Un percorso lungo e complicato quello dell’adozione nel nostro Paese, come sanno bene i genitori che ci sono passati. Infinite procedure burocratiche da sempre rallentano un processo che diventa spesso un’impresa insostenibile per molte coppie, anche da un punto di vista psicologico oltre che pratico, e che non sempre riceve le attenzioni che merita dalle istituzioni.

Una situazione già difficile, messa ulteriormente a dura prova in questo 2020 colpito dalla pandemia da Coronavirus, che ha visto letteralmente dimezzate le adozioni portate a termine, con un notevole impatto su quelle internazionali. Nel primo semestre sono state infatti solo 200 le adozioni concluse, contro le 400 dello scorso anno, che già rilevava un trend negativo rispetto al 2018.

Inevitabile purtroppo in un anno come quello in corso, con il lungo lockdown e le conseguenti restrizioni nei viaggi, ma le difficoltà non sono imputabili solo a problematiche strutturali e a un sistema che, di certo, ha mostrato falle e inadeguatezza, i ritardi e i rallentamenti delle procedure sono anche il risultato di una scarsa attenzione nei confronti delle cause dei genitori adottivi, spesso lasciati soli dagli enti e dalle istituzioni.

Arnaldo Funaro, fondatore e autore della pagina Un bimbo mi aspetta, la più grande community in Italia dedicata all’adozione, ha pubblicato un lungo post sulla sua pagina Facebook, dando voce al dolore dei molti genitori adottivi che in questo anno così complesso, si sono ritrovati bloccati in quella che dovrebbe essere una questione prioritaria anche in nome dei diritti dei più piccoli.

Mesi fa, alcuni genitori adottivi mi hanno scritto. La loro attesa, già lunga per la burocrazia, ha iniziato a dilatarsi...

Pubblicato da Un bimbo mi aspetta su Venerdì 9 ottobre 2020

Questo, quello che scrive Funaro, lui stesso in attesa della seconda adozione, chiamando in causa anche l’assenza delle istituzioni e dello Stato in un periodo straordinario come quello attuale, che avrebbe richiesto un maggiore impegno verso un tema così importante, a quanto pare, non presente nelle agende dei governi, neanche nella fase di riapertura dopo i mesi del primo lockdown.

Mesi fa, alcuni genitori adottivi mi hanno scritto.
La loro attesa, già lunga per la burocrazia, ha iniziato a dilatarsi a causa della pandemia. Parliamo di mamme e papà ai quali mancava solo di salire su un aereo per andare a prendere i propri figli e riportarli a casa. Avevano scritto una lettera alle istituzioni, scavalcando in qualche modo gli Enti che io – lo dico con chiarezza – ho sempre ritenuto la vera cerniera tra noi genitori adottivi e lo Stato assente come in tante altre cose nella nostra vita di cittadini.
Eravamo in piena prima ondata, non ci si capiva nulla, le persone morivano a migliaia ogni giorno.
Nonostante mi sentissi doppiamente coinvolto essendo anche io un papà in attesa della seconda adozione, dissi loro che non era il momento e il modo. Continuo a essere convinto di questa scelta, ma ora mi faccio delle domande, perché il tempo per far ripartire le cose c’è stato.

Mi rendo conto che un genitore adottivo non muove il mercato di un campionato di calcio.
Mi rendo conto che c’erano altre priorità (ci sono sempre altre priorità quando si parla di adozione).
Ma abbiamo trovato il tempo di andare in vacanza, riaprire i campionati di calcio, spostare turisti e merci.
Siamo riusciti a mettere in piedi un turno elettorale.
E non siamo riusciti a unire duecento famiglie.
Questa non è una sconfitta per questi genitori, né per i figli che li aspettano.
Questa è una sconfitta per lo Stato, Presidente Giuseppe Conte e Ministro Elena Bonetti.
Non serviva fare un miracolo. Non serviva più perché il mondo era ripartito.
E ora si ferma di nuovo lasciando figli e genitori separati per un altro inverno probabilmente.
Un giorno racconteremo a questi figli dell’anno in cui due virus hanno fermato la loro adozione.
Uno si chiama Covid-19, l’altro politica.

E il suo intervento trova conferma anche nelle parole di due genitori della provincia di Padova, Erika Delvai e Marco Vettore, che, come racconta il Corriere del Veneto, attendono da mesi di poter abbracciare la bimba di 20 mesi adottata e al momento “bloccata” in un orfanotrofio in India. Ma sono decine e decine le coppie in questa condizione, che hanno concluso l’iter adottivo a tutti gli effetti e sono impossibilitati a ricongiungersi con i loro figli.

Oltre all’incuria mostrata dagli organi di governo e dalle istituzioni, Marco Griffini, presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, l’ente con il maggior numero di sedi in Italia e sedi estere, lamenta anche la scarsa tecnologizzazione degli enti e servizi regionali deputati, sprovvisti delle adeguate attrezzature per portare a termine le normali procedure burocratiche anche da remoto, aspetto questo, che ha contribuito non poco a provocare ritardi e lungaggini facilmente evitabili. Tra questi, anche gli stessi tribunali per i minorenni, la cui attività è stata fortemente penalizzata in questo periodo, bloccando l’iter adottivo in moltissimi casi.

