Morire di parto. Un’eventualità purtroppo estremamente diffusa nel passato, ma oggi quantomai remota, grazie agli avanzamenti medici e scientifici a disposizione.
Ma se hai 14 anni e il tuo corpo non solo non è ancora pronto per una gravidanza, ma tantomeno è in grado di sopportare il dolore e la fatiche di un travaglio e di un taglio cesareo, e ti trovi in un paese in cui l’aborto rientra ancora tra quei diritti di scelta negati alla donna, allora la situazione assume ben altri contorni, dove alla sfortuna si aggiungono per forza di cose elementi di ben altro tipo, in primis il degrado sociale, l’inadeguatezza di fornire tutela e assistenza, e l’ignavia. Elementi che sono al di fuori di ogni dubbio tutti corresponsabili nella morte di una ragazzina appena quattordicenne, uccisa dalle complicazioni del parto dopo essere rimasta incinta perché stuprata.
La storia è stata raccontata dalla ONG Terre des Hommes, per far comprendere quanto sia grande il problema, più volte sottolineato, delle madri bambine, e quanti ancora i passi da compiere per garantire alle donne di tutto il mondo lo stesso diritto di scegliere, anche rispetto alla volontà di interrompere o meno una gravidanza.

È successo tutto molto in fretta. I medici hanno tentato una rianimazione avanzata in terapia intensiva, ma non siamo riusciti a salvarla. Il suo corpo non era pronto per una gravidanza.

A spiegare al Guardian, che per primo ha diffuso la notizia, come si sono svolti i fatti è stato Hernán Martínez, direttore dell’ospedale di Itaguá, città del Paraguay a una manciata di chilometri dal confine con l’Argentina.
La giovanissima vittima è morta mentre i medici le stavano praticando un taglio cesareo d’urgenza, dopo che per 20 giorni era stata ricoverata nella struttura sanitaria per alcune complicazioni legate alla gravidanza. Inizialmente i medici avevano deciso di farla partorire naturalmente, ma in seguito a una crisi respiratoria alla ragazzina è stato praticato un cesareo, durante il quale ha però avuto un’embolia e tre arresti cardiaci, che le sono stati fatali. La manovra ha tuttavia permesso all’équipe di salvare almeno il bambino, che pur ancora attaccato al respiratore, appare in condizioni stabili, come sottolinea ancora il Guardian.

Se della giovane vittima non è stato diffuso il nome, ma solo le iniziali, Ricardo González Borgne, capo del SNNA, Segretariato Nazionale per i Bambini e gli Adolescenti, ha fatto sapere che nella giornata del 22 marzo 2018 è stato arrestato un trentasettenne, accusato di aver stuprato e messo incinta la quattordicenne.

Certamente una magra consolazione, perché il problema più grande, in Paraguay, è che la normativa in materia di aborto è tra le più restrittive al mondo, tanto che vige un divieto pressoché assoluto di interrompere la gravidanza. Insomma, un caso come quello della quattordicenne non potrebbe essere evitato neppure in futuro, perché le fattispecie giuridiche che acconsentono all’aborto sono estremamente limitate.

Nel paese sudamericano,infatti, come riporta Terre des Hommes, l’aborto è illegale anche qualora la gravidanza sia frutto di uno stupro o di un incesto. È illegale persino quando la gravidanza presenta un rischio grave, ma non mortale, per la salute della madre, e addirittura quando è stabilito che per il feto non ci sia alcuna speranza di sopravvivere all’infuori dell’utero materno. La sola deroga alla rigidissima legge è ammessa in caso di complicazioni che mettono a rischio la vita della madre.

Eccezione che tuttavia, come sottolinea Margaret Wurth, ricercatrice di Human Rights Watch, “non è sufficiente a tutelare le vite, la salute e la dignità delle donne e delle ragazze nel Paese“.

La situazione nel paese rispetto alla maternità giovanile, aggravata dall’impossibilità di abortire, è talmente pesante che, riporta il Guardian, solo nel 2015 889 ragazzine di età compresa tra i 10 e i 14 anni sarebbero diventate madri.

Sempre il giornale inglese accenna a un caso del 2015, in cui a una bambina di appena 10 anni è stato impedito di abortire dopo essere stata violentata dal patrigno. La piccola, a cui fu dato lo pseudonimo di Mainumby, per fortuna sopravvisse al parto, ma non le fu mai concesso l’alloggio che il governo, in accordo con Amnesty International, aveva promesso di darle per allontanarla dalla casa familiare.

In effetti, i terribili dati sulla situazione delle giovanissime e dell’impossibilità di interrompere la gravidanza sono confermati da Terre des Hommes, che parla di quattro casi di violenza al giorno contro le ragazze.
Non sappiamo se la ragazza volesse abortire o meno – chiarisce ancora Margaret Wurth- La decisione di interrompere una gravidanza è strettamente personale e avrebbe potuto decidere di continuare la gravidanza anche se avesse avuto la possibilità di abortire. Ma lei, i suoi genitori, il suo confessore e il suo medico avrebbero dovuto avere la possibilità di discutere e considerare i rischi legati alla gravidanza e la possibilità di concluderla“.

Non si tratta solo del diritto all’aborto – le ha fatto eco Erika Guevara-Rosas di Amnesty International – si tratta di un tema di salute pubblica, di servizi pubblici, di educazione sessuale, di prevenzione delle violenze e di quelle sessuali in particolare.

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