"E se mio figlio autistico non fosse per sempre com'è oggi?"
"Certo, la diagnosi di autismo resta, i test fatti in passato restano, ma parliamo di un autismo così lieve che la terapia dovrebbe aiutarmi a dissipare i dubbi sul suo futuro."
"Certo, la diagnosi di autismo resta, i test fatti in passato restano, ma parliamo di un autismo così lieve che la terapia dovrebbe aiutarmi a dissipare i dubbi sul suo futuro."
E se Francesco non fosse per sempre com’è oggi?
Ci è capitata di recente una cosa un po’ insolita. Di fronte all’immobilismo della mia Asl di provenienza, ho deciso di provare a rivolgermi a qualche specialista della zona in cui mi sono trasferita. Da un lato ero spaventata, sapevo quello che lasciavo, ma non sapevo cosa avrei trovato. Dall’altro ero eccitata, perché una nota positiva della città in cui viviamo ora è che c’è una maggiore attenzione alle problematiche dell’infanzia.
Ho fatto questa scelta soprattutto per una ragione pratico-economica. Le terapiste mi avevano chiesto di incontrare la neuropsichiatra della Asl per fissare gli obiettivi necessari per la terapia, ma lei si era detta impossibilitata a farlo e mi aveva chiesto di rifare tutti gli esami già fatti, per attestare eventuale autismo e stabilire il profilo di funzionamento. Cioè qualcosa che avevamo già fatto un anno fa.
Questi esami hanno avuto in passato e avrebbero avuto di nuovo un costo abbastanza elevato. Ho provato a rivolgermi a una struttura che effettua queste prestazioni in maniera mutuabile, ma è successa una cosa che mi ha destato enormi perplessità. Durante la prima seduta conoscitiva tra noi genitori, una neuropsichiatra e un’assistente sociale mi hanno chiesto informazioni riguardo le vaccinazioni effettuate da Francesco (su un foglio poi sono state segnate le malattie relative alla cosiddetta quadrivalente). Quando ho chiesto il perché, non mi è stata fornita una spiegazione.
Così, nel dubbio, ho preferito rivolgermi a una struttura privata, con un sito internet abbastanza esaustivo, che in effetti mi ha fatto un’ottima impressione durante i test. I risultati di questi esami, però, sono “lenti”: tra i giorni in cui vengono effettuati e il momento in cui viene data una diagnosi ai genitori, passano anche due mesi. Il che significa che ciò che c’era scritto su quei fogli era plausibile quando Francesco ha fatto i test, ma non più quando li abbiamo ricevuti. Tante cose erano cambiate, erano migliorate, nel suo linguaggio e nel suo comportamento.
Il cambiamento si è fatto ancora più evidente quando ha iniziato ad approcciarsi ai principi di terapia Aba. Come prescritto da chi ha fatto la diagnosi, Francesco non può affrontare la terapia Aba così com’è, altrimenti la rifiuterebbe. Così fa solo alcune sedute settimanali (al momento 4 e si arriverà a un massimo di 5). Ho cercato una scappatoia, mi sono detta: e se trovassi un’altra neuropsichiatra che mi aiutasse a evitare di dover rifare test già fatti e molto costosi?
Vi spiego una cosa: la comunicazione tra le parti è fondamentale in questi casi. Le terapiste non spiegano solo a noi quello che dobbiamo fare a casa con Francesco, lo spiegano capillarmente alle sue maestre ed è importante che si interfaccino anche con la neuropsichiatra che effettua le visite di controllo. Nella mia Asl non avrei potuto ottenere questo.
Da un lato li capisco: i neuropsichiatri nella mia zona d’origine sono pochissimi, si contano sulle dita di una mano e devono gestire migliaia di pazienti. Dall’altra mi chiedo però come la sanità pubblica possa essere così superficiale su tematiche di questa importanza, che interessano moltissime famiglie.
La nuova neuropsichiatra non ha trovato nulla di insolito in Francesco. Per la prima volta, durante una visita di questo tipo, è successo qualcosa di completamente nuovo: Francesco si è ritrovato in una stanza piena di giochi come la sua cameretta, in un posto, lo studio della neuropsichiatra, che non assomigliava neppure lontanamente a un ospedale.
In quella stanza si è sentito a proprio agio, si è lasciato andare, ha mostrato per la prima volta quanto sia comune per lui il gioco simbolico (cioè quando finge un attività, tipo quando mi prende il fermaglio con la stella e fa finta di essere Harry Potter). La neuropsichiatra si è soffermata sulla sua stereotipia, tranquillizzandomi: la fa solo quando è felice, quindi non rappresenta un grosso problema.
Certo, la diagnosi di autismo resta, i test fatti in passato restano, ma parliamo di un autismo così lieve che la terapia dovrebbe aiutarmi a dissipare i dubbi sul suo futuro. E gli obiettivi della terapia mi appaiono ambiziosi e coraggiosi. La speranza è straordinaria in questi casi: l’idea che il domani possa riservarci qualcosa di nuovo e di bello mi rasserena.
Vorrei vivere in un incubo di David Lynch. #betweentwoworlds
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