Scuola senza voti sì o no? Le ragioni dei pedagogisti pro e contro
Ci immaginiamo una scuola senza voti come il paese dei Balocchi, ma è davvero così? In cosa consiste? Perché realizzarla (e perché no)?
Ci immaginiamo una scuola senza voti come il paese dei Balocchi, ma è davvero così? In cosa consiste? Perché realizzarla (e perché no)?
Secondo molti, è il momento di abolirli. Ma una scuola senza voti è davvero possibile?
La prima cosa da chiarire quando si parla di scuola senza voti è che non si tratta di una scuola in cui non si studia, non si hanno compiti, non si viene valutati o in cui i professori sono estremamente lassisti con gli studenti, che possono fare quello che vogliono perché non hanno la spada di Damocle del voto sulla testa.
Come ha spiegato Elisabetta Nigris, docente di Pedagogia didattica alla Bicocca, con delega del Rettore per la Formazione degli insegnanti, in occasione del convegno “Non sono un voto”,
Indaghiamo quali strumenti possano meglio dare valore a ciò che fanno i bambini: che cosa hanno imparato davvero, quanto impegno ci hanno messo, quali processi mentali hanno attivato.
La valutazione, quindi, rimane, ma si trasforma da un semplice numero con la pretesa di riassumere le competenze acquisite da alunni con diversi percorsi, esperienze e attitudini in uno strumento che possa descrivere, dice Giuseppe Adernò, preside e autore per La Tecnica della Scuola,
come il suo alunno sta crescendo, quale traguardo di abilità ha raggiunto, esercitando le capacità acquisite e potenziate, in vista del successivo traguardo di competenze.
Senza concentrarsi sul voto come unico obiettivo, gli studenti possono focalizzarsi sull’apprendimento, sulla collaborazione, sulle passioni e gli interessi. Ovviamente, un approccio di questo tipo richiede anche un cambiamento della didattica, come ha spiegato Sonia Sorgato al Corriere della Sera:
È importante sviluppare autonomia, attività di osservazione, capacità di risolvere i problemi. Così, per esempio, quando parliamo del sole e delle fase lunari partiamo dall’osservazione e solo in un secondo momento ci riferiamo ai contenuti del libro di testo.
La scuola senza voti non è solo un progetto: in molte realtà, anzi, è già stata applicata. Non solo all’estero – è il caso della Svezia, in cui i voti sono introdotti solo a partire dalla 6 classe, a 13 anni – ma anche in Italia. Già diverse scuole, infatti, hanno sperimentato una modalità didattica e di valutazione alternativa, eliminando i voti (ma mantenendo comunque il giudizio finale annuale, come previsto dalla legge).
A iniziare la sperimentazione «Ben-essere a scuola» è stata una scuola di Cesena dell’a.s. 2016/17, ma altri istituti hanno seguito questo percorso, come la scuola Aldo Moro e la scuola Cesare Battisti di Terni, che per l’anno scolastico 2019/2020 hanno avviato
una sperimentazione che miri a stimolare il bambino a dare il meglio di sé, invece di inseguire il bel voto a tutti i costi. Non ci saranno verifiche orali e scritte, quindi niente stress da prestazione, né competizione tra gli alunni, né trucchi per copiare il compito dal compagno “bravo”, i banchi saranno vicini per facilitare l’idea della condivisione tra gli alunni che saranno uniti dal desiderio comune di lavorare assieme.
Questo perché, spiegano in un documento le insegnati responsabili del progetto sperimentale,
gli studenti di oggi soffrono, a volte, di forme di ansia importanti a causa delle pressioni subite e, di conseguenza, vivono l’ambiente scolastico come luogo di competizione. È giusto che la scuola primaria, in quanto tale, debba costruire un sistema efficace soprattutto nei primi anni di formazione, dando a tutti gli alunni la possibilità, partendo realmente dalle loro esigenze, di crescere secondo i loro ritmi, i loro talenti ed con i loro tempi. […]
Il voto non facilita lo sviluppo dei talenti, anzi li appiattisce nella media, di conseguenza il progetto prevederà l’assenza del voto numerico in pagella e negli elaborati dei bambini: TUTTI SENZA VOTO! Poiché:
- il voto è uno strumento non un obiettivo;
- un mezzo non un fine;
- giudica la persona e non la prestazione;
- a volte è soggettivo;
- penalizza i più deboli – induce insana competizione;
- è anaffettivo;
- disorienta il genitore;
- è una stima che inibisce l’autostima;
- non motiva;
- il voto non aiuta la “disciplina”;
- il voto non vede tra le pieghe degli errori;
- il voto allontana l’alunno dal piacere del risultato;
- il voto è uno strumento di giudizio dei genitori.
