Oltre un bambino su dieci, solo in Italia, ha avuto paura che la propria vita o quella della mamma fosse in pericolo; un bambino su due ha assistito direttamente ai maltrattamenti.

Solo negli ultimi 5 anni, nel nostro paese, 427 mila bambini sono stati testimoni, diretti o indiretti, dei maltrattamenti che le loro mamme hanno subito, quasi sempre per mano del compagno o del marito, fra le mura domestiche, mentre è di quasi un milione e mezzo il numero delle mamme che hanno ammesso di essere state vittime di violenza domestica nella loro vita. A rappresentare l’unico spiraglio di sole è il fatto che, negli ultimi 15 anni, le denunce siano più che raddoppiate, passando dalle 1320 del 2000 alle 2923 nel 2016.

I dati forniti dall’Istat, e riportati da Repubblica, contribuiscono a dipingere un quadro davvero inquietante rispetto a una situazione che, per molte famiglie, quasi giornalmente parla di violenza, litigi e abusi psicologici e fisici; eppure, i numeri, per quanto terribili, non riescono davvero a suscitare fino in fondo quel sentimento di empatia e immedesimazione che, invece, è l’elemento fondamentale per comprendere appieno quanto grave e drammatico sia il problema, e quanto grande la dimensione di quella che, a tutti gli effetti, è una piaga sociale tremenda.

Soprattutto quando a essere coinvolti sono i bambini, testimoni loro malgrado di violenze, urla e percosse ai danni  delle mamme (ma, talvolta, anche dei papà), bisognerebbe davvero cercare di mettersi nei loro panni, per capire cosa significhi realmente essere il figlio di due genitori che litigano violentemente e si picchiano, e come sia crescere in un ambiente familiare dove le urla e i maltrattamenti sono all’ordine del giorno o quasi.

Per questo, Save the Children ha lanciato una campagna choc, ricostruendo, grazie al supporto degli psicologi dell’infanzia la “stanza di Alessandro” la scena cui un figlio di genitori violenti può assistere quasi quotidianamente: fra grida, discussioni che degenerano, fino alle mani alzate, provate sulla vostra pelle quello che prova un bambino, assistendo al filmato disponibile a questo link sul sito della ONG.

Si chiama violenza assistita, ed è un fenomeno che, purtroppo, ancora oggi rimane per lo più sommerso, ma che può avere ripercussioni davvero notevoli sul futuro sviluppo dei bambini, dal punto di vista fisico, comportamentale e cognitivo.

L’esposizione alla violenza all’interno delle mura domestiche, come si legge nel report pubblicato da Save the Children, può infatti provocare gravi instabilità emozionali nei bambini, che vanno a tradursi in sentimenti negativi: i bambini possono sviluppare facilmente ansia, paura, angoscia, senso di colpa, insicurezza. Oltre a ciò questi piccoli rischiano di incorrere in isolamento sociale, depressione, oppure avere atteggiamenti che sfociano in impulsività o aggressività, se non veri e proprio disturbi dell’alimentazione.

Save the Children, attraverso il progetto “I Germogli”, che si inserisce all’interno dell’azione generale di sostegno, da parte dell’Organizzazione, alle famiglie e ai bambini in condizioni di vulnerabilità sociale, educativa ed economica, intende prevenire il fenomeno della violenza, attraverso percorsi educativi rivolti a bambini e adolescenti, ma anche ai genitori, per cambiare i modelli relazionali basati sugli stereotipi di genere; favorire una discussione ampia e una messa a conoscenza del problema della violenza assistita, attraverso il coinvolgimento di tutti gli attori sociali potenzialmente in grado di intercettarlo – scuola, rete parentale, operatori nel sociale, nella giustizia, amici -; e ovviamente assicurare l’appropriata tutela giuridica, psicologica e materiale alle vittime, al fine di fornire loro gli strumenti adeguati per avere una vita dignitosa e sicura.

“I Germogli” è stato lanciato per la prima volta a fine 2016 nel territorio di Biella, per dare accoglienza, prevenzione, sostegno e accompagnamento all’autonomia dei nuclei mamma- bambino vittime di violenza assistita. I nuclei vengono ospitati in una comunità che possa fornire loro un percorso di autonomia e reinserimento sociale, e sono supportati anche da altri programmi come i Punti Luce, Spazi Mamma e Fiocchi in Ospedale, dedicato ai neonati e alle loro famiglie, con l’intento preciso di rivolgersi ai futuri e neo genitori, soprattutto a quanti vivono una situazione di vulnerabilità sul piano socio-economico, culturale o psicologico.

 

 

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