Secondo uno studio promosso dal dottor Laurent Abramowitz circa il 30% delle puerpere soffre di emorroidi in gravidanza, soprattutto negli ultimi tre mesi.

Si tratta, come le definisce anche l’Istituto Superiore di Sanità, di “cuscinetti” provocati dal rigonfiamento delle vene emorroidarie del retto e del canale anale, protuberanze che possono sia creare solo lievi fastidi che invece degenerare in un disturbo maggiore, tale da richiedere l’uso di farmaci o, nei casi più gravi, l’intervento chirurgico.

Emorroidi in gravidanza: cause

Durante i nove mesi di gestazione il corpo della donna cambia e inevitabilmente viene sottoposto a stress nuovi, a cominciare dall’ingrandimento dell’utero. Aumentando di volume, l’utero preme sulle vene rettali e sull’intestino, aumentando la probabilità che facciano la loro comparsa emorroidi, perché di pari passo c’è un aumento del volume del sangue della pressione addominale, che rende le vene sempre più fragili.

Nella comparsa delle emorroidi, inoltre, hanno un loro ruolo anche la predisposizione, l’assunzione di alcuni farmaci, la familiarità (dunque precedenti casi tra i consanguinei) e i cambiamenti ormonali: l’aumento di progesterone, soprattutto, porta a un generale rilassamento connettivale. La dischezia (ossia la stipsi) rappresenta un ulteriore fattore di rischio.

Ovviamente incidono negativamente anche le cattive abitudini, dunque una vita sedentaria, poco movimento fisico, postura e alimentazione scorrette. Le donne più avanti con l’età sono le più esposte, perché col passare degli anni i tessuti che fungono da sostegno dei vasi sanguigni del retto e dell’anno vanno incontro a fisiologico e progressivo indebolimento.

Emorroidi in gravidanza: i sintomi

I primi segnali da non sottovalutare e da comunicare al proprio medico, per poi considerare l’esigenza di una visita specialistica dal proctologo, sono sanguinamento, bruciore, prurito, dolore, non solo durante l’evacuazione. Il peggioramento delle condizioni può portare a infezioni, ragadi e persino prolasso.

La sintomatologia dipende dal tipo di emorroidi, perché quelle interne sono meno problematiche rispetto a quelle esterne.

Queste ultime quando si infiammano possono degenerare nella formazione di coaguli di sangue: la cosiddetta emorroide trombizzata. Il nodulo è molto doloroso e ostacola la circolazione sanguigna, perché va a causare un rigonfiamento nella regione anale. Secondo il già citato studio del dottor Abramowitz, che si è soffermato anche a trovare eventuali fattori di rischio per queste lesioni durante il parto, esisterebbe una correlazione tra emorroidi esterne trombizzate e parto traumatico.

Emorroidi in gravidanza: come prevenirle

Per prevenire la comparsa di emorroidi, la Fondazione Veronesi consiglia di cominciare da alcune accortezze nello stile di vita e a tavola.

Innanzitutto, sport e attività fisica aiutano la motilità intestinale. Viceversa, aggravano la situazione uno scarso apporto di liquidi (dunque bere meno di due litri di acqua al giorno) e una dieta povera di fibre. La dieta consigliata include molta frutta, cerali integrali e verdura. Sono invece da evitare insaccati, cibi piccanti, spezie, caffè alcool e cioccolato. Tutti questi cibi irritano ulteriormente la mucosa anale e possono causare dissenteria.

Anche l’igiene intima va curata moltissimo: sono d’aiuto lavaggi regolari con acqua tiepida e saponi acidi.

Emorroidi in gravidanza: rimedi e come curarle

Un approfondimento sul tema è disponibile nelle Linee guida sulla Gravidanza fisiologica, approvate dal Ministro della Salute.

Il trattamento delle emorroidi in gravidanza dipende innanzitutto dalla severità dei sintomi, perché a volte le donne accusano disturbi tali da rendere impossibile la prosecuzione delle normali attività quotidiane. Persino sedersi e camminare possono diventare un problema. Gli esperti consigliano di intervenire sulla dieta, con creme o unguenti locali antiemorroidari, terapie per via orale (antiemorroidali non steroidei).

Se necessario, va presa in considerazione la terapia chirurgica, più o meno invasiva, da svolgere in ambulatorio o in anestesia locale. Nella maggior parte dei casi porta a immediato sollievo dal dolore, in assenza di complicazioni, ma non è una pratica consigliata. Solo raramente si mette in pratica, perché di solito il disturbo tende a risolversi dopo la nascita del bambino.

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