Il diritto di una madre di "abbandonare" un figlio: anche questo è amore
Perché non proviamo mai a metterci nei panni di un'altra persona?
Perché non proviamo mai a metterci nei panni di un'altra persona?
Provo un brivido ogni volta che una persona, dopo aver trascorso massimo due minuti a leggere una notizia e a volte limitandosi al solo titolo, emette la sua sentenza .
Decidiamo in pochi secondi che il ragazzo che ha investito una signora è un delinquente ubriaco e drogato, sbraitiamo che bisogna rinchiuderlo in galera e buttare via la chiave.
Deve morire sotto le più atroci torture la madre che ha dimenticato la figlia in auto: per lei saremmo pronti a rispolverare gogna, boia ed esecuzione pubblica senza farci più scrupoli etici dei terroristi che rappresentano per noi la degenerazione morale di questi tempi.
“Magari sua madre avesse abortito lei” – scriviamo – parlando di quella donna che l’altro giorno ha dato alla luce una neonata down, affidando quindi la piccola alle cure degli assistenti sociali. Non l’ha partorita di nascosto in un garage mettendo a rischio la vita di entrambe, non l’ha buttata nella spazzatura: è andata in ospedale, come ho fatto io, come fa o dovrebbe fare qualsiasi donna quando diventa madre, per scelta o suo malgrado, e lì si è avvalsa del diritto al parto in anonimato, come garantito dal DPR 396/2000, art. 30, comma 2.
Eppure no, ecco che decidiamo che lei è il mostro, la creatura contro natura che rifiuta il più grande dono che una donna possa ricevere, quello della maternità.
Quanto schifo fa tutto questo?
Chi siete voi che in pochi secondi avete deciso il valore della vita di un ragazzo che ha pagato a caro prezzo quella distrazione in auto che abbiamo avuto tutti?
Magari lui è l’ultimo degli stronzi e avete ragione voi, o magari si è fermato immediatamente a soccorrere la donna, disperato, ma questo voi non l’avete letto, nel titolo non c’era, né vi interessa.
Magari domani gli esami tossicologici riveleranno che non aveva bevuto né era drogato, ma voi domani vi sarete già dimenticati di lui.
Chi siete voi che pensate di poter architettare per la donna che ha dimenticato la figlia in auto una pena peggiore di quella che l’accompagnerà per la vita per aver ucciso la sua bambina?
Chi siete voi che oggi insultate una donna che ha portato in grembo la sua creatura per nove mesi, sebbene avesse scelto di non crescerla, e ha avuto la cura di affidarla a chi potesse garantirle un futuro, cure, amore e un’opportunità?
Che ne sapete delle motivazioni e dei sentimenti che la muovono?
Come si possono ridurre 10, 20, 30, 40, 50 anni e più di una vita alla valutazione di pochi secondi?
Senza conoscerne infanzia, percorsi, affetti, lacrime, baci, cadute, ferite. Quanti miliardi di secondi sono serviti per creare quella persona che voi pensate di avere già capito in 2 secondi.
Chi di voi dice di credere in Dio, in realtà si è sostituito a lui già da tempo: non ne conserva né la pietà, né la lezione al perdono in nome di una sua blasfema verità assoluta.
Non vi sfiora mai l’idea che il ragazzo che chiamate assassino sareste voi se quella volta invece dell’automobilista che ha richiamato la vostra attenzione suonandovi aveste incrociato la vita di una donna che attraversava la strada, magari all’ultimo minuto, convinta che voi l’aveste vita?
“Sì, ma io non riesco a giustificare…”, “Sì ma io trovo inaccettabile…”, “Sì, ma io non riuscirei…” è la giustificazione ai vostri verdetti da corte marziale.
Il fatto di essere mamma di un bambino non mi impedisce di pensare alla donna che ora è lì fuori, da qualche parte, con i postumi di un parto recente come a una donna che ha fatto un grande gesto d’amore.
Non so se a spingerla a non abortire sia stato un senso di rispetto per la vita che le stava crescendo dentro o altro. Farlo era un suo diritto, che avrebbe messo la parola fine a questa faccenda senza chiasso e probabilmente le avrebbe risparmiato il dolore del parto e ben altre sofferenze e battaglie personali.
Di lei so solo che ha fatto in modo che lei e quella bambina dividessero le loro strade nel modo più sicuro per entrambe.
Perché non lo so, né mi interessa, ma è evidente che la sua sia stata una scelta consapevole e responsabile. Di sicuro non ha scelto la strada più facile. Se l’amore ha varie forme, questa storia assomiglia molto all’amore.
Stasera io tornerò dal mio bambino, lei non so da chi, né dove.
Quello che so è che io non sono migliore di lei per questo, che le auguro ogni bene e che se il cammino di quella bambina cui ha dato la vita senza volerne essere madre sarà un buon cammino sarà anche merito del coraggio di chi le ha offerto un’opportunità.
Se potessi guardarla negli occhi vorrei dirle che la stimo. O farle un sorriso e tacere.
Giornalista professionista e responsabile editoriale di Roba da Donne, scrive di questione di genere. Per Einaudi ha scritto il saggio "Libere. Di scegliere se e come avere figli" (2024). È autrice di "Rompere le uova", newsletter ...
Cosa ne pensi?