Come sappiamo i gesti sono un insieme di movimenti, coordinati nel tempo e nello spazio, che hanno l’obiettivo di realizzare un’azione precisa; si parla quindi di disprassia quando questa serie di movimenti non si verifica in maniera sincronica, oppure mostra deficit, anormalità, o è inefficace, dopo che il bambino è stato sottoposto a una normale attività formativa.

Classificata come disturbo evolutivo della coordinazione motoria (DCD), la disprassia è un’alterazione dello sviluppo degli apprendimenti gestuali, che può manifestarsi con il ritardo nel raggiungimento delle tappe di sviluppo motorio – come il passaggio alla posizione seduta, il gattonamento, la deambulazione – oppure con la goffaggine nei movimenti, le scarse capacità sportive o la disgrafia. Perché possa essere effettuata la diagnosi, le prestazioni inadeguate devono interferire in maniera significativa con i risultati scolastici, oppure con le attività della vita quotidiana.

Non è necessariamente associata a una patologia organica associata, come paralisi motoria, emiplegia o distrofia muscolare, ma l’elemento principale che si deve tenere presente è che la disprassia è prima di tutto un disturbo della coordinazione motoria. Il bambino incontra quindi difficoltà nelle attività che richiedono coordinazione motoria, non con quelle attinenti al quoziente intellettivo.

Ci sono diversi tipi di disprassia, questi i principali.

Disprassia motoria

disprassia motoria
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Tradizionalmente, la disprassia è sempre stata classificata come un disturbo della coordinazione motoria, anche se oggi la tendenza generale è quella di inquadrare la disprassia come difficoltà a pianificare e compiere movimenti intenzionali, in serie o in sequenza. Il disturbo può presentarsi da solo (disprassia primaria), oppure associato ad altre condizioni e sindromi, come l’autismo o la sindrome di Down (disprassia secondaria).

Disprassia verbale

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La disprassia verbale viene descritta da alcuni studiosi come un disturbo dell’apprendimento sequenziale del linguaggio espressivo che interessa suoni e fonemi con lo stesso punto di articolazione o simile pattern acustico. Chi soffre di tale disturbo ha scarsa capacità di eseguire specifici movimenti con gli organi articolatori, fallendo nella programmazione ed esecuzione dei movimenti necessari per il linguaggio espressivo. La difficoltà non riguarda la capacità di trovare la parola giusta, ma nel trasferirla agli organi articolatori per esprimerla, o produrla nella giusta sequenza e al giusto ritmo melodico. I bambini con questo tipo di patologia devono ricevere messaggi più corti e più lenti, tendono a esprimersi a gesti e spesso hanno una mimica facciale ridotta.

Le cause del disturbo possono essere dovute a svariati fattori, a partire dalla mancanza di esposizione a modelli adeguati o dell’esperienza maturata nella sfera oro-alimentare; nel primo caso il bambino non ha appreso le giuste abilità della bocca adeguate all’età, mentre nel secondo potrebbe essere stato sottoposto a nutrizione assistita per periodi prolungati, oppure ospedalizzato.

Anche l’iperprotezione rappresenta una fattore di rischio, come nel caso di bambini sottoposti a svezzamento tardivo o che, per altri motivi, siano stati privati di esperienze orali di esplorazione degli oggetti. Questo accade perché l’età dello svezzamento rappresenta una tappa fondamentale per l’esplorazione orale, durante la quale il bambino conosce il mondo attraverso attività quali leccare, mordere, succhiare. Se tale esplorazione orale non è resa possibile, sia a causa delle presenza di processi infiammatori che interessano le cavità nasali, oppure per norme educative eccessivamente restrittive, il bambino si trova impossibilitato nel fare quelle preziose esperienze che conducono, con il tempo, allo sviluppo di abilità più strutturate.

Generalmente, ciò che viene perso nei primi 24 mesi di vita nell’esperienza orale, produce ritardi nello sviluppo prassico.

Disprassia evolutiva

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La disprassia evolutiva rappresenta l’incapacità di compiere gesti, simbolici o di adeguato utilizzo degli oggetti, in assenza di deficit motori di tipo piramidale, cerebellare o di disordini del movimento; con questo termine si intende un malfunzionamento, o un’anomalia della funzione da disfunzione. Molti studiosi si sono occupati dell disprassia evolutiva, per primo Orton (1937), che identifica la “goffaggine” come uno dei più comuni disordini dello sviluppo, e, trent’anni più tardi, Walton, Ellis e Court (1962) e Gubbay et al. (1965) che hanno analizzato i clumsy children, ovvero i bambini “goffi”. I criteri usati per diagnosticare la disprassia in questi bambini sono: la mancanza di destrezza, l’impaccio motorio, l’’assenza di abilità, che coincidono clinicamente con la presenza di “varie forme di aprassia e di agnosia”, come si legge su stateofmind.it.

I soggetti colpiti da questi disturbi devono pianificare i movimenti che hanno difficoltà ad automatizzare, e le loro difficoltà gestuali sono spesso correlate a difficoltà nel separare ed utilizzare adeguatamente le dita delle mani. Nella maggior parte dei casi si ha inoltre l’ipotonia degli arti superiori, particolarmente marcata a questo livello, rispetto all’ipotonia generalizzata degli arti inferiori.

Disprassia e disgrafia

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Come detto esiste una correlazione anche fra disgrafia e disprassia, legata al fatto che entrambi possono appartenere ai Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) ma hanno una loro autonomia; infatti, come spiega il sito centroetaevoltiva.it, dal DSM-5 (Manuale Statistico Diagnostico) la diagnosi di Disturbo della Coordinazione Motoria – quindi la disprassia, appunto – è inserita all’interno dei Disturbi del Neurosviluppo, ossia quelle condizioni di difficoltà specifiche che hanno un impatto sullo sviluppo globale del bambino, mentre la disgrafia si manifesta, a partire dal secondo anno scolastico in poi, attraverso una scorretta impugnatura della penna, con vistose imprecisioni nella copia di figure geometriche, la scarsa organizzazione nella gestione dello spazio del foglio su cui scrivere, oppure con la grandezza delle lettere non rispettata.

Gli esercizi per contrastare la disprassia

disprassia
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Esistono alcuni esercizi che richiamano i più semplici gesti della quotidianità con cui si può intervenire per limitare o contrastare la disprassia; ad esempio, giochi in cui si debba infilare la mela nel bruco, o una corda nel suo buco, sono ottimi per insegnare al bambino ad allacciarsi le scarpe; idem per le perle da infilare nelle collane o nei braccialetti.
Proporre al bambino di riprodurre un motivo predefinito con le perline colorate lo aiuta nell’apprendimento delle sequenze. Si può poi incoraggiare il bambino a organizzare se stesso quando deve vestirsi o spogliarsi, per esempio con frasi come “L’ultimo pezzo che togli è il primo che rimetti”, oppure ricordandogli, scritte su una lavagnetta, le note con ciò che deve essere fatto e in quale ordine.

Esercizi e schede pensati appositamente per i bambini con disprassia si trovano anche in vari libri su Amazon, come La disprassia: giochi ed esercizi, a cura di Sabbadini e Michelazzo.

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