Tutte noi sappiamo più o meno cosa sia la placenta, ovvero quell’organo dalla consistenza quasi “gelatinosa” che, espulso durante il parto, nel corso della gravidanza ha funzioni importantissime di regolazione del passaggio di gas respiratori, nutrienti, anticorpi e sostanze di rifiuto tra madre ed embrione, e di barriera, grazie a cui viene impedito il passaggio a proteine estranee e microrganismi.
Proprio per la sua importanza, c’è chi addirittura l’ha paragonata a un vero e proprio albero della vita, come in questo post Instagram di The Wonder Weeks, una pagina da 80 mila followers dedicata alla gravidanza.
Amiamo la placenta!
Questa immagine di una placenta umana assomiglia all’albero della vita, grazie ai vasi che si irradiano mentre il cordone ombelicale si inserisce nel feto.
L’esame della placenta può fornire informazioni che possono rivelarsi importanti nella gestione immediata e successiva di madre e bambino. Può essere realizzato entro un minuto.
Durante l’esame, devono essere determinate le dimensioni, la forma, la consistenza e la completezza della placenta, e deve essere rilevata la presenza di lobi accessori, infarti della placenta, emorragie, tumori e noduli.Il cordone ombelicale deve essere valutato per lunghezza, inserimento, numero di vasi, trombosi, nodi e presenza di gelatina di Wharton. Il colore, la lucentezza e l’odore delle membrane fetali dovrebbero essere valutati, e le membrane dovrebbero essere esaminate, per la presenza di grandi vasi (velamentosi). Il tessuto può essere eccessivamente aderente a causa di lobi anormali della placenta o a causa di placenta accreta, placenta increta o placenta percreta. Numerose scoperte, comuni e non comuni, sulla placenta, il cordone ombelicale e le membrane sono associate a uno sviluppo fetale anormale e a una morbilità perinatale.
La placenta è inoltre da anni al centro di un vero e proprio dibattito scientifico e di posizioni diametralmente opposte; è il caso, ad esempio, del Lotus Birth secondo cui, al momento del parto, il cordone ombelicale non dovrebbe essere tagliato. Il distacco della placenta dovrebbe infatti avvenire solamente quando questa e il bambino hanno realmente concluso il loro rapporto, e sono quindi pronti al momento della separazione.
La Società Italiana di Neonatologia la sconsiglia fortemente, e in generale non è vista di buon occhio dal mondo medico soprattutto perché esporrebbe il neonato a un forte rischio di infezioni, tuttavia non sono poche le mamme che la praticano.
Un altro trend decisamente in voga tra le mamme è poi quello di conservare e mangiare la propria placenta, facendola essiccare o mettendola sotto forma di pillole; chi lo fa è assolutamente convinta che mangiarla aiuti a prevenire la depressione post-partum, senza considerare che la placenta, ricchissima di vitamine e sostanze nutrienti, fornirebbe un ottimo supporto energetico, arrivando persino a migliorare l’allattamento.
"Perché abbiamo mangiato la placenta e di cosa sa": il racconto di 6 mamme
Sei mamme raccontano perché hanno deciso di mangiare la propria placenta dopo il parto e che sapore abbia. La pratica, per quanto divida le opinio...
Forse parliamo di cose estreme che, come detto, spesso non trovano apprezzamento presso il mondo scientifico. Ma quel che è certo è che la placenta rivesta un ruolo davvero fondamentale nel corso della gestazione, fornendo importantissime indicazioni sullo stato di salute del bambino, che trovate in gallery.
Il distacco di placenta
Si ha il distacco della placenta quando il tessuto placentare si separa in misura totale oppure parziale dall’utero, prima del parto.
La placenta si stacca in modo naturale dall’utero al momento della nascita, ma se tale distacco avviene prima della data del parto, ci sono rischi altissimi per la salute della donna e del feto.
Come riconoscerlo?
I sintomi più comuni sono dolore addominale, sanguinamento vaginale più o meno abbondante e forti crampi.
La cosa da fare subito qualora si notassero questi sintomi, ovviamente, è correre in ospedale.
Placenta previa
Generalmente la placenta dovrebbe trovarsi a una certa distanza dal bordo dell’orifizio uterino interno dell’utero (detto OUI), ma può capitare che rimanga nella parte bassa dell’utero. In questi casi, si definisce placenta previa, e può presentarsi come laterale, quando la maggior parte della placenta si trova in corrispondenza della parte superiore dell’utero, ma il suo margine inferiore no (è la forma meno grave), marginale, nel caso in cui il margine inferiore raggiunge il contorno dell’orifizio interno del canale cervicale ma non lo ricopre, parziale, se l’orifizio interno del canale cervicale è ricoperto quando non ancora dilatato (quando avviene la dilatazione, la placenta ne chiude solo una parte) e infine totale, se la placenta chiude completamente l’orifizio interno del canale cervicale, anche in caso di dilatazione completa.
I sintomi evidenti della placenta previa è soprattutto la perdita di sangue vaginale, che si manifesta dal settimo mese in poi, o addirittura al momento del parto.
Per il feto i rischi in questo caso sono legati alla prematurità e all’insufficiente apporto di ossigeno causato dal distacco della placenta.
Placenta accreta, increta e percreta
Se la placenta non si attacca all’utero in modo “normale” si può definire accreta, increta o percreta, a seconda di quanto in profondità sia riuscita ad attaccarsi e della reazione prodotta dalla mucosa dell’impianto placentare, che generalmente dovrebbe creare una sorta di strato protettivo dell’organo uterino.
Nel primo caso, la reazione non avviene e la placenta si “attacca” allo strato mucoso dell’utero. Se invece “invade” lo strato muscolare si parlerà di placenta increta, percreta se arriva allo strato più esterno.
Il rischio più grande per il bimbo in caso di placenta accreta – la più comune – è di nascere prematuramente. Un’ecografia e un esame Doppler consentono di capire se si soffre di questa particolare condizione.
Insufficienza placentaria
La placenta può “invecchiare” anzitempo, smettendo di alimentare il bambino in maniera adeguata.
Con il monitoraggio fetale, è possibile controllare se la placenta continua a funzionare bene, e un’ecografia permette di riconoscere l’insufficienza placentaria. In caso di problemi, si potrebbe incorrere in un parto prematuro.
Placenta non integra
A rischiare in questo caso è soprattutto la mamma, dato che, al momento del parto, la placenta deve essere espulsa completamente; se ciò non accade, l’ostetrica dovrà esercitate una lieve pressione del ventre o somministrare dell’ossitocina, perché i residui nell’utero che rischierebbero di causare infezioni o emorragie.
Placenta calcificata
Una particolare condizione è quella della placenta invecchiata, causata, ad esempio, da una durata della gravidanza superiore alle 40 settimane, ma anche da fumo, diabete gestazionale, ipertensione. In questo caso si rallenta la crescita del feto, e, alla nascita, il bimbo potrebbe mostrare unghie più lunghe, pelle desquamata o una scarsa presenza di vernice caveosa, lo strato sottile che riveste il corpo del bambino e che protegge la pelle durante la permanenza nel liquido amniotico.
Una placenta calcificata agli inizi della gravidanza, chiaramente, potrebbe compromettere la gravidanza stessa.
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