L'allattamento al seno può fare male. Bisogna parlarne
L'allattamento al seno può essere un'esperienza dolorosa. Parlarne è fondamentale, non giudicare ancora di più.
L'allattamento al seno può essere un'esperienza dolorosa. Parlarne è fondamentale, non giudicare ancora di più.
Di allattamento al seno – ma forse sarebbe meglio dire allattamento al petto – si parla molto, e per fortuna. Si dice, giustamente, che è l’alimento migliore per i neonati e che non c’è latte artificiale, per quanto ben formulato, che possa assomigliargli.
Si dice che non è solo nutrimento, ma anche legame, e che fa bene al bambino quanto alla mamma. Quello che si dice meno spesso, però, è che l’allattamento al seno può anche essere un’esperienza dolorosa, fisicamente o psicologicamente debilitante. Che ci sono infiniti motivi per cui le persone decidono di interromperlo e che si tratta di una scelta personale e che nessuno deve essere giudicato per questo.
Del resto, in materia di allattamento c’è sempre qualcuno pronto a giudicare, come se fare la cosa giusta fosse impossibile: se non allatti sei una cattiva madre, se smetti troppo presto sei un’egoista, se allatti in pubblico un’esibizionista, se allatti a richiesta «lo vizi» e se lo fai troppo a lungo hai qualcosa che non va.
Non sorprende, quindi, che sia difficile – a volte impossibile – riuscire ad aprire un dibattito trasparente e sereno su una delle esperienze più intense, nel bene e nel male, che accompagnano la genitorialità. Eppure, parlare degli aspetti difficili, talvolta drammatici, dell’allattamento è necessario: non tanto (o non solo) per cercare di superarli e permettere a un numero sempre maggiore di bambini di venire allattati nel rispetto delle più aggiornate linee guida dell’OMS – che raccomanda l’allattamento materno esclusivo fino ai sei mesi e in affiancamento agli alimenti complementari fino ai due anni – ma soprattutto per la salute mentale delle madri, che in nessun caso può essere sacrificata per inseguire un optimum scientifico, sociale o culturale.
Ingorghi, ragadi, mastiti. Dolore. Il “viaggio dell’allattamento” può avere dei compagni di strada estremamente spiacevoli, che spesso portano con sé un altro sgradito ospite: il senso di colpa. «Forse lo stai facendo male» è infatti la risposta che si sente dare chi lamenta un dolore difficile da sopportare, non solo da chi si sente titolato a parlare in virtù di non si sa quale esperienza o competenza, ma anche da molti professionisti dell’infanzia.
Il problema non è l’allattamento – questo è il messaggio che arriva a una neomamma già vulnerabile e insicura – sei tu. Se smetti, hai fallito. Ed è così che si sentono migliaia di persone che avrebbero voluto allattare e sono state costrette a smettere o che vorrebbero smettere per non dover sopportare il dolore o la fatica ma che non ci riescono perché vinte dal senso di inadeguatezza e colpa: fallite.
Forse per questo molte madri smettono di allattare, anche se non vogliono. Come nel Regno Unito, che ha uno dei tassi di allattamento al seno più bassi al mondo secondo i dati Unicef, con solo il 24% delle donne che allatta esclusivamente al seno a sei settimane e l’1% a sei mesi, come raccomandato dall’OMS. Otto donne su dieci si sono fermate prima di quanto avrebbero voluto. In Italia, secondo un sondaggio dell’ISS, le donne che allattano a 4-5 mesi sono meno di un quarto (23,4%), con percentuali molto variabili da nord a sud.
Del resto, basta scorrere rapidamente le centinaia di articoli dedicati all’argomento per trovare un’opinione pressoché unanime: se la posizione è giusta non DEVE far male. Eppure, chiunque abbia allattato potrà dirvi il contrario: soprattutto all’inizio, allattare è doloroso. Ricordo ancora la risposta di mia sorella quando, con i capezzoli in fiamme dopo le prime dolorosissime poppate che mi costringevano a stringere gli occhi per resistere al dolore, le chiesi «ma fa male, vero?»: «Fa male sì! Non sono bambini, sono dei piranha». Una risposta leggera, ma che mi fece sentire molto meno sbagliata.
Diciamolo: allattare fa male. Per non parlare della stanchezza – fisica ed emotiva – di doversi svegliare (a volte spesso o spessissimo) per allattare di notte o di non potersi allontanare troppo a lungo senza aver lasciato un’adeguata scorta di latte tirato, una possibilità che molti presentano come la soluzione a tutti i problemi dell’allattamento senza considerare che anche tirare il latte è un’attività che richiede tempo ed energie, due elementi che sicuramente non abbondano quando si deve gestire un neonato.
Che dire poi di quei casi in cui il bambino non ne vuole sapere di attaccarsi, in cui ogni poppata è accompagnata da un senso di frustrazione, inadeguatezza e impotenza al punto che il solo pensiero di allattare basta a generare ansia?
Questo non significa che allattare al seno non sia una ricchezza o un dono per alcune e che non debba essere incentivato mostrandone gli innegabili benefici, significa che ogni esperienza è diversa e che è necessario accogliere queste storie senza giudicarle e senza dimenticare che, se è vero che l’allattamento al seno è fondamentale per il benessere del bambino, ancora di più lo è il benessere della sua mamma, come ricorda questa consulente per l’allattamento a Today’s allatti a richiesta
Il latte materno non si prende cura, non nutre e non lega con il bambino. Una madre lo fa.
Supportare le madri nel post partum significa anche questo: fare in modo che ricevano tutte le informazioni e tutto il sostegno possibile se desiderano allattare al seno e che abbiano l’aiuto adeguato – sia all’interno del nucleo familiare sia a livello di assistenza specialistica – per superare eventuali problemi, ma anche accettare che quella dell’allattamento al seno non è l’unica scelta possibile e rispettare senza giudicare chi decide di percorrere un’altra strada.
Curiosa, polemica, femminista. Leggo sempre, scrivo tanto, parlo troppo. Amo la storia, il potere delle parole, i Gender Studies, gli aerei e la pizza.
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