Molte donne, nel corso degli anni, hanno lottato affinché ad altre fossero garantiti, per legge, diritti ritenuti fondamentali e base di una società civile degna di essere chiamata tale.

Non occorre tornare, con la memoria, all’epoca delle suffragette che tanto si battevano per far ottenere alla popolazione femminile il diritto di voto, se corriamo, con la mente, a tempi decisamente più recenti, e pensiamo solo al nostro Paese, si può dire che sia stato proprio grazie alla lotta incessante, e talvolta “scandalosa” di alcune donne se, oggi, possiamo godere di diritti prima inaccessibili.

È questo, ad esempio, il caso dell’aborto, ritenuto illegale prima dell’approvazione della legge 194 del 22 maggio 1978 (si parla giusto di quarant’anni fa, non duecento…). Oggi valutiamo l’ipotesi dell’interruzione di gravidanza come un diritto acquisito, eppure difficilmente proviamo a immaginare come dovesse essere vivere in un Paese che concedeva alle donne, come sola possibilità di scelta, quella di tenere un figlio non voluto o di ricorrere alla clandestinità, affidandosi spesso a macellai che usavano, per procurare l’aborto, mezzi a dir poco rudimentali.

Ma tant’è: non più tardi di quarant’anni fa, le donne che non disponevano dei mezzi economici necessari a recarsi a Lugano o a Londra per effettuare un’operazione di interruzione di gravidanza, erano di frequente costrette a fare ricorso agli aborti clandestini, correndo rischi non di poco conto per la propria salute futura e persino per la propria vita. Ed è solamente grazie alle persone che denunciarono, seppur con metodi ritenuti poco ortodossi, questa terribile pratica che, infine, si giunse all’approvazione di una legge che, quantomeno, tutelava la donna e il suo diritto alla scelta.

Fra loro c’era Emma Bonino, che dopo una vita spesa a combattere sui temi sociali più disparati, è finita al centro di una delle tante fake news che corrono, oggi, via Web; nel suo caso, è più preciso parlare di disinformazione, quella legata alla notizia, comparsa su molti social, del suo coinvolgimento nella pratica di aborti illegali compiuti con una pompa per biciclette.

Indagata nel 1975 per associazione a delinquere e procurato aborto – sono le parole riportate da alcuni organi di stampa – non fu processata perché la Camera non concesse l’autorizzazione a procedere.

Peccato che, in queste parole, esista più di un’informazione sbagliata; fu infatti la stessa Emma Bonino ad autodenunciarsi, facendosi arrestare proprio per portare riscontro mediatico al problema degli aborti clandestini, tanto da ottenere, nel 1976, oltre 700 mila firme utili per avviare un referendum abrogativo riguardanti i reati d’aborto, quello che poi, due anni più tardi, avrebbe portato all’approvazione della legge che avrebbe riconosciuto il diritto della donna a interrompere la gravidanza gratuitamente e in maniera sicura presso le strutture pubbliche.

Errate sono anche le informazioni scritte in un articolo di Libero nel 2010.

Da militante radicale, agiva, infilando il tubo di una pompa da bicicletta nell’utero delle donne che si rivolgevano a lei per uccidere il figlio che portavano in grembo. Era l’attuale vicepresidente del Senato ad aspirare personalmente il ‘contenuto dell’utero’. Poi lo depositava in un vaso da marmellata.

È lei stessa a ricostruire il macabro procedimento, tralasciando soltanto un particolare: i feti finivano fra i rifiuti. A Neera Fallaci, di Oggi, confidava però la propria e altrui indifferenza: ‘Alle donne non importa nulla che io non usi un vaso acquistato in un negozio di sanitari, anzi, è un buon motivo per farsi quattro risate’. Le aveva insegnato a riderci sopra Adele Faccio, con cui nel 1974 aveva fondato a Milano il Centro Informazioni Sterilizzazione e Aborto, che vanta il record di 10.141 aborti procurati, all’epoca clandestinamente, cioè contro la legge che li considerava infanticidi.

In realtà, Bonino aveva accompagnato alcune donne al CISA ( Centro Informazioni Sterilizzazione e Aborto) fondato, fra gli altri, proprio da lei insieme ad Adele Faccio, allo  scopo di fornire informazione e assistenza sull’aborto; lei stessa praticò alcuni aborti con strumenti che richiamavano il metodo della cannula Karman, allo scopo di denunciare pubblicamente quello che le donne non abbienti che desiderassero interrompere la gravidanza erano costrette a subire. Se il metodo Karman, come si legge su manifesto del CISA, è

[…] un sistema meccanico con cui, per mezzo di una piccola canna e di un pompa aspirante, si aspira in contenuto dell’utero, ancora informe e grumoso, prima del terzo mese, cioè prima che l’ovulo fecondato si agganci alla parete dell’utero e inizi il ciclo morfologico, cioè prenda forma. Fino a quel momento l’ovulo fecondato non è vitale né capace di vita.

Bonino lo praticava con strumentazioni senz’altro più “grezze”, replicando proprio la situazione che molte donne vivevano affidandosi alla clandestinità per abortire, come spiegato nel libro Perché le donne valgono di Sabrina Scampini, che rielabora, dandone una corretta interpretazione, le parole estrapolate da Libero.

