Perché l'obiettivo di un genitore NON deve essere rendere felice il proprio figlio

Secondo la teoria formulata dalla psicologa clinica Becky Kennedy, alias Dr.Becky, dover rendere felici i propri figli a tutti i costi non sarebbe solo impossibile, ma anche profondamente sbagliato: ecco le motivazioni.

Nell’immaginario collettivo l’obiettivo di un genitore dovrebbe essere rendere sempre felice il proprio figlio.

Di opinione diversa è la psicologa clinica Becky Kennedy, conosciuta come Dr.Becky, che attraverso il suo popolare podcast Good Inside, il suo account Instagram di oltre 800.000 follower, la newsletter e i numerosi workshop online, offre consigli efficaci e mirati circa la genitorialità a molti genitori.

In un’intervista pubblicata sul The New York Times la psicologa ha espresso la sua teoria a riguardo, focalizzata in special modo sui genitori di oggi, che in qualche modo cercherebbero di “curare se stessi” mentre educano i propri figli.

Ogni generazione, a volte basandosi o al contrario addirittura rifiutando ciò che è stato appreso dal passato, tende a sviluppare infatti le proprie idee sulla genitorialità, cercando di colmare le lacune ricevute nella propria infanzia.

Rispetto alle precedenti generazioni, i genitori di oggi tendano infatti a trascorrere più tempo con i propri figli e a essere i genitori migliori possibili, col risultato che spesso i bambini appaiono sempre più infelici.

Tale scenario non può fare altro che suggerire quelli che sono i limiti dell’influenza esercitata dai genitori: bambini e ragazzi dei Paesi occidentali oggi vivono per lo più in un mondo di gratificazione immediata. Hanno tutto e possono ottenerlo con notevole facilità e senza sforzi. Esistono quindi tante soluzioni per aggirare la frustrazione, per essere felici, ma al contempo, così facendo, non si riesce a insegnare ai figli a tollerare l’inevitabile sconforto che fa parte della vita.

Ad alimentare la felicità non sarebbe dunque la possibilità di “avere tutto subito”, bensì il lavoro necessario per ottenere ciò a cui si ambisce, l’intenzionalità e al contempo la stessa frustrazione e il fallimento. I genitori forse passano più tempo con i propri figli, ma non basta per costruire percorsi in grado di condurre alla felicità a lungo termine

Viene da sé che i genitori che si fanno carico della felicità dei propri figli, considerandola un obiettivo principale, inevitabilmente dovranno fare i conti anche con il cosiddetto “rovescio della medaglia”: se rendere felice un figlio è responsabilità e merito dei genitori, dovrebbe pertanto essere auspicabile anche il contrario, questo poiché quando è il figlio a non essere felice, generalmente la colpa finisce per riflettersi proprio sui genitori.

Ritenere dunque che la felicità dei figli dipenda esclusivamente da quanto svolto dai genitori, sia sul piano affettivo che educativo e comportamentale, genera inevitabilmente ansia, frustrazione e notevoli sensi di colpa: il bambino non è una macchina, non agisce seguendo alcun automatismo, semplicemente assorbe e apprende ciò che gli viene insegnato, sempre influenzato dagli stimoli esterni, elaborandolo in autonomia e mettendo in atto comportamenti conseguenti a quella che è la sua indole, il suo carattere e la sua natura, questo a prescindere dall’intervento più o meno attivo da parte del genitore.

Spesso un genitore viene giudicato in relazione al comportamento assunto dal proprio figlio, riflettendo su tale ruolo ogni genere di responsabilità, tralasciando che ogni bambino è un essere umano a tutti gli effetti e, in quanto tale, presenta emozioni, disagi, desideri, e opinioni autonome.

Avere figli felici, o essere genitori felici, non significa dunque mettere da parte eventuali stati d’animo o emozioni negative, poiché anch’esse sono necessarie: il ruolo del genitore è dunque quello di insegnare ai propri figli come possano coesistere in un individuo, emozioni contrastanti, unite alle relative, volontà, abilità e conoscenze. Occorre pertanto mettere da parte il luogo comune che crescere figli felici rappresenti un bisogno, questo poiché la felicità, così interpretata, non può essere altro che motivo di tensione e disagio.

Quello che un genitore deve e può fare, è senza alcun dubbio ascoltare i propri figli, osservarli, comprenderne necessità e bisogni, rispondendo di conseguenza, senza però riflettere i propri desideri, le proprie idee e le proprie convinzioni sugli stessi, in modo tale da non manipolarne le emozioni, la capacità di giudizio e il pensiero critico.  L’obiettivo principale dei genitori deve essere pertanto rappresentato dalla creazione di un contesto familiare sereno e coeso.

La felicità sempre e comunque, l’annullamento di ogni possibile turbamento, la ricerca ossessiva del comportamento del ‘genitore perfetto’, non devono essere quindi gli obiettivi principali del genitore, ma piuttosto occorre che lo stesso si focalizzi su crescere figli che sappiano riconoscere e gestire le proprie emozioni, assecondandole senza reprimerle e superando gli ostacoli che la vita quotidianamente pone, senza abbattersi.

Solo accettando la natura dei propri figli, il genitore farà in modo che accettino serenamente sé stessi così come gli altri, il tutto trasmettendo loro i valori, gli insegnamenti e le qualità più importanti. Come un adulto autentico, anche un bambino reso tale dai propri genitori, sarà in grado di creare la propria felicità.

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