Nell’immaginario comune sono sempre impeccabili e sorridenti, perfette nella cura di se stesse e della loro famiglia, inappuntabili mogli, compagne, amiche e, soprattutto, mamme. La realtà delle madri casalinghe, però, non è affatto così rosea, anzi.

A rompere un velo ancora troppo spesso è il quinto rapporto annuale sullo stato della maternità realizzato da Motherly, che ha rilevato che non solo le stay-at-home-moms (o SAHM) Millennial e della Generazione Z si sentono esaurite in maniera maggiore rispetto al passato, ma che le mamme casalinghe hanno livelli più elevati di burnout rispetto alle mamme che lavorano.

Delle 17.000 persone che hanno partecipato al sondaggio, infatti, il 55% delle SAHM ha ammesso di sentirsi “sempre” o “frequentemente” esaurita, una percentuale molto più grande rispetto alle mamme lavoratrici (11% e 38%, rispettivamente).

Una sensazione di sfinimento che coinvolge e si riflette su molti aspetti della vita. Il sesso, innanzi tutto, assente o meno soddisfacente di prima: il 38% delle mamme che riferiscono di sentirsi spesso esaurite, infatti, fa sesso solo 1-2 volte al mese.

Questo potrebbe essere legato anche a un altro aspetto emerso dal sondaggio di quest’anno: rispetto agli anni passati, infatti, il report relativo al 2022 mostra la percentuale più alta in assoluto di mamme che affermano di non voler avere più figli. Questa è una caratteristica comune sia delle mamme lavoratrici che quelle casalinghe; tuttavia, tra coloro che hanno affermato di non voler rimanere di nuovo incinta il 38% è disoccupato, così come il 27% di chi non è sicura di volere altri figli.

Non sorprende che i dati più alti di esaurimento e burnout si registrino tra le donne che – quasi sempre per necessità – assumono su di sé tutti i compiti di cura, senza delegare niente: il 71% delle mamme della Generazione Z e dei Millennial ha risposto di sentirsi “soddisfatto” o “molto soddisfatto” della propria situazione di cura dei bambini quando ha potuto demandarla almeno in parte e il 51% delle mamme senza lavoro afferma che “più aiuto” migliorerebbe i loro sentimenti positivi riguardo alla maternità.

Eppure, pochissime donne riescono ad avere l’aiuto che meritano. Kelsey Lucas, fondatrice di @motherspeak , ha spiegato a Motherly:

L’assistenza all’infanzia, ovviamente, sarebbe una soluzione di grande impatto per il burnout, ma questo è il nocciolo del problema per molte mamme casalinghe: raramente utilizziamo l’assistenza all’infanzia in outsourcing, a causa di restrizioni finanziarie o perché ci sentiamo come se non “Non meritassimo” l’assistenza all’infanzia perché non stiamo guadagnando un reddito per la nostra famiglia. Quindi, mentre le mamme casalinghe hanno bisogno e meritano di avere accesso a servizi di assistenza all’infanzia regolarmente, per tutte le stesse ragioni per cui le lavoratrici meritano di tornare a casa la notte e dormire, o di avere qualche giorno libero alla settimana, la società non valuta ancora la maternità allo stesso modo.

La mancanza di assistenza all’infanzia è uno dei nodi chiave che ha portato molte donne a passare da madri lavoratrici a madri casalinghe. Durante la pandemia, infatti, le donne hanno lasciato la forza lavoro a un ritmo doppio rispetto agli uomini: la mancanza di servizi di assistenza all’infanzia accessibili o abbordabili, infatti, ha spinto milioni di donne a lasciare la forza lavoro. Secondo il sondaggio, il 26% delle madri Millennial e della Generazione Z cita i problemi di custodia dei bambini come il motivo principale per cui hanno lasciato il lavoro nell’ultimo anno.

E nonostante l’effetto della pandemia sull’aumento dello smartworking, il 48% delle madri attualmente impiegate ha dichiarato insoddisfazione per la mancanza di flessibilità di orario e di permessi retribuiti da parte del datore di lavoro. Una situazione che rischia di spingere un numero sempre maggiore di donne verso l’inoccupazione: le donne ancora nel mondo del lavoro, infatti, sono sempre più pessimiste sulla possibilità di conciliare carriera e maternità. Il 23% afferma di non pensare che sia possibile unirle (rispetto al 17% nel 2021), un dato che per le madri non lavoratrici è salito al 30% (rispetto al 26% del 2021).

A pesare è anche l’isolamento dovuto alla pandemia – che ha significato non solo meno attività sociali per i bambini, il cui intrattenimento è ricaduto interamente sulle spalle delle madri, ma anche una minore rete di supporto a cui rivolgersi – ma anche l’aspettativa che siano le madri, e le madri solamente, a prendersi cura della famiglia.

A parte l’affidamento in outsourcing dell’assistenza all’infanzia, infatti, molte madri casalinghe hanno dichiarato – prevedibilmente – che trarrebbero vantaggio da una migliore suddivisione dei compiti domestici con il proprio partner. Alla domanda su cosa diminuirebbe maggiormente i loro sentimenti di burnout, il 22% delle madri senza lavoro ha fatto riferimento al carico mentale che devono sostenere quotidianamente, rispondendo “il cambiamento culturale attorno all’aspettativa che le donne ‘fanno tutto'”.

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