Il  sogno di diventare genitori purtroppo talvolta può infrangersi contro circostanze decisamente più grandi di lui, in primis, naturalmente, l’infertilità di uno dei due partner. Ma, se un tempo la cosiddetta sterilità maschile o femminile era considerata uno scoglio insormontabile al raggiungimento di una agognata gravidanza, anche per ovvie ragioni di arretratezza nel campo della ricerca scientifica e medica, adesso, grazie appunto ai passi considerevoli compiuti dagli studi in questo senso, ogni coppia può tornare ad avere speranza.

Una della strade più battute nella ricerca di un figlio è senza dubbio quella della fecondazione assistita, un percorso certamente lungo e complesso che, tuttavia, assicura un’ottima percentuale di riuscita; ovviamente non vogliamo porci nell’ottica di discutere se ricorrere al metodo della cosiddetta “fecondazione artificiale” sia umanamente meglio o peggio che affidarsi all’adozione, né intendiamo giudicare chi opti per una scelta piuttosto che per l’altra. Ma, dato che spesso le idee circa la fecondazione assistita non sono del tutto chiare, proprio in virtù della complessità della tematica, vogliamo provare a fare un po’ di “luce” sull’argomento, anche basandoci sulle testimonianze di tre donne che hanno scelto di diventare mamme “da sole”.

Fecondazione assistita: cos’è

Fecondazione assistita cos'è
Fonte: web

La fecondazione assistita è una tecnica che consente di unire i gameti, ovvero sperma ed ovociti, in modo artificiale tramite osservazione al microscopio. Occorre tenere presente, anzitutto, che si può parlare di “problemi di concepimento” quando dopo almeno 12 mesi di rapporti intimi tra la coppia, mirati a ottenere una gravidanza, non si riesce nello scopo. Quando il problema deriva da uno stato fisico particolare, si parla di infertilità fisiologica, altrimenti questa può anche essere legata all’utilizzo di particolari farmaci che inibiscono le normali capacità di procreazione.

Le tecniche utilizzate sono diverse; si parla di FIVET, ICSI, inseminazione; a prescindere dal centro di fecondazione assistita scelto, il percorso è più o meno lo stesso in tutta Europa, con lievi differenze tra un paese e l’altro. Per chi è costretto a fare ricorso alla PMA (acronimo di procreazione medicalmente assistita), la necessità di muoversi per tempo per ottenere la gravidanza è fondamentale: è necessario quindi conoscere anticipatamente tutti gli esami da svolgere richiesti dai medici, dato che molti di essi richiedono dei tempi di elaborazione dei dati piuttosto lunghi (certi esami genetici possono richiedere fino ad un mese di attesa, e uno o due per conoscerne i risultati).

Inoltre, è importante sapere che non tutti i laboratori di analisi sono in grado di effettuare esami così approfonditi. È quindi necessario informarsi in anticipo su quali cliniche effettuano determinati esami; se si sceglie di rivolgersi all’estero è di estrema importanza sapere se la clinica scelta conduce tutti gli esami necessario o se questi andranno svolti esteriormente. Generalmente il percorso prevede:

  • Prenotazione e accettazione: per prima cosa verrà richiesta la presentazione della pregressa documentazione sanitaria, dopodiché verranno fissate le prime visite specialistiche.
  • Visita ginecologica: per le donne che intraprendono il percorso di fecondazione assistita, durante la prima visita verrà effettuato un test ginecologico ed eventualmente vengono prescritti altri esami.
  • Visita androloga: questa riguarda gli uomini. Durante questa visita viene valutata la qualità del liquido seminale al fine di indirizzare la coppia verso il trattamento migliore.
  • Consulenza genetica: qui si viene informati delle varie tecniche e, secondo l’anamnesi familiare e genetica, si valutano i rischi futuri inquadrando la patologia genetica.
  • Condivisione dell’analisi: effettuati tutti gli esami richiesti, viene deciso l’iter terapeutico. Qui vengono anche spiegati i rischi e si forniranno risposte a ogni dubbio o domanda.
  • Inizio della terapia: chiarito ogni punto, si può iniziare con la vera e propria fase pratica, somministrando farmaci e fissando i dovuti appuntamenti.

