Sono molte le difficoltà che una donna può incontrare durante il parto e subito dopo, e alcune, di cui non si parla molto spesso, rischiano di mettere a repentaglio la loro vita. È esattamente quello che è successo a Kayleigh Summers, terapeuta ma soprattutto sopravvissuta a una rara complicanza della gravidanza, l’embolia da liquido amniotico.

Memore della sua esperienza, Summers ha deciso di metterla al servizio delle altre donne, per aiutare e sensibilizzare sul problema, e ha raccontato la sua storia a parents.com.

“Quando sono rimasta incinta di mio figlio, ero così entusiasta all’idea di diventare mamma. – scrive Summers – Ho fatto tutto il possibile per prepararmi. Ho letto tutti i libri, ho fatto tutte le domande e ho fatto ricerche sulla nascita. Mi sono preparata per un lungo travaglio, le contrazioni e il dolore, e un potenziale taglio cesareo. Tuttavia, non ero preparata a morire mentre davo alla luce il mio bambino, né ero preparata alla lotta che avrei dovuto fare per incontrarlo”.

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Durante il parto Kayleigh Summers comunica all’infermiera di non sentirsi bene: “Ho urlato che qualcosa non andava nel mio cuore”. Pochi secondi dopo, crolla, in arresto cardiorespiratorio. Meno di 60 secondi dopo, era in sala operatoria, non prima però di aver dato alla luce Callahan, mentre le veniva praticata una rianimazione cardiopolmonare.

La diagnosi era chiara: embolia da liquido amniotico. “I medici hanno spiegato alla mia famiglia: ‘Il bambino sta bene, ma Kayleigh no. Ha avuto un’embolia da liquido amniotico e stiamo facendo tutto il possibile per salvarle la vita’. Dopo il cesareo d’emergenza, il mio cuore e i polmoni stavano cedendo, quindi mi hanno messo su una ECMO [ExtraCorporeal Membrane Oxygenation, ndr.], una macchina respiratoria che ‘sostituisce’ cuore e polmoni. Il team dell’ospedale non riusciva a fermare l’emorragia, quindi è stata eseguita un’isterectomia e mi sono state trasfuse oltre 140 unità di sangue”.

Summers è molto grata al personale dell’ospedale Paoli, in Pennsylvania, dove ha partorito, perché grazie al team composto da 50 professionisti è riuscita a salvarsi. Dopo 14 giorni è potuta tornare a casa, e da quel momento ha capito che doveva fare qualcosa per le altre mamme che vivono una situazione simile e magari, proprio come lei, non hanno idea di cosa stia loro capitando.

“Sono passati poco più di due anni dalla nascita di Callahan e dalla mia embolia. Sapevo che dovevo fare qualcosa. Volevo aumentare la consapevolezza rispetto al problema, usando anche le mie conoscenze come terapeuta per aiutare chi ha subito un trauma alla nascita del proprio figlio. C’è un complesso insieme di emozioni che si verificano quando qualcuno sperimenta un trauma in un giorno che ci si aspetta essere uno dei migliori della vita. Quindi, ho creato una comunità sui social media, dove sono conosciuta come The Birth Trauma Mama, per supportare altre sopravvissute come me ed educare sull’embolia da liquido amniotico”.

L’embolia da liquido amniotico è un’emergenza ostetrica piuttosto rara, che si verifica in 2/6 gravidanze ogni 100 mila. Le stime sulla mortalità variano in maniera decisamente significativa – dal 20 al 90%, secondo Manuale MSD – ma ciò che c’è di sicuro è che il rischio sia estremamente alto, tanto che è considerata la prima causa di morte per le donne che muoiono durante il travaglio. Le possibilità di sopravvivenza aumentano grazie a una diagnosi precoce e a un immediato inizio della terapia.

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