Essere genitori di un figlio disabile: "Che futuro avrà dopo di me?"

Aiutare i propri figli ad affrontare l'invalidità è un compito durissimo, ma quello che davvero fa male è pensare a come vivranno da soli, senza un padre o una madre pronti a sacrificarsi. E soprattutto senza uno Stato presente per aiutarli e assisterli

Qualsiasi genitore vive con preoccupazione le diverse fasi di crescita dei propri figli, cercando di “traghettarli” fino all’età adulta per renderli persone indipendenti. Chi è padre o madre di un figlio disabile è invece consapevole di doversi prendere cura di lui per tutta la vita. Chi lo aiuterà dopo di me? Chi ci sarà al mio posto? Sono le classiche domande che è impossibile non porsi in questi casi. Lo Stato ha provato a fornire delle risposte, con la legge denominata “Dopo di noi”, ma non è abbastanza.

Il “Dopo di noi” è legge, ma è un flop

La Legge per il “Dopo di noi” (Legge 112 del 22 giugno 2016) è stata una prima risposta alle famiglie con un figlio disabile che intendono dare un futuro sicuro ai loro cari. Tuttavia, dopo un anno e mezzo, la legge fatica ancora a decollare. Su 19 Regioni coinvolte (le province di Trento e Bolzano, in quanto a statuto autonomo, hanno rinunciato ai fondi nazionali), solo 9 regioni (Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Sicilia e Toscana) hanno emanato sia il piano attuativo regionale, che i successivi provvedimenti atti a rendere concrete le misure. Di queste, solo 5 (Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Toscana, Marche e Molise) hanno anche emanato i bandi.

“Speriamo che non ci sopravvivano”

“Siamo gli unici genitori del mondo a sperare che i figli non ci sopravvivano”, ha detto Lucia Viggiano, mamma napoletana di un figlio disabile, parlando a La Stampa. Come lei, c’è anche Anna Cattolico, mamma di un figlio autistico di 36 anni, Gianluca. “Vorrei fare il premier per una settimana. Lo conosco il problema. Saprei come affrontarlo. Quello del dopo di noi non è un modo. Delle volte Gianluca lo devo inseguire con il bastone, perché alza le mani. Qualche tempo fa mi ha spaccato un sopracciglio. Però vivo per lui. Lo Stato non lo sa, ma io sì”. Angela, madre di Gianmarco, racconta di aver intestato la casa di famiglia proprio a suo figlio, sperando che sia sua sorella ad aiutarlo dopo di lei. “Lo so che ci sono istituti migliori e altri peggiori. Ma io non sopporto l’idea che Gianmarco finisca in uno di quei lager da 100 persone dove i ragazzi diventano dei numeri di cui non importa a nessuno”.

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Quali diritti per le famiglie dei disabili?

Una situazione difficile, a cui lo Stato non sembra prestare sufficiente attenzione, come raccontato dal sito Vita. “Il panorama a un anno e mezzo dalla sua entrata in vigore fa emergere l’incapacità dell’infrastruttura a recepire una norma, a garantire un diritto e a renderlo esigibile”, ha detto Roberto Speziale, presidente nazionale di Anffas (Associazione nazione famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale), che ha presentato i dati il 1° dicembre 2017, durante il convegno nazionale “Legge 112/16, dalle parole ai fatti. Gli atti applicativi delle Regioni a confronto”, organizzato in occasione della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità.

“Ormai si fa concreto il rischio che le famiglie, che vi avevano guardato con grandi aspettative, non vedendo succedere nulla, non vedendo realizzarsi le prospettive che la legge prevede, traggano la conclusione che la legge non serve e tornino a pensare che le uniche soluzioni possibili sono gli istituti o tenere i figli disabili a casa casa”, ha osservato amaramente Speziale.

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“La nostra libertà ha una data di scadenza”

Mentre il “Dopo di noi” non decolla, le famiglie con un figlio disabile sono tante e continuano ad aspettare. Tra le tante voci che tentano di farsi ascoltare, oltre a quelle dei genitori ci sono quelle dei figli, come le sorelle Elena e Maria Chiara Paolini. Insieme hanno lanciato un appello diretto al Presidente del Consiglio, attraverso la loro pagina Facebook.

“Siamo disabili. Più precisamente, da sole, non riusciamo a fare quelle cose che la gente di solito fa se vuole restare viva. Quindi mangiamo, ci laviamo, puliamo casa e abbiamo una vita sociale innanzitutto grazie a delle assistenti personali”, hanno spiegato. “Le paghiamo grazie a due cose: i fondi ridicoli che lo Stato ci dà e gli enormi sforzi economici della nostra famiglia. Ma questi soldi finiranno presto, e allora dovremo limitare seriamente la nostra vita, e indipendenza, e felicità. La nostra libertà ha una data di scadenza”.

“I fondi che ogni tanto vi vantate di stanziare per i disabili in realtà vengono destinati in gran parte alle case di cura, perché dietro alla case di cura – diciamolo ad alta voce – ci sono lucrosi interessi”, hanno continuato Elena e Maria Chiara. “È lì che va chi non ha parenti, partner o amici che possano lasciare il loro lavoro per assisterlo. Ma cosa succede in una struttura residenziale per disabili? Immaginate di non poter uscire, non poter vivere con chi vi pare, non poter compiere scelte e non avere libertà di movimento. Che tutto questo sia legale, solo perché sei disabile. Che tutto questo sia sconosciuto e sotterraneo, perché i reporter là dentro non ci arrivano. Diciamo chiara una cosa. La tragedia non è il non essere autosufficienti: la tragedia è vivere in un paese che pensa di essere ancora nel Medioevo”.

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