Le tecniche utilizzate oggigiorno in questo campo sono soprattutto due:

  • Fecondazione omologa: consiste nell’unione di seme e ovulo che appartengono alla stessa coppia, in maniera artificiale. In questo caso, il nascituro avrà lo stesso corredo genetico di mamma e papà che sono ricorsi a questa tecnica.
  • Fecondazione eterologa: consiste nell’utilizzo di un gamete esterno alla coppia, seme o ovulo, per cui si ricorre alla donazione di un soggetto anonimo, per far fronte al problema vero e proprio di infertilità di uno dei soggetti della coppia.

I trattamenti più comuni sono invece:

  • Fecondazione in vitro: questa tecnica prevede un incontro in laboratorio, o meglio in vitro come suggerisce il nome stesso, tra ovulo e spermatozoo. Viene consigliata soprattutto in caso di salpingi ostruite o tube non pervie. Si tratta di una delle tecniche più famose al mondo, anche se oggi sostituita nella maggior parte di casi con la tecnica ICSI.
  • Iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo (ICSI): in questo caso, la particolare tecnica consente di iniettare direttamente lo spermatozoo nel citoplasma dell’ovocita; vi si ricorre quando le capacità seminali del maschio sono ridotte rispetto alla norma.
  • Inseminazione intrauterina (IUI): a questa tecnica si preferisce accedere per aumentare la probabilità di una donna potenzialmente fertile di restare incinta. Ha una probabilità di successo piuttosto bassa, circa il 15%, ma vi si ricorre quando il seme del maschio è esente dalla possibilità di infertilità e le tube della donna sono in condizione normale.
  • PGD: coloro che rischiano di partorire figli con gravi malformazioni genetiche, ricorrono spesso alla tecnica PGD, che avviene mediante il prelievo al terzo giorno di una cellula dell’ovulo fecondato, per analizzare il suo patrimonio cromosomico e decidere se effettuare o meno l’impianto.
  • PGS: la PGS (screening genetico preimpianto) è una tecnica innovativa, che consente di scegliere solo gli embrioni con uno stato di salute cromosomico corretto, per eseguire un impianto. Questa tecnica aumenta notevolmente le percentuali di successo di una gravidanza.

Vi raccontiamo ora tre storie di mamme che ce l’hanno fatta.

1. Daniela

fecondazione assistita centro
Fonte: web

Dopo un tentativo di ICSI andato male – racconta Daniela a Vanity Fair – non ce l’ho proprio fatta a rimettere piede in quel reparto, il Centro studi e trattamento per i disturbi della fertilità dell’Ospedale Niguarda di Milano.

E non solo per il carico di emozioni e anche di sofferenze che ti porti dietro e che in pochi secondi, nel momento dell’esito delle Beta HCG [il prelievo che dice se sei incinta oppure no, n.d.r.], si infrange. Ma anche perché quella disorganizzazione folle ti fa girare la testa e non solo.

Parlo della mia esperienza: 40 anni compiuti da poco, sposata, un buon lavoro e una vita che mi piace. Ho conosciuto Giovanni quando avevo 34 anni suonati, lui è un po’ più grande di me ed è successo quello che succede nella maggior parte dei casi: ci siamo innamorati e dopo un po’ abbiamo condiviso il desiderio di provare a mettere al mondo un bambino.

Esami di routine, tutto bene, ma dopo un po’ di mesi di tentativi inconcludenti abbiamo cominciato a preoccuparci e a indagare meglio. Morale della favola: gli spermatozoi di mio marito sono poco volenterosi e la mia età non aiuta di sicuro. È cominciato così l’iter, fatto di poche chiacchiere e molti esami, dai più ai meno invasivi, che ci hanno aperto un mondo fino a quel momento per noi abbastanza sconosciuto. Un percorso impegnativo che ci ha portato a conoscere coppie nelle nostre condizioni, alcune di loro anche molto giovani. “Però, che idee chiare” mi sono trovata a considerare guardandole, “io alla loro età pensavo solo al mio lavoro e a spassarmela, mai avrei avuto il coraggio e la forza di mettere su una famiglia.

