Tutto è partito da un post di Iacopo Melio, pungente autore di Faccio salti altissimi e fondatore della Onlus, partita come campagna di sensibilizzazione nazionale per l’abbattimento delle barriere architettoniche, ma soprattutto culturali, #vorreiprendereiltreno.

Ironico, tagliente, da leggere fino in fondo (cosa che, dando una rapida occhiata ai commenti, non tutti hanno fatto). Questo.

Al grido di “Donne, non fatelo!” Iacopo traduce un post di Jonas Tuason.

A casa vostra va bene se volete o dove nessuno li vede, ma non in un ristorante. È un luogo pubblico dedicato al consumo di cibo.
La verità è che non sono d’accordo, non so cosa pensiate ma mi fa stare male.
Lo so che molti usciranno fuori per difendere tutto questo, e che diranno un sacco di cose in loro favore, ma non cambieranno la mia opinione riguardo a questo atto.
È una cattiva abitudine. Potete raccontare cosa le è stato inculcato in casa propria e sembra che sia normale per lei, come se nulla fosse, ma…
Non mettete le infradito sporche sul tavolo.
Non sta bene.

Ed ecco che la bagarre è servita; perché, raggiungendo quelli che erano a tutti gli effetti gli intenti provocatori del post, vengono messi in luce due aspetti fondamentali. In primis, com’era naturale aspettarsi, la questione, ironia sulle infradito sul tavolo a parte, si sposta automaticamente sull’immagine della ragazza che allatta in un luogo pubblico.

E quel “Donne non fatelo” istantaneamente, nella mente di molti si associa proprio a quel gesto, a quel momento fra mamma e figlio che per alcuni (nemmeno pochi, a essere onesti) andrebbe vissuto solo ed esclusivamente nell’intimità della propria casa.

Certo, sull’opportunità o meno di allattare in pubblico si discute ormai da tempo immemore, e val la pena sottolineare la legittimità e il pieno diritto di ciascuno di vederla e di agire come meglio crede, in un senso o nell’altro: di preferire l’allattamento solo nel proprio ambiente domestico o di non avere problemi nel dare la poppata al neonato davanti ad altre persone, di non sentirsi a disagio di fronte a una mamma che allatta interpretandolo come un momento del tutto naturale, oppure di provare quell’imbarazzo che spinge istintivamente a voltare la testa dall’altra parte.

Sia chiaro, non siamo qui per imporre una visione univoca delle cose, come non ha voluto fare Iacopo con questo post, né per far sentire “sbagliato” chi si schiera da una parte piuttosto che da un’altra; ma certamente alcuni dei commenti comparsi sotto il post non possono non indurre a una riflessione, per certi versi persino dolorosa, su quanto un mondo che si professa all’avanguardia sotto molti punti di vista sia poi capace di restare inchiodato a una sorta di Medioevo morale e culturale per altri, nascondendosi sotto una coltre fitta di pruderie, perbenismo bigotto, dissenso scandalizzato e addirittura maschilismo.

Insomma, siamo sinceri: dal ritenere esagerata la modella che sfila in passerella allattando la figlia – non per sensibilizzare sul tema, il che avrebbe anche avuto un senso, ma solo perché, come da lei stessa spiegato, “la bimba aveva fame” – allo storcere il naso di fronte a una mamma che, con pudore e discrezione, dà da mangiare al proprio bambino in un supermercato, o al parco, ce ne passa.

Ma, secondo i commenti che corredano il post di Iacopo, la differenza praticamente non c’è.

Fonte: facebook @iacopo melio

Non si capisce se sia peggio chi, nel seno di una donna che allatta, riesce a trovare una connotazione pornografica, sessuale, o chi addirittura parla di “vomito”di fronte a una scena di cui – parliamoci chiaro – tutti coloro che da neonati hanno ricevuto l’allattamento naturale sono stati protagonisti. Forse persino chi oggi la trova nauseante.

Ma i commenti, ovviamente, spaziano, da chi si improvvisa paladina contro l’ingiustificata santificazione della maternità e chi, da donna, si autoprecipita con un solo commento al tempo delle cinture di castità o del delitto d’onore.

Fonte: facebook @iacopo melio

Certo che, fra la santificazione della maternità o la beatificazione della madre, e il considerare legittimo che una donna non desideri rinchiudersi in casa per tutta la durata dell’allattamento solo perché, uscendo, dovrebbe potersi trovare nella condizione di dare la poppata al neonato e, così facendo, potrebbe disturbare lo stomaco debole degli altri, c’è una bella differenza, ma vallo a spiegare a chi nella vita è abituato a vedere o tutto bianco o tutto nero.

Fonte: facebook @iacopo melio

Non è corretto verso vostro marito.

Non solo una frase del genere rientra in quell’ottica di sottomissione totale della donna all’approvazione dell’uomo, sulla scia di “E tuo marito ti fa uscire vestita così?”, ma insinua anche una sorta di compiacimento, da parte della donna, nel non passare inosservata di fronte agli altri. Quando, nella mente di una madre che allatta, il pensiero che altre persone possano vedere nel suo seno “un paio di tette” anziché un semplice strumento di nutrimento, come lei lo vede, con tutta probabilità non la sfiora neppure.

Il marcio, insomma, sta quasi sempre negli occhi di chi guarda; certo fa sorridere trovarsi, alla resa dei conti, ad analizzare il fatto che siamo la stessa società che trova assurdo bannare foto dai social solo perché mostrano un seno, e poi usa, rispetto all’allattamento in pubblico, parole come “vomitevole, irritante, irrispettoso”.

Del post di Iacopo, però, come detto, incuriosisce un ulteriore aspetto, che sta proprio in quel “da leggere fino in fondo” cui abbiamo accennato all’inizio dell’articolo; già, perché se a fare specie sono indubbiamente i commenti elencati poc’anzi degli anti-allattamento, altrettante perplessità suscitano i commenti di chi rispetto all’allattamento in pubblico nutre invece una posizione favorevole, e proprio in virtù di tale opinione si è scagliato contro il post, dando evidente prova di non averlo letto fino in fondo.

Fonte: facebook @iacopo melio
Fonte: facebook @iacopo melio
Fonte: facebook @iacopo melio

Attaccare per difendere una posizione senza rendersi conto che, in realtà, si sta dicendo la stessa cosa, usando però toni e canali differenti (nel caso del post, quelli dell’ironia e del sarcasmo, difficili da percepire se ci si ferma a metà lettura). Anche questo, in fondo, denota non solo la superficialità di base con cui le persone interagiscono sui social e nell’apprendimento delle notizie in generale, ma anche, a sua modo, una sorta di arretratezza mentale, per cui ci si sente legittimati, nella spasmodica volontà di dimostrare di essere al passo con i tempi, e quindi di saper “abitare” alla perfezione anche lo spazio della realtà virtuale, a esprimere un’opinione sempre e comunque, a prescindere dalle conoscenze che si hanno di un argomento o dall’informazione che ci si è costruiti sull’argomento stesso. A parlare, cioè, “tanto per”, il più delle volte attaccando, senza nemmeno preoccuparsi di capire se chi stiamo attaccando la pensa come noi.

Insomma, va a finire che, fra tutte le qualità dell’umanità 2.0, quella delle battaglie civili, dei grandi slogan e delle raccolte fondi via Web, coerenza e saggezza – di parlare con (vera) cognizione di causa – non possono, ahinoi, essere inserite nell’elenco.

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