"A te, figlia mia, la dimostrazione che in una vita piena di sofferenze nulla è impossibile"

"A te, figlia mia, la dimostrazione che in una vita piena di sofferenze nulla è impossibile"
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L’amor che move il sole e l’altre stelle.

Abbiamo scelto di iniziare a parlare così della storia di Mariangela e Tiago, con gli ultimi versi del Paradiso della Divina Commedia. Lo abbiamo fatto perché quella che lei ci ha raccontato è davvero una storia in cui l’amore è il focus di tutto, il fulcro capace di muovere ogni cosa, di far realizzare desideri che sembravano impossibili. Almeno agli occhi degli altri, non di lei, di questa ragazza napoletana di 33 anni ferma da quasi metà della sua vita su una sedia a rotelle a causa della distrofia muscolare, oggi mamma di Sharon, il suo miracolo. Quel piccolo capolavoro di amore e di forza di volontà nato, come in una magnifica, splendida coincidenza, il giorno degli innamorati, il 14 febbraio.

Lo abbiamo detto, è l’amore il centro di questa storia, e della vita di Mariangela, una giovane donna che di certo non si è fatta mai piegare dalle difficoltà, e che, grazie al supporto dei genitori prima, del marito Tiago poi, ha saputo reagire a ogni ostacolo, regalandosi la vita che ha sempre inseguito e desiderato con tanta forza.

Era molto piccola, lei, quando i primi sintomi della sua malattia hanno cominciato a manifestarsi; se lo ricorda appena, e sicuramente, ci spiega, all’epoca non riusciva a dare alle parole dei medici quel valore e quel peso che, invece, avevano per i suoi genitori. La diagnosi definitiva arriva dopo la terza biopsia muscolare, è impietosa e recita distrofia muscolare dei cingoli. Mariangela all’epoca sta per entrare nell’età adolescenziale, un periodo già di per sé molto complesso, che quella sentenza rende ulteriormente più complesso. Nonostante tutto, dimostrando un’invidiabile spirito, lei, ragazzina, non si fa abbattere troppo da quei termini difficili che indicano che il suo stato di salute andrà lentamente peggiorando fino a degenerarsi del tutto, è ancora in grado di camminare, di fare quasi tutto in maniera autonoma.

La malattia progredisce e Mariangela non se rende conto, fino a quando arrivano i suoi vent’anni: erano cominciati i suoi problemi deambulatori, ma, pur con qualche difficoltà, riusciva ancora a camminare. Fino a che non cade.

Si rompe una tibia, viene portata in ospedale, porta il gesso per due mesi, ne fa diversi seguendo tre terapie al giorno. Ma da quel momento le cose cambiano, perché Mariangela non riesce più a camminare.

È costretta su una sedia a rotelle, e quella, ci racconta, è stata senza alcun dubbio la parte più difficile di tutto il percorso.

Ho dovuto accettare la sedia a rotelle per forza, non pian piano, ma è stata una botta improvvisa, perché poi in realtà non sei mai preparato. Dentro di te sai che prima o poi, con questa malattia, arriverà quel momento, ma quando ti ci ritrovi non sei mai pronto. Un po’ come quando hai un caro malato terminale, sai che presto se ne andrà, ma non sei mai davvero preparato quando capita. Quando l’ho vista la prima vola, ero a letto, non l’ho voluta, per andare in bagno mi facevo trascinare con la sedia da cucina. Ho dovuto arrendermi definitivamente quando sono uscita la prima volta. Ma c’è voluto un annetto per accettare la nuova situazione.

Ma, come spesso capita quando il destino si diverte a giocare beffardamente con le vite degli altri, le pagine tristi della vita di Mariangela non si esauriscono con l’accettazione della malattia e della sedia a rotelle; nel 2015, inseguendo il sogno di diventare mamma, ha un aborto spontaneo, una ferita indescrivibile che la ricatapulta di nuovo in un incubo, stavolta dalla consistenza diversa, dove in gioco non c’è più solo lei, ma quel figlio che voleva così tanto. Sappiamo che il lutto perinatale, purtroppo, non sempre viene considerato alla stregua di altri, eppure la scia di sofferenza che lascia è la stessa, talvolta persino più forte, specie nei casi, come quello di Mariangela, in cui un figlio può rappresentare una sorta di riscatto dalle avversità.

Lei stessa, prima che le capitasse, non riusciva ovviamente a comprendere cosa significasse sentirsi già madre senza avere un figlio da stringere.

‘Meglio adesso che poi’, mi dicevano; non è vero, perché o adesso o più avanti tu ti senti mamma già da quando vedi il risultato del test. Io ci penso tuttora.

In quel momento, per un momento, forse per la prima volta nella sua vita, Mariangela pensa che tutto le stia remando contro; anche perché, dopo la notizia della perdita del bambino, c’è il raschiamento da fare, con un’anestesia totale che, nel suo caso, non è una passeggiata.

Ma è solo un attimo di stop, perché il cuore e la forza di Mariangela sono troppo grandi per permettere di lasciar spazio al dolore o per lasciarla a piangersi addosso.

Mi sono presa un anno dopo l’aborto, per elaborare il tutto, poi mi sono messa subito a indagare, a fare altre analisi, esami e studi per cercare di capire  se l’aborto fosse legato in qualche modo a una causa specifica; nell’ottobre del 2016 sono stata al policlinico di Napoli per le gravidanze a rischio, mi hanno presa in cura, a maggio mi hanno detto che potevo ricominciare a provare A luglio ho fatto il test, il 7 ho scoperto di essere incinta.

Oggi stringe tra le braccia la sua Sharon, pelle color nocciola, come il papà, che ha origini brasiliane ma è cresciuto in Veneto, e grandi occhi scuri che la guardano a metà tra l’incuriosito e l’innamorato. Lo stesso sguardo che Mariangela ha per lei.

Cosa significa per te Sharon?

Per me ha significato esser una donna come tutte nonostante la mia disabilità, mi ha completata. Ci ho creduto, non mi sono arresa. È questo che dico anche alle altre donne, non arrendetevi. Se volete raggiungere un obiettivo, difficile o facile che sia, anche se è complicato, provateci comunque. Anche aiutare gli altri può esser un obiettivo, proprio per questo racconto la mia storia sul mio canale Inastagram, leggendo io stessa alcune storie ho trovato la forza per andare avanti, quindi potrei essere anch’io di ispirazione.

Dato che la disabilità è ancora percepita come un ostacolo insuperabile da molti, le chiediamo se non le è mai capitato che qualcuno le dicesse che, nelle sue condizioni, non sarebbe mai potuta diventare mamma.

Prima di abbattere le barriere architettoniche, bisognerebbe abbattere quelle mentali. Sì, ho sentito di persone che mi hanno detto che non sarei potuta diventare mamma, ne ho sentite molte, ‘una disabile come fa a diventare mamma?’. Anche se molto spesso lo pensano, non lo dicono. Io, semplicemente, me ne frego, sono loro che si pongono limiti enormi personali, che alla prima difficoltà si arrendono, ecco perché non le ascolto, e vado avanti, come ho sempre fatto.

Abbiamo raccolto alcune delle più belle immagini di Mariangela e della sua famiglia nella nostra gallery.

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