Quando mi chiedono come è stato il mio parto, inizio a tremare. La mia mente fa un improvviso salto nel passato in quella grande stanza calda dove ricordo perfettamente quel triste e scomodo lettino e il cardiotocografo da cui proveniva il suono più bello che avessi mai sentito prima: il cuoricino della mia bambina.

Mi rivedo lì, agitata, sudata, nervosa. Non sono felice, nulla sta andando come mi ero immaginata e, impaziente come sono, sto arrivando al limite. Sono le 5 del pomeriggio e io sono lì dentro, sofferente ed esausta, da ben 13 ore.

Partiamo dall’inizio. Supero la data presunta del parto e ogni mattina mi reco a fare il monitoraggio, sperando in buone notizie. Tutto fermo, piatto, “Signora, nessuna contrazione, è tutto okay. Ci vediamo domani mattina” e, per l’ennesima volta, esco da quell’ospedale triste di tornare a casa da sola.

L’emozione di averla tra le mie braccia è sempre più forte e ormai la pazienza sta arrivando al limite. Giustamente, voglio dire, nove mesi sono anche troppi per i miei gusti!

Mi prenderete per pazza, ma io non vedevo l’ora di vivere l’emozione del parto. Non avevo paura, non ero spaventata, anzi avevo l’adrenalina a mille! Non facevo altro che immaginare il giorno tanto atteso, volevo vivermelo appieno.

Difatti, ho scelto di non fare l’epidurale. E qui mi starete prendendo per pazza di nuovo. Ho scelto di non farlo per vari motivi: sul web – maledetto internet! – puoi trovare di tutto e di conseguenza ho trovato vari “contro” all’epidurale. Mi son detta “ma se prima si partoriva senza, perché io lo devo fare che può anche avere dei rischi?” e così ho rifiutato di fare la visita.

Peccato che, nella vita, niente va come ci si aspetta

Ritorniamo a quel caldo mese di primavera. È martedì mattina, mi sveglio e mi coccolo insieme al mio compagno – sotto consiglio del ginecologo, visto che il rapporto completo può aiutare ad avviare il travaglio ;) – e, verso le 12, inizio ad avere dei piccoli crampi. Non mi preoccupo e, molto tranquillamente, esco a prendere un gelato. Si fanno le 16 e i crampi aumentano sempre di più. Non sono dolorosi, ma molto fastidiosi e arrivo al punto di chiamare la mia ginecologa. Mi dice di recarmi al pronto soccorso: “contrazioni preparatorie prodromiche”.

Lo vedi come stai tranquilla e serena? Non hai dolore, sei felice e sorridi. Fidati, non starai così quando proverai la prima vera contrazione!

Il ginecologo di turno ha saputo perfettamente smontarmi in pochissimi secondi. Mi consiglia però di tornare verso le 21 e così faccio, ma sempre la stessa storia. Torno a casa, ricordo ancora le fragole con la panna che mi aspettavano lì sul tavolo della cucina, ma che ho rifiutato di mangiare perché “le mangio domani, ora non mi vanno” (e chi le ha più viste quelle fragole?) e mi metto a dormire. Sono stanca, triste e arrabbiata. Perché non parte il travaglio? Ma quando vuole uscire ‘sta bambina?!?! Ma ecco che non appena chiudo gli occhi, inizia l’incubo...

Alle 2 faccio un enorme salto dal letto, non so come mettermi, mi sebmra che il mio busto non faccia più parte del mio corpo. Torna tutto normale dopo qualche eterno secondo e mi rimetto a dormire. Di nuovo… oh cavolo, le contrazioni!!! Resto così per due ore, da sola, chiusa in bagno nel pieno della notte. Aspetto che le contrazioni si regolino, ma sono le 4 di notte e sveglio il mio compagno dicendo di correre in ospedale perché non ce la faccio più. Mi ricoverano – finalmente! – e le contrazioni si fanno sempre più forti. Sono le 4.32 di mattina di un caldo mercoledì di primavera e sono ufficialmente ricoverata con 2 cm di dilatazione.

Perché il parto mi ha traumatizzata

Sono le 12 e io, dopo l’ennesimo controllo, sono ancora a 4 cm. Non posso crederci, quasi 12 ore di contrazioni e sono ancora a 4 cm?! Sono triste, confusa, incazzata con il mondo, sofferente, piena di dolore, stanca. L’ostetrica mi consiglia di fare l’epidurale, nonostante io non abbia fatto la visita potevano fare uno strappo alla regola. Le dico che no, non lo voglio fare e che ce l’avrei fatta a resistere.

