Parliamo spesso di lavoro e di quante volte noi “povere mamme” siamo discriminate e a volte persino buttate fuori da un ambiente lavorativo cui abbiamo dato tutto nel momento stesso in cui diventiamo mamme. Molte di noi lo sanno: comunicare una gravidanza al proprio datore di lavoro può rivelarsi fonte di ansia e angoscia e non tutte noi trovano immediatamente il coraggio di farlo. C’è addirittura chi temendo di essere licenziata di subire un sopruso, in prossimità di un rinnovo, non rivela nulla fino a quando non ha firmato il foglio.

Ma proprio perché noi mamme lavoratrici siamo spesso vittime di soprusi, come non interrogarsi di quando i torti sono fatti al contrario: cioè dalle mamme all’azienda?
Possiamo essere integraliste e parlare solo dei diritti che ci spettano. O essere realiste e mettere sulla stessa bilancia diritti e doveri. Perché è vero che noi mamme abbiamo il diritto di…, ma quante donne di questi diritti se ne approfittano rendendo il nostro essere mamme e lavoratrici così malvisto da colleghi e datori di lavoro?

Al di là del coltivare il nostro orticello, proviamo a parlarne con onestà. Scommetto che chiunque di voi conosce persone o ha sentito storie assurde. La sottoscritta annovera, tra le altre, anche quella di una mamma che ha persino mentito sulla salute del proprio figlio per poter godere di ulteriori privilegi e di una maternità prolungata. No, purtroppo non sto scherzando: l’ho visto con i miei stessi occhi.

Noi mamme siamo viste male al lavoro perché ci sono ancora stereotipi e pregiudizi sul nostro conto, ma anche perché molte di noi sui diritti della maternità ci marciano, accecate dal pensiero di poter trarre solo e unicamente dei benefici egoisti.

Chi non ha l’amica che, a un certo punto, ha detto senza nessun pudore:

Appena firmo il contratto a tempo indeterminato poi faccio un figlio

O quella che:

Adesso mi faccio la maternità obbligatoria. Poi prendo la facoltativa, i permessi… E poi faccio il secondo e ricomincio.

Lavorare spesso non è una scelta, ma anche una necessità, d’accordo. Detto questo, però, non possiamo pensare che il nostro datore di lavoro e i nostri colleghi paghino la nostra necessità e facciano anche la nostra parte, sventolando leggi, diritti e garanzie che, giustamente, abbiamo conquistato, ma per tutelarci, non per abusarne.
Se il nostro piano maternità comprende il “fregare” gli altri, in nome di un diritto così importante e delicato, allora è tempo che diciamo le cose come stanno: stiamo facendo una cosa disonesta e meschina.

I diritti sono tali perché a essi corrispondono doveri: nella fattispecie quello di far bene il nostro lavoro, agire con onestà nei confronti dell’azienda e dei nostri colleghi. Inutile scandalizzarsi solo quando a essere discriminata è una mamma: bisogna anche scandalizzarsi quando una mamma inizia un processo di sfruttamento che va ben al di là del fatto di voler dedicare del tempo al proprio bambino e vederlo crescere.

Perché le mamme lavoratrici che se ne approfittano non ledono solo l’azienda, ma anche i colleghi, costretti a fare gli straordinari e quelle donne che sono in cerca di un lavoro con onestà e serietà, perennemente precarie o assunte in sostituzione di, perché c’è un posto da conservare e uno stipendio “a vuoto” da pagare ben oltre il diritto.

Di più, queste mamme che pensano di essere furbe sono quelle grazie alle quali oggi ancora le aziende hanno pregiudizi sul fatto di assumere altre donne: basta un’esperienza catastrofica con una mamma approfittatrice, affinché un’azienda ci pensi due volte prima di trovarsi in una situazione del genere. Soprattutto quando si tratta di realtà piccole o familiari dove la singola risorsa fa la differenza. Siamo tutte pronte a scandalizzarci se l’azienda fa un torto, ma su questa cosa non abbiamo nulla da dire?

Il cambiamento non può avvenire se siamo noi le prime a fregarcene. Se siamo noi le prime ad approfittarne. Se siamo noi le prime a non portare rispetto. Se siamo noi a non amare la nostra indipendenza. Se siamo noi a non essere serie.

Non possiamo pretendere, se siamo le prime a non dare. Il rispetto per il lavoro, per i colleghi e per il nostro datore è un nostro dovere, senza il quale non possiamo chiedere in cambio diritti.

Posto che va ripensato un modo equo di gestire la maternità – e in questo modelli di altri Paesi possono ampiamente venirci in soccorso -, forse è tempo di una rivoluzione che parta dalle stesse mamme lavoratrici, che non devono assecondare nessuna richiesta pretenziosa di qualche azienda di essere efficienti Wonder Woman tuttofare, ma solo fare il loro lavoro bene, utilizzare gli strumenti che tutelano la maternità con cognizione di causa o farsi da parte e lasciare il posto ad altre donne/mamme lavoratrici che intendano far pareggiare i piatti della bilancia diritti e dovere e non spingere solo sul primo.

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