In questi giorni sono a casa a riposo dopo il quarto transfer (il quarto in 14 mesi) e quelli che fino a pochi mesi fa erano due o tre giorni di riposo, dopo il compimento dei 40 sono diventati magicamente 5. Ma credo sia giusto così: nelle ore trascorse sdraiata sul divano hai tantissimo tempo per pensare e ripensare sempre alle stesse cose: ma se dovesse andare bene, come reagirei? Perché – è indubbio – chi non è proprio alla prima esperienza è già un pochino predisposta a un esito negativo. E poi, cavolo, però saremmo due genitori belli attempati.

E se il bambino non arriva?

Io non so cosa decideremo noi tra pochi giorni, quando arriverà la telefonata con il responso. Non ne abbiamo parlato e non so se per scaramanzia o per paura.
L’unica cosa che credo fermamente è che Giovanni e io siamo stati molto fortunati a conoscerci, desideriamo stare insieme per ancora tantissimo tempo, abbiamo famiglie che ci sostengono nel modo giusto, senza invadenze, abbiamo progetti importanti. Se un bambino non verrà, ne prenderemo atto e andremo avanti, sicuri del nostro amore e della complicità delle persone che ci circondano. Tra queste, alcune coppie, perché in questo ambiente si ragiona solo per due, che ho conosciuto in questo ultimo anno e con le quali ho condiviso chiacchiere, sorrisi e tanta solidarietà e che tutte, per caso o per destino, stanno vivendo proprio in questo inizio di aprile un momento importante: Lucia, alla quale proprio oggi la telefonata ha riferito che è di nuovo andata male, Greta, compagna di camera in occasione del mio secondo tentativo, che due giorni fa ha dato alla luce un meraviglioso maschietto, Marzia, che ha la scadenza fissata dopodomani e Monica che la prossima settimana si presenterà insieme al marito Lorenzo al tribunale dei minori di Taranto per il primo colloquio propedeutico all’adozione.

Sono stata molto fortunata a incrociarle sulla mia strada perché ognuna a modo suo ha arricchito il mio percorso, non so se di madre, ma di donna senza dubbio. Poi c’è Claudia; ci conosciamo da una vita e in questi anni abbiamo condiviso molto, questa esperienza compresa. Al momento lei e suo marito stanno vivendo un momento di crisi profonda e forse qualche responsabilità va imputata anche al carico di ormoni e al ciclo illusione/disillusione/tristezza cosmica che se ripetuto troppe volte ti dà l’impressione di farti “uscire pazza”. È una paura nella quale siamo intrappolate tutte, ma non siamo matte, siamo solo un po’ più fragili di come eravamo prima e forse saremo più forti dopo… In tutta sincerità lo spero. Quelle mezz’ore trascorse nell’attesa dei controlli da effettuare all’incirca un giorno sì e uno no nel periodo della stimolazione ormonale, e quelle iniezioni nella pancia, delle quali mio marito ormai è il re, considerate da fuori possono sembrare un incubo, ma una volta in cui ci vivi dentro assumono la loro giusta misura e, per assurdo, se decidessi di interrompere qui il mio percorso, forse mi mancheranno.
Certo, i calcoli sul quando è opportuno fare l’ultima pipì perché il transfer va effettuato a vescica piena… Ecco, quelli non credo mi mancheranno.

 

2. Barbara

fecondazione assistita
Fonte:web

Fin dalla mia adolescenza,  dice Barbara sul sito fecondazione.org, mi è stata data la condanna che non avrei mai avuto un bambino a causa di una patologia chiamata “amenorrea primaria“, ovvero l’assenza di ciclo mestruale per cause ancora sconosciute. Ho passato gli anni della mia adolescenza a combattere con il pensiero e il dolore che non avrei mai potuto avere figli… eh sì, perché la sentenza ad ogni controllo ecografico o ginecologico era sempre la stessa: “Si metta il cuore in pace che lei un domani non potrà avere figli, lei è sterile!“. Non potrò dimenticare il dolore che ho provato in quegli anni, ma ho sempre cercato di reagire non accettando quella brutta, ma evidente sentenza.
Dopo essermi sposata, ho cercato di affidarmi a qualcuno per trovare una strada per tentare di affrontare la mia sterilità, ma la risposta è sempre stata la stessa: lei è sterile… lei ha una probabilità su 100 di poter rimanere gravida…. solo un miracolo… sempre la solita porta sbattuta in faccia in modo crudele e disumano.