A muoversi, però, non sono state solo le realtà locali, ma anche il Ministero dell’Istruzione: con la legge 41/2021 nell’anno scolastico 2020/21 sono infatti stati aboliti i voti numerici ripristinati dalla Legge Gelmini del 2009 e sostituiti con quattro giudizi descrittivi, relativi a quattro diversi livelli di apprendimento:
Una sistema di valutazione che però, secondo Adernò, non corrisponde a una reale concezione di scuola senza voti e, anzi, non fa che replicare il sistema della votazione classica in altra forma:
In mancanza di una dettagliata progettazione del percorso di apprendimento non si possono descrivere i traguardi raggiunti e la formulazione generica dei livelli proposti: avanzato; intermedio; base; in via di prima acquisizione, non descrivono veramente il processo di apprendimento del singolo alunno che “cresce, diventa uomo, apre i suoi occhi al vero e scopre la dimensione dei valori”. […]
Al termine del primo quadrimestre non si possono scrivere parole asettiche e “buone per tutte le stagioni” e adatte ad un generico bambino che cresce.
Nel suo libro su Don Milani – Don Milani. Parole per timidi e disobbedienti – Andrea Schiavon scriveva:
Guardate solo al voto non all’impegno che c’è dietro, ci vedete come numeri che, se sono sotto al 6, sembrano destinati a diventare sempre più bassi. Ma il vostro compito è quello di farci crescere, non inchiodarci.
Il voto, infatti, non solo spesso si traduce nell’unico obiettivo degli alunni, che non studiano per apprendere ma solo per strappare una sufficienza o raggiungere il voto desiderato – da loro e, soprattutto, dai genitori – ma in molti casi si trasforma in un elemento in cui i ragazzi e le ragazze si identificano. “Prendo 4, quindi valgo 4” è un pensiero che nasce con facilità negli studenti e che li porta a ritenere che il voto sia un indicatore del loro valore e che non vi sia alcuna possibilità per loro di riuscire dove ritengono di essere destinati inevitabilmente a fallire.
Non solo: anche molti professori tendono a valutare i propri studenti secondo le prime valutazioni, “bollandoli” attraverso il voto e mutuando atteggiamenti e aspettative secondo essi.
Lo stesso può dirsi per i “primi della classe”: avere sempre buoni voti non è sempre più semplice e, anzi, anche questo può rappresentare una condanna, non solo perché è fondamentale non abbassare il rendimento, costi quel che costi, ma perché genitori e professori si aspettano un inevitabile “successo nella vita” da questi ragazzi e ragazze, nonostante come ricordi lo psicologo Adam Grant sul New York Times, questo sia ben lontano dalla realtà, soprattutto perché
solo raramente i voti tengono conto di competenze considerate sempre più importanti per il mercato del lavoro del prossimo futuro quali creatività, leadership, abilità nel lavoro di gruppo.
I voti, inoltre, scatenano la competizione tra studenti, che dovrebbe essere invece sostituita dalla collaborazione e dal sostegno reciproco.
Secondo Daniele Novara, pedagogista e fondatore e direttore del CPP, Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti,
L’abolizione dei voti alla Scuola Primaria è la scelta giusta per evitare un inutile stress in un’età che non ha bisogno di giudizi e valutazioni ansiogene data la plasticità del cervello infantile normalmente disponibilissimo all’apprendimento. In particolare, le valutazioni basate su risposta esatta/risposta sbagliata appaiono quelle più anacronistiche e senza alcun valore scientifico. Il problema non è quanto il bambino “sbaglia”, ma quanto aumentano le sue competenze rispetto ai propri personali punti di partenza che sono estremamente diversi. Basti pensare ai bambini di 1^ elementare che possono avere anche un anno di differenza l’uno dall’altro che dal punto di vista psicoevolutivo è un’eternità.
Occorre abbandonare i vecchi metodi e puntare sulla valutazione evolutiva, ossia sul riconoscimento graduale dei progressi dell’alunno.
Le resistenze a una scuola senza voti sono sempre molto forti: da un lato perché non riusciamo a immaginarci la possibilità di una scuola che valuti senza assegnare un giudizio numerico da cui discendano giudizi positivi o negativi che vanno a influenzare l’andamento scolastico nel suo insieme, dall’altro perché temiamo che, abbandonando il sistema scolastico come lo abbiamo sempre conosciuto, ci si abbandoni a un lassismo capace di compromettere le generazioni future.
A questo, si aggiunge una tendenza che resiste molto forte nella società nel ritenere che la scuola debba “temprare” e che quindi gli studenti debbano essere in grado di gestire stress e ansia per prepararsi alla vita vera.
Certamente, se immaginassimo la scuola senza voti come un paese dei balocchi in cui tutti vengono promossi senza avere le competenze e le nozioni necessarie, tutto questo potrebbe essere vero. Come abbiamo visto, però, la realtà è più complessa. Per questo, è anche più complicata da realizzare.
Una vera scuola senza voti presuppone un cambiamento didattico profondo e una capacità da parte dei professori di valutare la crescita complessiva degli studenti e non solo secondo una valutazione nozionistica delle competenze. Ma siamo pronti per questo?
Curiosa, polemica, femminista. Leggo sempre, scrivo tanto, parlo troppo. Amo la storia, il potere delle parole, i Gender Studies, gli aerei e la pizza.
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