sarà composta da nuclei familiari in cui entrambi i genitori dovranno rientrare al lavoro; il 47% avrà mamma o papà in smart working o impossibilitato a lavorare.

Le fasi della crisi dei bambini, senza scuola e senza amici

C’è una parte di questa storia che fa male e sta nella testa dei bambini. Che guardano foto e pensano al “fuori” con un sentimento che magari non sanno neanche descrivere a parole. Che sognano nonni, zii e amichetti come fossero cose di un altro pianeta. E che vedono mamma e papà a casa (negli scenari migliori) dibattersi tra un pc, il telefono e la didattica online per cercare di far quadrare tutto senza crisi.

E la questione è ancora più delicata se si pensa ai bambini con autismo che non sono stati considerati nel primo decreto del lockdown, quello più restrittivo, e che col supporto dei genitori e con tanto buonsenso hanno affrontato il mondo esterno con un nastro blu al braccio, per segnalare la loro presenza al mondo.

A questo quadro si aggiunge l’altra faccia della storia: senza sapere a chi lasciare i figli, con i nonni fuori uso perché soggetti a rischio da proteggere e un bonus baby sitter che sostanzialmente fa poco la differenza sul lungo termine, si andrà verso l’addio al posto di lavoro di almeno uno dei due genitori, presumibilmente la madre: punto e a capo.

Il Comitato Educhiamo, nato a marzo 2020, ha fatto sapere che migliaia di nidi e strutture private in Italia (spesso scelta obbligata per molti genitori) rischiano di non sopravvivere al Covid-19: quindi, anche trovando una soluzione per riaprirle mettendo al centro la sicurezza, il rischio più grosso è non avercelo neanche più un asilo di zona in cui portare i bambini.

Chi ha pensato a loro nei vari decreti di questi ultimi due mesi? Se persino noi adulti fatichiamo a tenere insieme il nostro benessere mentale senza socialità, lavoro altalenante e incertezze sanitarie, come faranno i bambini, partendo dalle fasce più deboli (0-6 anni) a salire?

Chi pensa ai bambini?

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#NONCISIAMO Dopo oltre un mese dall’inizio del lockdown NON CI SIAMO nei pensieri del governo. La Ministra per le Pari Opportunità e le politiche per la famiglia Elena Bonetti rilascia oggi un’intervista su cosa si stia facendo e PENSANDO di attuare in merito. Vittime di una sindrome abbandonica che abbiamo sviluppato in 6 settimane, sentiamo il bisogno di porre al governo delle domande e chiedere chiarimenti in merito in vista del 3 maggio: ⁃ A fronte dell’imminente riapertura delle aziende, quando partiranno i bandi per i progetti educativi che coinvolgono soggetti del terzo settore come associazioni di volontariato, cooperative sociali, di cui si parlava già a novembre in pre-pandemia, annunciati in partenza a gennaio e che immaginiamo declinati ora per l’emergenza? ⁃ Come forma di sostegno alle famiglie nel ruolo educativo, si propone un assegno universale mensile per ogni figlio di cui si era parlato a febbraio in seno al Family Act sulla base del reddito e l’estensione per altri 15 giorni del congedo parentale straordinario. In un paese in cui i dati Istat- in condizioni non emergenziali- rilevano che il 31,5% delle donne disoccupate non cerca lavoro per motivi legati alla maternità e alla cura dei figli, e il 28% delle madri attualmente inoccupate ha lasciato il lavoro per gli stessi motivi negli ultimi sette anni, come si pensa di tutelare e supportare l’accessibilità al lavoro da parte delle donne in questo frangente? ⁃ L’Istat segnala che il 40% dei bambini italiani vive in case sovraffollate e inadeguate. Quali sono i tempi dei bandi proposti per progetti che ridefiniscano spazi per i bambini, coniugando libertà e distanziamento sociale? Che tempi e modalità di attuazione si dà il gruppo costituito all’interno dell’Ossevatorio per l’infanzia e l’adolescenza per la gestione di un ritorno ad una “normalità diversa”, che tenga conto della sindrome da shock post-traumatico che i bambini soffrono e soffriranno? Siamo i tutori dei nostri figli. Vogliamo esserci, e vogliamo esserci ora. E invece NON CI SIAMO. Abbiamo lanciato la campagna #noncisiamo. Clicca il link in bio. @giuseppeconte_ufficiale @luciaazzolina @ministero.pariopportunitaefam

Un post condiviso da Mammadimerda (@mammadimerda) in data:

Francesca Fiore e Sarah Malnerich sono le due torinesi founder della community @mammadimerda che nei giorni scorsi hanno lanciato la campagna #NonCiSiamo: più che un hashtag, è un flusso continuo di domande di madri e padri alle istituzioni. La più pressante (e pesante) che si sono poste è legata al tasso di disoccupazione femminile che rischia di toccare picchi incredibili alla ripresa senza scuola.

In un Paese in cui i dati Istat- in condizioni non emergenziali – rilevano che il 31,5% delle donne disoccupate non cerca lavoro per motivi legati alla maternità e alla cura dei figli, e il 28% delle madri attualmente inoccupate ha lasciato il lavoro per gli stessi motivi negli ultimi sette anni, come si pensa di tutelare e supportare l’accessibilità al lavoro da parte delle donne in questo frangente?