Le mie forze mi stanno lasciando, non riesco più a tenere gli occhi aperti e il mio fisico sta iniziando a cedere. Sono le 15 e io sono arrivata a 5.5 cm di dilatazione. Vi giuro che in quell’istante volevo scappare. “Fatemi il cesareooooooooooo”, grido e penso mi avrà sentito tutta Roma e dintorni. L’ostetrica per l’ennesima volta prova a convincermi a fare l’epidurale. Sono le 18 e io accetto.

Prima dose di anestesia e mi addormento serena, ma giusto per un’ora. L’effetto svanisce e mi fanno un’altra dose e così va avanti fino alle 22. Dopo aver cambiato per la quarta volta l’ostetrica, finalmente arrivo a dilatazione completa. “Ci siamo quasi!!!” e invece no, perché mia figlia mica è nata di mercoledì!

Inizio con la prima spinta, ma la cara dottoressa mi dice che non sto facendo proprio un bel niente lì sotto. Il fatto è che non sento nulla, ho completamente perso il controllo del mio corpo. Ho il cuore in due, mia figlia cercava di uscire dalle 17 del pomeriggio ed il mio corpo non collaborava.

Mi sento uno schifo, una donna da niente. Tutte riescono a partorire e io no? Tutte riescono a spingere e io no? Tristezza e delusione erano le uniche emozioni che riuscivo a provare in quel momento. Mi inizia a salire l’ansia, sento il battito della mia bambina accelerare sempre di più e ciò non mi tranquillizza affatto.

Non ho più forze, non riesco più a respirare e, allarmati, iniziano a somministrarmi ossigeno. Non bastano i mille medici attorno a me e il cuore diviso a metà, ora ho pure il macchinario per l’ossigeno a ingombrarmi l’anima. L’ostetrica non fa altro che ripetermi che non stavo spingendo. Ed io pensavo di star facendo la cosa giusta, invece non era così…

Iniziano con le manovre di Kristeller, ovvero le spinte che vengono effettuate sul fondo dell’utero per aiutare il bambino ad uscire. Il dolore è così forte che, vi giuro, ho iniziato a vedere il buio avanti a me. Prego e urlo di smetterla, di non toccarmi e che ci sarei riuscita da sola. Possibile che riesco ad essere testarda pure in un momento del genere?! È 00.10 e decidono di passare alla ventosa.

Ventosa e manovre di Kristeller, è così che sono riuscita a partorire mia figlia giovedì notte, dopo quasi 24 ore di travaglio. Altro che parto naturale e senza epidurale. Ho ripreso a vivere quando la dottoressa, con la mia bambina tra le braccia, mi ha detto che era tutto ok.

Ne è passato di tempo e io ricordo il parto come se fosse appena successo.
Cosa non è andato? Le manovre e la ventosa si potevano evitare, visto i pericoli che, ora so,possono portare?
La verità è che, al netto delle colpe, io ho avuto fortuna.

L’ostetrica di turno mi ha somministrato l’epidurale a dilatazione già avvenuta – cosa che non andrebbe fatta – io non sentivo più il mio corpo e, quindi, non riuscivo a spingere.

Io, dal canto mio, ero fissata con l’idea di un parto naturale e ho rifiutato qualsiasi intervento che, forse, accettato per tempo avrebbe garantito maggiore sicurezza alla mia bimba e a me.

La verità è che ogni parto ha una sua storia. E che forse, più che farsi il film mentale di come deve andare, varrebbe la pena lasciare la nostra mente aperta a ogni eventualità e accettare il fatto che non può essere tutto sotto il nostro controllo.

La verità è che questo e molto altro è il mio parto, queste le mie emozioni.
Non voglio assolutamente spaventare nessuna futura mamma, semmai, con molta umiltà, fare una riflessione con il senno di poi.

Spesso il parto e la maternità sono oggetto di integralismi: parto naturale contro parto medicalizzato, allattamento al seno o latte artificiale, vita da mamma h24 o rientro immediato al lavoro.
Spesso, purtroppo, le rappresentanti di una “fazione” e dell’altra difendono la propria scelta come la migliore e l’unica giusta.

La realtà è che non ci sono verità assolute e diventare madri è sì qualcosa di “naturale” per la fisiologia di una donna, ma pur sempre un evento altamente stressante per la nostra mente e il nostro corpo che, in alcuni casi, può necessitare di un aiuto “non naturale”.

Mi chiedevo Perché tutte riescono a partorire e io no?
Ma in realtà ero arrabbiata perché non stavo partorendo come avevo previsto io. Quando l’unica cosa da fare è accettare il modo in cui la vita che portiamo dentro di noi ha scelto di venire al mondo, senza pregiudizi o scelte insindacabili a priori.

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