Al giorno d’oggi, decidere di avere un figlio comporta inevitabilmente delle domande. “Come facciamo con il lavoro?” È una di queste. E se a lavorare si è in due? Se i nonni non sono disponibili, quanto costa l’asilo nido? Chi dovrà rinunciare?

Nella società odierna, non appena sorge un dubbio di questo genere, in assenza di altre soluzioni, la prima cosa che ci viene da pensare è: la mamma sta a casa con i figli e il papà va a lavorare per poter far fronte ai bisogni della famiglia. Ma chi l’ha detto che sia sempre così?

Quando abbiamo letto su Redbookmag la storia di questo marito che ha deciso di lasciare la carriera lavorativa per aiutare la moglie dopo l’arrivo del loro primo figlio, abbiamo deciso che volevamo condividerla, perché mostra un punto di vista diverso dai soliti stereotipi.

Chiaramente la nostra non sarà una traduzione “professionale”, ma non è nemmeno il nostro obiettivo.
Ancora una volta, semmai, quello che vogliamo comunicare è l’ennesima conferma, qualora ce ne fosse bisogno, che etichette, stereotipi e categorie sono limitanti e stupide. Questo padre non è un eroe. È un padre, che ama la sua famiglia, e ha fatto una scelta normale che, in un mondo di etichette, diventa straordinaria

“Quando ero bambino, mio padre lavorava per lunghe e dure ore per un lavoro che non amava particolarmente perché… perché è quello che fanno i papà. O almeno questo è quello che mi è stato insegnato. Essendo il più piccolo di tre figli, non ho potuto passare molto tempo con mio padre. Anche se nostra madre lavorava, era con noi più spesso e cambiava lavoro ogni volta che ce n’era bisogno per dare spazio alla nostra crescita e ai nostri orari che erano in continuo cambiamento. Era chiaro che, per lei, la carriera era in secondo piano.

Man mano che crescevo, ho sempre pensato che il mio modello di famiglia sarebbe stato più o meno lo stesso. Indipendentemente da quanto amassi il mio lavoro, avrei dovuto lavorare duramente per assicurare alla mia famiglia le attenzioni necessarie.

Ma com’è risaputo, la vita non segue mai i tuoi piani, e non potrei essere più felice.

Quando io e mia moglie abbiamo avuto il nostro primo figlio, ho sopportato orari pesanti in un’azienda tecnologica. Lavorare per lunghe ore, nei fine settimana e nei giorni festivi, in modo tale da soddisfare gli obiettivi e mantenere attiva l’azienda. Di conseguenza Liz ha passato i primi giorni da sola e me l’ha detto solo più tardi.

Alla fine, ha deciso di tornare nel mondo del lavoro, il che significava che dovevamo esaminare per bene le opzioni di asilo per il nostro bambino di soli dieci mesi. Lasciatemi solamente dire: le opzioni erano desolanti. La città in cui viviamo è molto costosa e i prezzi degli asili nidi per bambini si aggiravano a circa 1700 dollari al mese. Questo era più dello stipendio mensile che, allora, portavo a casa, quindi era chiaro che dovevamo prendere una decisione difficile. Dovevamo riorganizzare il nostro budget e, ovviamente, perdere alcuni dei comfort ai quali eravamo abituati, per far fronte alle spese dell’asilo nido? O uno di noi doveva restare a casa con il nostro bambino?

Dopo tante (tante) discussioni, era chiaro che la carriera di Liz fosse più redditizia. Quindi, al posto di lavorare più di quanto stessi già facendo, abbiamo deciso che avrei lasciato il mio lavoro molto stressante e che sarei diventato un papà casalingo.

Le prime settimane sono state strazianti. Il bambino era ancora in fase di allattamento e gli è stato difficile adattarsi a un papà che gli stava attorno tutto il tempo. Onestamente, c’è voluto molto tempo per abituarmi a essere l’unico uomo che passeggiava con un passeggino. Dopo una vita passata a stare da solo in un ufficio, stare costantemente dietro un bambino che sbavava e che era sporco di moccio, significava adattarsi. Non ho mai capito quante volte un bambino ha bisogno di mangiare o quante volte bisogna cambiarlo fino a quando non sono stato insieme a lui giorno per giorno.

Alla fine, però, indossare i panni da “papà casalingo” è stato fonte di orgoglio per me. Questo è accaduto cinque anni fa e da allora abbiamo avuto altri due figli. Prima che il nostro secondo figlio nascesse, ho deciso di tornare a lavorare per un po’ in modo tale che mia moglie avesse il tempo necessario per staccare la spina. Al posto di lavorare in un ambiente molto stressante, però, ho lavorato in un albergo. Il mio capo era accomodante e le giornate erano meno stressanti, quella che era iniziata come una soluzione a breve termine si è rivelato un piacevole lavoro part-time per me.

Inoltre, il fatto di essere un papà casalingo – per poi ritornare parzialmente a lavoro – mi ha fatto capire quanto era  – ed è ancora – forte il mio rapporto con Liz. Indipendentemente da ciò che la società si aspetta che facciamo, entrambi abbiamo sempre preso del tempo per verificare e vedere quali sono i nostri bisogni. La nostra decisione di farmi diventare un papà casalingo, allora, aveva un senso per la nostra famiglia, come anche la decisione di lavorare part-time. Ma io e Liz abbiamo preso quelle decisioni insieme e al posto di forzarci a fare qualcosa che in realtà non vogliamo fare, facciamo del nostro meglio per trovare l’equilibrio. Non sto dicendo che siamo perfetti ma, se non altro, questa esperienza ci ha insegnato che siamo una squadra.

Ancora oggi lavoro part-time, il che significa che posso sempre prendermi cura dei miei figli. Mi piace il fatto di essere quello che li mette a letto ogni notte e poter trascorrere i fine settimana insieme a loro. Penso che se fossi rimasto in quella azienda tecnologica, avrei rimpianto e mi sarebbero mancati questi momenti. Certo, le cose possono diventare difficili tra i nostri tre cuccioli, ma non avrei mai veramente capito cosa significa essere genitore a tempo pieno, con tutti gli orari, la preparazione dei pasti e la pianificazione.

Non sto dicendo che fare il papà casalingo è una cosa che tutti devono fare. Cercare di capire i bisogni del proprio bambino può essere una sfida. Ma per me, ne è sempre valsa la pena”.

Tratto da Redbookmag

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