I primi tentativi di stimolazione farmacologia per iniziare una fecondazione presso una famosa clinica di Milano sono stati un disastro! Il rapporto umano con l’equipe era disastroso; era gestito da 3 professionisti che sembravano “i tre amigos”, sia nell’abbigliamento sia nel modo di comportarsi con le pazienti. Dopo una stimolazione interminabile durata quasi 28 giorni a dosi di ormoni da cavallo (12 fiale di fsh al giorno!), mi sono resa conto che lì non funzionavano le cose e che non era un ospedale ma un centro veterinario. Mi resi subito conto che ero nel posto sbagliato, e lo capii anche dai visi sconsolati e tristi di molte donne già in cura lì da parecchio tempo. Non mi arresi, cercai altre soluzioni, ma la risposta era sempre la stessa: “Si metta il cuore in pace e pensi all’adozione se proprio vuole un figlio“.

Ma un bellissimo giorno d’inverno un raggio di sole venne a scaldare il mio cuore oramai tanto triste . Mi fu data la possibilità di mettermi in contatto con il Prof. Menaldo di Torino: il primo incontro con lui non lo dimenticherò mai; è stato l’unico medico che non ha formulato sentenze, e questo mi bastava per ritrovare la speranza e il sorriso.
Mi disse subito che poteva trattarmi con dei farmaci adatti alla mia patologia e che se avessi risposto agli stimoli avremmo potuto tentare un’inseminazione o una FIVET.

Iniziai subito le stimolazioni senza far passare troppo tempo una dall’altra, ed ecco il grande risultato, alla terza inseminazione… finalmente quello che ho sempre desiderato: al 15 giorno dell’inseminazione non avevo il ciclo! I test ormonali della gravidanza ci davano ragione, e il Prof. Menaldo mi disse: “Barbara lei è proprio incinta“. Non mi sembrava vero, si stava realizzando l’impossibile, si stava realizzando quell’1% di possibilità che tanto aveva pesato sugli anni che dovevano essere più belli della vita… e cosi sono iniziati i nove mesi più belli della mia vita.
Ed eccomi qui, con il piccolo Saul che dorme nella sua culla come se fosse un angioletto, no ma forse è un angioletto… e sono certa che per ogni donna che soffre per essere definita sterile, che lotta e si confronta con i momenti più tristi, che non si arrende ai primi insuccessi delle inseminazioni, c’è il destino diventare mamma. Tutto si dimentica quando per la prima volta stringi tra le braccia quel bambino tanto atteso e desiderato!

Io la mia battaglia l’ho vinta e vorrei essere d’aiuto e d’esempio a tutte quelle donne che si vedono la maternità negata.

 

3. vit@lba80

fecondazione assistita
Fonte: web

La terza storia arriva da un forum sul sito periodofertile.it, a raccontarla è la ragazza “nascosta” dietro questo nickname. Non sappiamo se sia vera o no, ma rappresenta comunque una testimonianza rispetto a quello che le donne che compiono il percorso di PMA provano sulla propria pelle.

Iniziamo la ricerca a marzo/aprile 2012, sia io che mio marito avevamo quasi 32 anni, dopo 2 anni ed esami di base tutti a posto decidiamo di andare in un centro per infertilità, e lì ci prescrivono un altra serie di esami da cui ci definiscono Sine Causa. Facciamo 3 IUI tutte negative, a maggio 2015 inizio la stimolazione per FIVET, ma vengo “stoppata” per poca produzione (tanti follicoli ma uno troppo cresciuto non permetteva la crescita sincrona degli altri); ottobre 2015, seconda stimolazione per FIVET, c’è il rischio di iperstimolo quindi solo pick up, vengono recuperati 18 ovociti, 12 buoni e poi la strage, riescono a congelare solo 2 embrioni in seconda giornata. Transfer a dicembre e beta negative. Terza stimolazione marzo 2016, mi preparo con agopuntura, integratori, alimentazione, moxa, al pick up prelevano 10 ovociti di cui solo 4 maturi, e con questi fanno la ICSI; si formano 4 embrioni che arrivano in terza giornata, 2 vengono trasferiti da fresco, e le beta sono positive… a giorni partorisco la mia gioia!
Appena posso andrò a recuperare gli altri 2 embrioni.

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