Cronaca semiseria di una mamma che lavora da casa ai tempi del coronavirus

Con la decisione del Consiglio dei Ministri del 4 marzo 2020, tutte le scuole di ordine e grado d'Italia rimarranno chiuse fino al 15 marzo per l'allarme Coronavirus. Bimbi a casa, genitori in smartworking, incastri da tetris per chi deve andare in ufficio comunque e un pizzico di ironia per sopravvivere all'orda di studenti a riposo forzato. Qui c'è la cronaca (semi) seria di una mamma freelance.

Piccola premessa: sono una freelance, quindi il lavoro da casa è il mio pane quotidiano. In un periodo normale mia figlia di cinque anni esce di casa per andare a scuola col papà, che invece lavora in ufficio, alle 8 e un quarto: a quel punto comincia la mia giornata di scrittura e di silenzio, di faccia al muro, di pausa caffè alle 11 e di pranzo alle 13, di lavatrici dribblate e di disordine bellamente ignorato perché se ho delle consegne, la cura della casa può attendere.

In un periodo normale: ma questo non è un periodo normale, è il periodo da smart working per Coronavirus con bambini a casa e chissà per quanto tempo lo sarà. L’emergenza Coronavirus ha portato alla chiusura preventiva di scuole ed eventi pubblici, a un’Italia paralizzata tra la voglia di essere fatalista, l’esigenza di andarci cauti e, tra le conseguenze, anche a un’orda di bambini e ragazzi a casa da scuola.

Nell’emergenza, molti genitori d’Italia con lavori che permettono la pratica hanno provato cosa vuol dire lavorare in smart working da casa. Chi può farlo si porta il computer dietro e cerca di chiudere i progetti come fosse in ufficio; chi non ha nonni disponibili e non può pagare una tata, fa quello che può per tenere tutto in bilico; le famiglie in cui solo il padre e la madre creano gli equilibri e gli incastri giusti per gestire i figli hanno preso al volo questa possibilità e ora la nuova routine è questa: abituiamoci.

Se scrivo questo pezzo è perché da oggi migliaia di genitori – mamme o papà, che importa – si ritroveranno nella situazione in cui mi trovo anche io. Consola? Un pochino. Aiuta? Mi sa di no: qui non troverete consigli su come passare il tempo con i bambini a casa per Coronavirus, ma solo un pizzico di leggerezza nella cronaca delle mie giornate di lavoro con cinquenne al seguito, in cui tanti potranno riconoscersi, sia chi aveva già provato il telelavoro, sia chi lo ha scoperto in questo periodo così strano delle nostre vite.

Stamattina mia figlia ha detto “Non ti voglio” per 17 volte, urlandolo dalla sua stanza dove l’ho mandata dopo un capriccio (non trovava il temperamatite, ndr). Diciassette volte: le ho contate. Io nel frattempo scrivevo di un film con Ryan Gosling cercando di astrarmi nello spazio-tempo del mio soggiorno e attivare l’udito selettivo. Lei è andata avanti per un po’ e poi ha deciso che poteva cominciare a urlare “Voglio papi” per altre 34 volte prima di chiuderla lì e tornare in soggiorno per guardare Curioso come George.

Questo capriccio incredibile me lo ricordo perché è stato il primo di questo periodo: da quando Elena è a casa da scuola (due settimane, essendo lei figlia di calabrese ma residente al nord) è sempre stata bravissima. In questo capriccio però l’ho riconosciuta: è una cosa normale. Elena che comincia una filippica assurda perché non trova una cosa che lei stessa ha occultato è normalità e Dio sa quanto ne abbiamo bisogno ora.

A casa con lei lavorare è un casino: non perché questi capricci che nascono dalla noia o dal nervosismo o dal fatto che ha pur sempre 5 anni e fare capricci è nel suo DNA sia normale, ma perché ovviamente pretende attenzioni. Vuole giocare a Forza Quattro e dopo un secondo fare il memo. Poi prende un puzzle e nel frattempo ti chiede una tazza di latte. Tu stai cercando di scrivere in italiano corretto perché le consegne, i capi, le scadenze non sono state paralizzate dal Coronavirus e lei vuole che tu sia sua madre (o suo padre) per davvero, non tra un’occhiata al di sopra del computer e l’altra.

Se si è solo in due a gestire i bambini, le conversazioni di questi giorni tra mamma e papà sembreranno quelle dei manager di multinazionali con una agenda fittissima e incastri da fare. Manca solo una segreteria a scrivere chi è in smart working, chi ha scadenze più imminenti, chi ha una chiamata che presuppone silenzio, chi può uscire un’oretta per andare ai giardinetti, chi deve andare in ufficio per forza e chi sarà a casa in data x e y.

I bambini piccoli capiscono quello che sta succedendo intorno a loro? Sì e ovviamente ne sentono il carico psicologico, anche se non sanno esprimerlo a parole. Non sono abituati, nella maggior parte dei casi, a vedere mamma e papà lavorare: per loro mamma e papà sono quelli che quando sono con loro non lavorano, punto. I 17 “Non ti voglio” di mia figlia di stamattina? Glieli perdono: onestamente all’annuncio della chiusura delle scuole per Coronavirus fino al 15 marzo 2020 avrei voluto mettermi a urlare anche io.

Questa è la nuova normalità. I giardinetti e la vita all’aria aperta diventeranno uno sfogo imprescindibile e chi non ha tate e nonni si arrangerà con la resilienza tipica di chi sa che è così, punto. Avete presente gli incastri dei genitori senza aiuti esterni quando i figli sono malati? Diventeremo dei cintura nera di tetris con il nuovo assetto che la situazione ci impone. Cucineremo comfort food sognando mozzarelle ripiene di Nutella fino allo sfinimento pur di non cedere all’ansia. E lavoreremo con residui di tempera sul computer, schizzi di acquerelli sull’agenda, casa sfatta intorno e lavatrici da fare.

Consegneremo tutto in tempo o forse no; risponderemo a tutte le telefonate e altre le metteremo in attesa perché in quel momento ci saranno cacca, compiti e altre richieste incredibili ad attendere. Faremo riunioni con i colleghi in remoto girando il sugo. Guarderemo i Me contro Te fare slime fluffy mentre chiuderemo un foglio Excel, risponderemo alle mail con un occhio al casino in cameretta e quando le scuole riapriranno, quando questa emergenza sanitaria e sociale sarà lontana, ripenseremo a questo periodo e ci diremo: Ma che davvero ero io quella che non ha sbroccato mentre cercava di lavorare e di essere allo stesso tempo un genitore decente?

Sì, eravamo noi. Siamo noi, qui e ora. Io sono una mamma freelance, lo smart working è la mia normalità e da oggi e per un po’ di settimane il lavoro in remoto sarà in un co-working con mia figlia di cinque anni. Abituiamoci e prendiamoci tutto il peso, il nervoso, lo stress, lo sclero, le conseguenze che verranno ma anche la bellezza della sensazione che ti dà la frase “Stiamo tutti bene” e sopravviveremo, con o senza aiuti.

Ah, il temperamatite era nel cassetto del suo comodino. Tanto rumore per nulla.

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