Parto indotto, che il travaglio abbia inizio!
Dalla fleboclisi di ossitocina al gel di prostaglandine, in fatto di parto indotto l'imperativo è l'anestesia epidurale
Dalla fleboclisi di ossitocina al gel di prostaglandine, in fatto di parto indotto l'imperativo è l'anestesia epidurale
Se il parto contiene un “retrogusto” artificiale, allora stiamo parlando sicuramente di parto indotto.
Per la precisione, di un insieme di tecniche ostetriche che, per mezzo di metodi più o meno invasivi e dolenti, conducono il nascituro alla luce.
Proprio per via della questione dolore, l’anestesia epidurale è vivamente consigliata.
Secondo i dati di uno studio effettuato presso l’ospedale St. Elisabeth di Vienna e coordinata da Antonio Longo, presidente della società italiana unitaria di colonproctologia, in Italia il parto indotto avviene soprattutto se il feto nasce di venerdì o sabato. La strana casualità – o causalità? – è stata notata nel corso di alcune interviste condotte su mamme per mettere in relazione la la gravidanza con una futura ed eventuale rottura del bacino.
In primis, si può pensare al parto indotto nel caso in cui il feto stia beatamente protetto nel liquido amniotico e ancora non contempli l’idea di una possibile nascita, nonostante siano già trascorse ben due settimane dalla data prevista per il parto. Oppure quando, sebbene ci sia stata la cosiddetta “rottura delle acque” e quindi il bambino non disponga più del suo liquido in cui cullarsi dolcemente, non si è ancora instaurato il “meccanismo” delle contrazioni – una, dalla durata approssimativa di un minuto, ogni circa tre minuti.
Infine, si ricorre al parto indotto nei casi in cui la mamma o il nascituro non godano di ottima salute. Nello specifico, se la gestante soffre di diabete o gestosi – si tende a indurre il parto addirittura alcune settimane prima della data prevista – oppure qualora la placenta non funzioni nel modo corretto o il battito cardiaco del neonato presenti delle anomalie.
Partiamo dal più doloroso: la fleboclisi di ossitocina. Com’è noto, l’ossitocina è l’ormone che induce le contrazione e la conseguente dilatazione dell’utero – quindi, se le contrazioni sono dolorose, non osiamo immaginare quanto male possano provocare quelle “artificiali”. In genere, questa tecnica è accompagnata dal gel di prostaglandine, meglio conosciuto con il nome di “candelette” che, ammorbidendo la cervice, favorisce e agevola il lavoro dell’ossitocina nella dilatazione e contrazione dell’utero.
Fanalino di coda, le metodologie meno dolorose: il distacco delle membrane che, attraverso delle manovre specifiche, le allontana dalla cervice, nonché la loro rottura che avviene per mezzo di uno strumento dalla forma simile a un uncino. Certo, queste pratiche provocano meno dolore, ma sono di sicuro più invasive – anche se, in fase di travaglio, questo non è che un piccolo dettaglio.
Altro particolare: al di là delle tecniche che verranno adottate, non si può prevedere quanto tempo la gestante dovrà subirle. Ore, magari giorni. Ecco un altro motivo per cui il parto indotto è, spesso e volentieri, più doloroso di quello squisitamente naturale: perché, in linea di massima, è più lungo.
La tecnica che non ti aspetti, quella più gradevole, è il rapporto sessuale. Infatti, oltre agli stimoli della penetrazione vera e propria, la “pratica” è più che collaudata perché sono gli stessi spermatozoi a contenere prostaglandine. Per di più, stimolando i capezzoli si produce ossitocina.
Neanche a dirlo, non esistono conseguenze negative né per la partoriente né per il feto. È vero, in caso di parto indotto il bambino è sottoposto continuamente a stimoli sgradevoli, ma la questione è presto risolta monitorandone con costanza la salute e intervenendo repentinamente in caso di necessità.
Un parto indotto fallito è un evento raro, ma in questo caso non resta che ricorrere al parto cesareo.
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