L’aborto volontario viene richiesto quando una donna decide di rinunciare alla propria gravidanza. Segue un iter ben preciso, per cui la donna gravida segue il percorso indicato dalla legge, rivolgendosi così a strutture mediche o consultori che possano aiutarla.

L’argomento è sempre d’attualità e molto controverso, ma dobbiamo ricordare una cosa: una legge che lasci la libera scelta alla donna, la sottrae dal campo dell’illecito. Tutto ciò che è regolato da una legge è fondamentale per il corretto funzionamento di una società: in assenza di leggi, i rischi sono tanti (e qualcuno, prima della Legge 194, lo ricorda molto bene, come vedremo tra poco).

Aborto volontario: cosa si intende?

Aborto volontario
Fonte: Pixabay

Più che aborto volontario si tratta di interruzione volontaria di gravidanza. Si intendono quegli strumenti che una donna ha a disposizione per decidere se tenere o no il feto. La scelta può essere motivata da diversi fattori: ogni donna ha le sue ragioni per abortire volontariamente. Per cui ogni volta che sentiamo parlare di questi argomenti, non giudichiamo con leggerezza. L’interruzione volontaria di gravidanza è di fatto un diritto civile, conquistato attraverso dure lotte femministe.

Il primo passo, quando si decide di abortire, è contattare un ginecologo, un ospedale o un consultorio. Vi saranno date delle informazioni capillari, in relazione a quello che vi accadrà e alle possibili alternative. Prenderete un appuntamento e vi recherete in una struttura ospedaliera in cui avverrà l’aborto, in via farmacologica o in via chirurgica. È sempre bene farsi accompagnare da qualcuno: si tratta di una procedura medica che potrebbe debilitarvi nel corpo e dal punto di vista della mente.

Aborto volontario: i metodi

L’interruzione volontaria di gravidanza viene praticata dai medici in ospedali e cliniche specializzate attraverso differenti tecniche. Una di esse è l’aborto farmacologico, in cui l’interruzione viene praticata attraverso l’assunzione controllata di farmaci, come per esempio la Ru 486. Si esegue di solito entro il primo trimestre.

C’è poi l’aborto chirurgico, che è la strada consigliata negli aborti al secondo trimestre e che consiste nell’aspirazione e nell’estrazione del feto e della placenta. In alcuni Paesi del mondo, in cui tecniche mediche e farmaci non sono come quelli che abbiamo nel mondo occidentale, viene effettuato, laddove l’aborto sia legale, con un’induzione del travaglio. Accade però talvolta che, se l’aborto è praticato almeno al quinto mese, il feto può sopravvivere e si considera come fosse un bambino nato morto.

Aborto volontario: quando è consentito?

Aborto volontario
Fonte: Pixabay

Ogni Paese ha una propria legislazione sull’aborto (e ci sono nazioni che non lo consentono in nessun caso). Generalmente, in occidente, ci si orienta su una legislazione simile a quella italiana e l’interruzione volontaria di gravidanza è ammessa solo entro il primo trimestre. C’è una deroga fino al secondo trimestre per dei casi specifici: se il feto presenta malformazioni e potrebbe non sopravvivere fuori dall’utero, se sono presenti malattie o condizioni genetiche o se la vita della madre potrebbe essere a rischio portando a termine la gravidanza.

Aborto volontario in Italia: la legge 194

Si tratta di una legge in vigore dal 1978, che permette alle donne di avere un’interruzione volontaria di gravidanza in un ospedale italiano o in un poliambulatorio convenzionato. La norma prevede che il diritto sia esercitato dalla donna e solo dalla donna: non è infatti previsto nessun ruolo del partner nella decisione, a meno che non sia la donna a richiederlo in qualità di accompagnatore.

L’interruzione può avvenire solo entro i primi 90 giorni di gravidanza, ossia il primo trimestre, a meno che non si verifichino delle problematiche per la salute fisica o mentale della madre o in futuro per la salute del figlio e allora il diritto viene derogato oltre i 90 giorni. Ogni donna può fruire di questo diritto nel completo anonimato, dopo essere stata informata sulla pratica medica che subirà e sulle diverse soluzioni a sua disposizione: tenere il bambino o darlo in adozione immediatamente dopo il parto.

Alcuni medici possono rifiutarsi di praticare l’aborto in base all’obiezione di coscienza. Essa però non può essere esercitata se l’aborto è richiesto per ragioni terapeutiche e cioè se la vita della madre può essere in pericolo. Nella legge 194 si ricorda inoltre che l’interruzione volontaria di gravidanza non è un mezzo per il controllo delle nascite.

Aborto volontario e libertà di scelta

Aborto volontario
Fonte: Wikipedia @ Gaelx

Quando si parla di aborto volontario si parla di libera scelta. La libera scelta dà la possibilità alla donna di gestire il proprio corpo in caso di gravidanza indesiderata. È qualcosa di molto importante: prima dell’esistenza delle leggi specifiche, non è che le donne non abortissero affatto. Le nostre madri e le nostre nonne ricordano con orrore la funzione delle cosiddette “mammane”, che intervenivano per praticare aborti volontari senza specifiche conoscenze mediche e con materiali non sterili e pericolosi. A volte, la donna incinta moriva sottoposta ai trattamenti delle mammane.

C’è da aggiungere un dettaglio non da poco. In un libro che si intitola Freakonomics e che è stato scritto da un economista, Steven D. Levitt, e da un giornalista, Stephen J. Dubner, viene citata la sentenza Roe vs Wade che negli Stati Uniti ha aperto a una legislazione pro scelta. In un capitolo del libro, la statistica spiega che, dal momento in cui l’aborto è stato reso legale negli Usa, il livello di microdelinquenza è calato. Secondo gli autori, le madri che hanno abortito negli anni ’70 non hanno messo al mondo bambini che avrebbero avuto un’infanzia e una vita difficile, non amati e disprezzati, che avrebbero avuto poi un futuro da criminali. E il tasso di microcriminalità negli anni ’90 – quando quei bambini, se non abortiti, fossero diventati adulti – è infatti calato moltissimo negli Stati Uniti.

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