In questa situazione, Elena Bonetti, ministro della Famiglia e delle Pari Opportunità, a capo della Commissione Adozioni Internazionali (Cai), ha parlato di un impegno concreto per ridare ossigeno agli enti deputati alle adozioni internazionali, con lo stanziamento di sei milioni di euro. Un contributo senza dubbio utile e urgente, come sostiene Marco Griffini, ma non sufficiente a garantire un futuro a un sistema ancora troppo debole e poco strutturato, che necessita di più aiuti e di una maggiore rappresentanza su scala internazionale, e che può essere anche un concreto aiuto per il rilancio dell’economia del Paese e per la lotta contro la denatalità.

Un notevole passo avanti si è ottenuto con l’istituzione di LIAN, Life in Adoption Network, un network che unisce cinque enti sul territorio nazionale autorizzati alle adozioni internazionali e che, come dichiara al Quotidiano di Sicilia, Maria Virgillito, presidentessa di Asa Onlus (Associazione Solidarietà Adozioni), nasce con lo scopo di condividere risorse, capacità organizzative, attività e strutture per sostenere maggiormente le famiglie nell’iter adottivo e collaborare più efficacemente con le istituzioni e gli enti autorizzati di Paesi esteri al fine di concretizzare in modo più rapido e puntuale il difficile iter delle adozioni nel nostro Paese.

Si tratta di un impegno concreto volto a ridare speranza ai bambini e alle loro famiglie adottive, spesso schiacciate dalle burocrazia e dalle difficoltà del sistema e scoraggiate troppo spesso dalla sensazione di essere lasciate sole.

In questo scenario non semplice, la pagina di Arnaldo Funaro, che affronta con attenzione i vari temi dedicati al mondo dell’adozione con un linguaggio inclusivo e rispettoso di tutte le diversità, oltre a interpretare e dare voce alla condizione dei genitori adottivi e a richiamare l’attenzione delle istituzioni, si impegna da sempre a combattere contro i pregiudizi. Lo ha fatto anche nei giorni scorsi in occasione di un episodio di cronaca accaduto a Ragusa, dove un neonato è stato gettato nella spazzatura, e fortunatamente salvato.

Lo so, sono giorni difficili. Lottiamo per riunire genitori e figli andando a bussare alle istituzioni. E lottiamo...

Pubblicato da Un bimbo mi aspetta su Venerdì 6 novembre 2020

L’intervento di Funaro si riferisce nello specifico a un commento comparso sotto il post della notizia, che riportava la seguente parola “Bastarda“, dando per scontato che la responsabile del gesto fosse una donna. E, aspetto ancora più triste, il commento proveniva proprio da un’altra donna. Questo episodio ci mette nuovamente di fronte al maschilismo con cui ancora oggi si guarda alla società e che porta a ritenere le donne colpevoli senza processo, le prime responsabili da mettere alla gogna e le uniche, nei fatti, a pagarne le conseguenze.

Questo è il commento di qualcuno che ha condiviso il post sul bimbo abbandonato vicino al cassonetto. Io ci vedo tante cose dentro.
La prima è che tantissime persone danno per scontato che sia stata una donna ad abbandonare il bimbo. Lo stesso pregiudizio lo troviamo anche quando non si riesce a diventare genitori naturali: è sempre alla donna che si guarda.
La seconda cosa, forse ancora più grave è che questo commento è stato fatto da un’altra donna. Quindi da un’altra persona che da quando è nata ha dovuto subire in modo più o meno marcato un mondo maschilista, dove la donna gioca con le bambole e non può fare quello che fa un uomo; dove la donna non può fare carriera o non potrà fare la madre. Dove se vai a fare un colloquio di lavoro ti chiedono se vuoi avere figli, e dove la stessa persona che ti pone questa domanda chiederà alla nipote perché non ne abbia fatti ancora.

Così poi si conclude il post di Funaro, in un invito a celebrare un mondo libero dal pregiudizio che sia in grado di accogliere nuove possibilità e smetta di posare il suo sguardo inquisitorio nei confronti di chi sbaglia.

Io non so chi abbia abbandonato questo bimbo. Non so se ci sia una stronza di primo ordine o un uomo altrettanto stronzo. Non so se ci sia una mamma vittima di qualcuno che le ha strappato il figlio, o un padre all’oscuro di questa gravidanza. Nessuno di voi lo sa, ma un dato è certo: la maggior parte di voi, in prima battuta, ha pensato a una brutta persona che non meritava di essere madre.
Io credo che invece ci sia un bimbo che merita di essere figlio di persone capaci di crescere e superare ogni forma di pregiudizio.
Questo non è solo un punto di arrivo. Deve essere un punto di partenza per liberare noi stessi dalle convenzioni e le donne dalle loro conseguenze.

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