Il Comune di Milano, con la spinta del sindaco Beppe Sala, sta valutando delle Summer School per permettere a bambini e ragazzi di trascorrere un’estate che somigli quanto più possibile alle solite, almeno nella leggerezza. E lo fa pensando anche al fatto che milioni di persone, in questi giorni, stanno dando fondo alle ferie ordinarie per andare incontro alle aziende e presumibilmente non avranno più giorni disponibili a luglio e ad agosto (anche senza andare al mare: giusto per riposarsi).

Il modello-Milano prevede il potenziamento di oratori e piscine per permettere ai ragazzi di sfogarsi con lo sport e potrebbe anche essere un format replicabile nelle varie regioni se solo non incontrasse lo scoglio delle norme di sicurezza anti-Covid 19 che non vanno d’accordo con la promiscuità di palestre, piscine e similari. Ancora una volta, dove li mettiamo i bambini se la ripresa impone il ritorno alla normalità dei grandi, ma non ci sono le condizioni per permetterlo anche a loro?

Lo studio di Yoopies ha messo in luce che le soluzioni che i genitori hanno davanti sono ancora nebulose: al primo posto c’è la baby sitter fissa, mentre al secondo posto ci saranno amici e parenti ad aiutare. Un buon 20% non sa ancora cosa fare. Gli intervistati arrivano dalle situazioni più disparate, impossibili da ignorare: dalle madri single ai genitori di figli con disabilità o autismo.

Non potendo permettermi per tutto il tempo babysitter ed essendo madre single non so come organizzarmi.

L’unica possibilità è che io, la mamma, negozi con la mia azienda un periodo di congedo non pagato.

Non sappiamo davvero a chi lasciare i bambini, questo è un problema.

Per non parlare di quei bambini che dei genitori che si fanno domande, si preoccupano e cercano soluzioni non ce l’hanno: se si entra nelle specificità allora è tutta un’altra storia. Per dare voce ai “bambini invisibili” – 450 mila minori a carico dei servizi sociali italiani di cui 91 mila allontanati dalle famiglie d’origine a causa di maltrattamenti – l’Associazione Agevolando ha lanciato una petizione su Change.org  che chiede a gran voce alle istituzioni una task force per mettere al sicuro questi bambini a cui non pensa nessuno.

Bonus famiglie e Famili Act: a che punto siamo

C’è un altro ministero al lavoro per fare proposte, quello delle Pari Opportunità e Famiglia della ministra Elena Bonetti. Lei e il suo team stanno lavorando per dare voce ai bambini su più livelli, a partire da quello economico di mamme e papà.

La sua proposta è sul piatto da febbraio 2020 e si chiama Family Act: un piano che deve in qualche modo superare gli scogli di Bonus Baby Sitter (600 euro una tantum) e congedo parentale straordinario di 15 giorni previsti dal Decreto Cura Italia. Lei punta a piccoli accrediti in base alle fasce di reddito da distribuire mensilmente, da aprile a dicembre prossimo (da 160 a 80 euro). Con i cambiamenti del 4 maggio e le aperture della fase 2, questa nuova modalità andrà veramente in porto?

Sempre la ricerca di Yoopies ha rivelato l’amara verità: il bonus da 600 euro attualmente disponibile per le famiglie non può bastare se la soluzione è assumere una baby sitter che stia con i bambini in pianta stabile. Per i genitori intervistati dalla piattaforma:

Il Bonus non copre nemmeno un quarto delle spese da sostenere per due bambini tenuti 8 ore da una baby sitter per 5 giorni alla settimana per i prossimi 5 mesi.

Il problema è che non esiste ancora un interruttore capace di spegnere il virus non appena saremo usciti di casa e che l’emergenza sanitaria rischia di continuare a lungo, fino a dicembre (volendo essere ottimisti). 600 euro spalmati su più di sei mesi non coprono il lavoro neanche della tata più economica, come hanno fatto notare gli intervistati al sondaggio, figuriamoci di una che si deve sostituire ai servizi educativi di prima infanzia (a salire).

Si tratta di emergenza da marzo a settembre. 600 euro coprono solo un mese e il bonus baby sitter non è cumulabile con i 15 giorni di congedo parentale straordinario, che sono comunque pochissimi.

I bambini non sono un problema di pochi, sono la comunità del futuro

Sono tutte misure che aiutano nell’immediato, ma non pensano alla stabilità. E non mirano a risolvere il problema di famiglie che una tata non potevano permettersela prima, figuriamoci adesso (e figuriamoci farlo con 600 euro). Il “meglio di niente” dei primi giorni post-decreto, il sollievo immediato per il poter portare in tavola pranzo e cena o pagare le bollette è stato sostituito dal pensiero costante di come gestire i bambini nella fase 2, davanti a una ripresa che è sì obbligata ma al momento non ha prospettive.

Senza scuole, senza nidi, senza materne e con la voglia di ricominciare mischiata alla paura di non farcela a far quadrare tutto, il peso di questa nebbia che coinvolge i bambini cadrà probabilmente sulle madri che chiederanno una diminuzione dell’orario di lavoro o ci rinunceranno per forza di cose. O sui padri, se, come è giusto, il peso dei figli è equamente ripartito.

In questa situazione non c’è chi vince o chi perde, ma nel mezzo ci sono bambini e ragazzi che, senza falsa retorica, non hanno strumenti a cui aggrapparsi per riprendere la vita lì dove l’avevano lasciata. Su un banco, con uno zaino sulle spalle.

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