Il “bonding” è il legame che si crea tra la mamma ed il bambino prima della nascita.

La prossimità ed il cordone ombelicale che lega il corpo materno con quello del feto crea infatti un contatto attraverso cui passano emozioni, sentimenti e stati d’animo di cui il piccolo ne vive le conseguenze.

Si tratta di un legame costituito da uno scarso contatto fisico ma da un elevato contatto empatico che si alimenta di scambi emotivi e sensoriali che hanno poi conferma al momento del parto.

Il bonding influenza lo sviluppo psico-fisico del feto e pone le basi per la relazione futura madre-bambino poichè dà vita a tutto il processo di attaccamento divenendo una elemento fondamentale nella sua maturazione emotiva e cognitiva.

Non sono quindi fuori strada tutti quei genitori, che nell’attesa dei 9 mesi, parlano, accarezzano e stimolano il pancione o gli fanno ascoltare musica!

Oltre che consigliare quindi una buona gestione di questo aspetto della gravidanza, diverse ricerche hanno anche messo in luce l’altra metà della medaglia: le conseguenze che invece possono produrre nel feto stress e ansia materni.

Le ricerche

Negli anni sono state svolte diverse ricerche che hanno analizzato a fondo l’argomento ed hanno concluso che esistono rischi di patologie future nei feti che sono sottoposti a situazioni familiari stressanti o a disturbi materni come ansia e depressione.

I risultati infatti non sono positivi:

– Spesso (2 volte più degli altri) i malati di schizofrenia hanno in comune una madre che ha sofferto di depressione nel 6° o 7° mese di gravidanza;
– I figli di madri con stress in gravidanza hanno un rischio maggiore di incorrere in iperattività, deficit dell’attenzione e problemi motori;
– Disturbi dell’umore nelle mamme in gravidanza produce nei figli un rischio maggiore di disturbi del sonno, digestivi e irritabilità.

Lo stress gestazionale che può incidere sulla salute psicofisica del neonato riguarda anche determinati approfondimenti medici: dalle stesse ricerche emerge che un alto fattore di stress

è l’ecografia durante l’amniocentesi che produce infatti nel feto un aumento dei movimenti rispetto a quelli che non sono sottoposti ad amniocentesi.

Quali sono le motivazioni alla base di una tale influenza gestazionale?

Gli stati d’animo, le sensazioni, le emozioni, i pensieri ed i sentimenti delle mamme sono legati ad elementi biologici come ormoni e neurotrasmettitori.

Risiedendo nel sangue è chiaro quindi che raggiungono facilmente anche la placenta e quindi il cervello del feto, modificandone l’impianto.

Un contatto prolungato con l’adrenalina ed il cortisolo (alcuni ormoni dello stress) produce infatti una chiara istruzione al sistema cerebrale del bambino, ancora in formazione: reagisci allo stress con un atteggiamento di “lotta/fuga” anche in casi che non lo richiedono.

Tale messaggio erroneo può persistere purtroppo per tutto l’arco della vita.

L’assenza di stress, al contrario, e quindi la presenza di sentimenti quali la gioia e l’amore porta alla produzione di endorfine e neurormoni che portano al benessere del feto.

Da quando e in che modo si sviluppa la relazione madre-bambino?

La letteratura in merito è concorde nell’affermare che esiste una relazione sin dal momento della creazione dell’idea di avere un figlio.

E’ infatti molto importante la presenza del desiderio di maternità e di una interazione precoce tra la coppia e l’idea di avere un figlio.

La procreazione è quindi il risultato materiale di un amore totale tra due persone che abbraccia sia il lato comportamentale, affettivo e sia dell’inconscio.

Per fare un esempio, si pensi allo stress prodotto dalle difficoltà di concepimento: l’elemento psicologico incide così tanto sulla risposta biologica che spesso può impedire la stessa gravidanza.

Andando avanti nel cammino di maternità, la relazione madre-bambino prosegue anche nel periodo del concepimento.

Uno stress in questo determinato momento, produce la modifica dell’equilibrio dei recettori che permettono sia all’ovulo di secernere le proteine giuste per l’impianto e di attivare il genoma, sia allo spermatozoo di conservare la mobilità.

Nel periodo embrionale (fino all’8° settimana) invece, la placenta svolge un ruolo di tramite tra il feto ed il corpo della mamma e quindi qualsiasi modificazione umorale o la presenza di stress può incidere sull’organizzazione placentare e portare al rischio di ritardo di crescita intrauterino, di un parto prematuro o di deficit mentale nel nascituro.

Successivamente, dagli studi condotti, il periodo fetale (dall’8° settimana al parto) è quello più sensibile alle influenze esterne e sono più frequenti conseguenze sullo sviluppo del cervello: in questa fase, uno stress acuto della mamma, come può essere un lutto, ed il conseguente stato di ansietà ed angoscia può originare nel feto ritardi nella crescita ed anomalie placentari.

Lo stress infatti influenza la relazione madre-bambino, anomalia che ha origine nel non allineamento dell’attenzione materna alla presenza del feto. Al contrario invece di una mamma sana psicologicamente che ha comunque un ruolo più protettivo.

Alcune ricerche hanno addirittura evidenziato che nel campione orfano di padre dalla nascita, erano più frequenti atti criminali e malattie psichiatriche rispetto a chi non era orfano. Alcune psicosi sono infatti caratterizzate da problematiche nella relazione con la madre.

Questo è il caso anche di molte donne che hanno vissuto aborti ripetuti e che quindi vivono in uno stato perenne di stress per la paura di riviverne l’esperienza.

Il 3° e il 5° mese di gravidanza è il periodo nel quale avviene lo sviluppo del talamo ed anche in questo organo è possibile evidenziare le conseguenze di una “assenza psicologica” della madre in tutti quei bambini che presentano patologie delle emozioni.

Se lo stress della mamma è cronico purtroppo dobbiamo parlare di: ritardo mentale, disturbi pediatrici, maggior reflusso gastro-esofageo, disturbi del sonno, disturbi del carattere, disturbi dell’alimentazione e della digestione, nascita prematura, difficoltà di parto e neonatali.

Spesso un’ansia elevata nella gravidanza rimane invariata dopo il parto, continuando quindi gli effetti negativi di un tale investimento affettivo sul bambino.

E’ quindi essenziale che la mamma si assuma coscientemente il suo ruolo, ricordando che il bambino è già lì con lei, sente quello che sente lei, gioisce e soffre con lei.

E’ molto importante attivare il prima possibile la consapevolezza della presenza di lui in quanto essere vivente e mantenere quindi alta l’attenzione sul feto, proteggerlo da stress innaturali e preservarlo da traumi precoci.

Non va creato solo un ambiente “fisico” adatto a lui, l’ambiente “psicologico” ha ben altro peso!

Dott.ssa Cristina Colantuono

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!