[…] Senonché l’aspiratore elettrico costa un mucchio di quattrini – mi pare 400 mila lire -, a parte che pesa trasportarlo per fare aborti nelle case. Per risparmiare usiamo un’attrezzatura per l’aspirazione più rudimentale, ma che funziona benissimo lo stesso. Prima di tutto occorre un vaso, ermeticamente chiuso, dove si crea il vuoto e dove finisce il contenuto dell’utero che viene aspirato con la cannula. Io uso un barattolo da un chilo che aveva contenuto marmellata. Il barattolo viene chiuso con un tappo di gomma che ha tre fori: da un buco parte il tubo di gomma in cui si inserisce il gommino della pompa da bicicletta (con la valvola interna rovesciata per aspirare aria anziché immetterla); dal secondo buco parte il tubo di gomma in cui si inserisce la cannula Karman; nel terzo si mette il manometro, per controllare la pressione che si crea nel vaso con la pompa. […] Alle donne non importa nulla che io usi un vaso acquistato in un negozio di sanitari: anzi, è un buon motivo per farsi quattro risate.

Se le parole usate sono a tutti gli effetti scioccanti, val la pena sottolineare che Emma Bonino le usò volutamente, al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema verso cui tutti, in un modo o nell’altro, facevano finta di non vedere. Usare un linguaggio crudo, riassume la stessa Scarpini, avrebbe probabilmente dato quell’input necessario a prendere finalmente in considerazione il problema, scuotendo le coscienze nella maniera giusta affinché ci si muovesse in quel senso.

Era un modo, sottolinea Scarpini, per dire

Noi abbiamo un problema, o lo risolvete ufficialmente e ci fornite mezzi idonei, oppure ce la caviamo da sole, ma dovete sapere che cosa siamo costrette a fare.

Chi pensa invece che la Bonino sia stata una cinica opportunista, pronta ad approfittare della situazione di disagio delle donne in difficoltà per ricavarne pubblicità gratuita per il proprio obiettivo, forse ignora che lei per prima, ben lontana dall’essere ancora una “lady di ferro” della politica italiana, ha subito un aborto, come ricordato in un’intervista concessa a Vanity Fair.

Dopo avere vissuto quell’aborto ed essermi umiliata ho deciso che non sarebbe accaduto mai più a nessuna – ha raccontato Bonino, spiegando che proprio da quell’esperienza è maturata in lei la consapevolezza di voler aiutare le altre donne – Sono entrata in contatto con Adele Faccio e insieme a Marco Pannella e Gianfranco Spadaccia abbiamo cominciato un percorso di aiuto pubblico ad abortire alle donne che ne avevano bisogno, e quindi di autodenuncia.

Culminato con la scioccante foto del 1975.

Dopo la pubblicazione, nel gennaio del 1975, di un servizio del giornale di destra Il Borghese scoppiò il caso della clinica di Firenze, CISA, in cui accompagnavamo le donne per abortire in sicurezza. Ci arrestarono tutti e tre. In realtà avevamo assunto la responsabilità pubblicamente già da diversi mesi.

Eppure, nonostante i passi compiuti anche grazie alla sua battaglia e alla sua autodenuncia, per Bonino la legge 194 è tutt’oggi troppo lacunosa.

La legge 194 ha molti problemi, due in particolare. Il primo è la sua non applicazione in certe regioni per una sorta di obiezione di coscienza organizzata a cui alcune regioni stanno ponendo un freno, aprendo per esempio dei concorsi a medici non obiettori. Dall’altra parte c’è l’arretratezza anche scientifica, per cui in Italia, diversamente da altri Paesi europei, l’aborto chimico invece di quello chirurgico, dicasi l’utilizzo della pillola abortiva Ru486, è stato ostacolato per molto tempo. Anche oggi non viene utilizzato in modo sistematico.

Insomma la strada è ancora lunga, come ribadito anche in un tweet del 2018.

Anche più recentemente, nel 2021, Bonino ha detto la sua con un video pubblicato sulla sua pagina Instagram in cui ha raccolto l’appello di @liberadiabortire.

“Io non ho inventato l’aborto – dice la politica – L’aborto era lì, clandestino, pericoloso, umiliante. Semmai abbiamo tutti lottato perché questa vergogna di umiliazione non toccasse più alle donne del nostro Paese”

È un problema di possesso, tu non sei tua ma tu sei mia, della tribù della famiglia, del Paese, di quello che ti pare – per questo, sottolinea, dal momento in cui si tratta di un problema culturale – Servono prevenzione, informazione e cura, servono nuove assunzioni di medici non obiettori per permettere alle donne di abortire nella propria regione, serve educazione sessuale nelle scuole e serve soprattutto rispetto per le scelte ed il corpo di ogni donna.

Per questo, la lotta di Emma Bonino non può dirsi conclusa; lei, che per tutta la vita è stata abituata a combattere per le più diverse battaglie, che abbiamo riassunto nella gallery, non ha certo intenzione di arrendersi ora, nemmeno di fronte al tumore al polmone che l’ha colpita nel 2015.

Perché Emma Bonino praticò aborti con la pompa della bicicletta e si autodenunciò
Fonte: web
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