L'importanza del test del DNA fetale
Il test del DNA fetale è lo strumento oggi più attendibile per evidenziare anomalie cromosomiche. Attenzione però: non può sostituire in alcun modo villocentesi e altri esami importanti.
Il test del DNA fetale è lo strumento oggi più attendibile per evidenziare anomalie cromosomiche. Attenzione però: non può sostituire in alcun modo villocentesi e altri esami importanti.
Sappiamo perfettamente quanto gli esami di screening prenatale riescano a far scoprire ai futuri genitori patologie gravi del feto, che potrebbero comprometterne il corretto sviluppo psicofisico; tra questi rientra anche il test del DNA fetale, che valuta il rischio che il feto sia affetto da alcune patologie cromosomiche, in particolare la sindrome di Down.
Per eseguirlo è sufficiente partire da un semplice prelievo di sangue della mamma in attesa, per valutare i possibili rischi di malattie e anomalie cromosomiche, in primis la trisomia 21.
Come suggerisce il nome, il test del DNA fetale analizza il DNA del feto presente nel sangue della mamma; grazie a questo esame di screening prenatale è possibile avere una diagnosi molto precoce, già a 8-9 settimane, del fattore Rh fetale (implicato nel fenomeno di incompatibilità materno-fetale) o del sesso del nascituro, utile in caso di rischio di malattie legate al sesso, come, ad esempio, la distrofia muscolare di Duchenne, che tende a manifestarsi generalmente solo nei maschi. Conoscere anticipatamente il sesso di un feto permette di decidere se procedere con una tecnica invasiva per verificare se la malattia è presente oppure no, che ha senso solo, nel caso della Duchenne, se si tratta di un maschio.
Tuttavia, come detto, negli ultimi 3-4 anni il test del DNA fetale si è diffuso sempre più come esame di screening per le anomalie cromosomiche, in particolare la trisomia 21 e le trisomie 13 (sindrome di Patau) e 18 (sindrome di Edwards). In questi casi però si parla di screening e non di diagnosi, quindi il test non certifica la presenza o l’assenza della malattia, ma valuta il rischio che il feto ne sia affetto.
Il test può essere effettuato a partire dalle 10 settimane di gravidanza (anche se l’ideale è attorno alle 12) e il suo principale vantaggio è che si tratta di un esame non invasivo, perciò non comporta pericoli per la mamma e il feto. Rispetto alla stima del rischio di sindrome di Down, al momento il test del DNA fetale rappresenta l’esame di screening più accurato.
Come detto poc’anzi, la futura mamma si sottopone a un semplice prelievo di sangue. È meglio non anticipare troppo l’esame, perché la quantità di DNA fetale presente nel sangue materno potrebbe non essere sufficiente per il test.
Va detto che il test non può considerarsi sostitutivo di indagini invasive come villocentesi e amniocentesi, che forniscono risposte più esaustive su un numero maggiore di condizioni. In caso di esito positivo, inoltre, il risultato va confermato con un test invasivo.
Tuttavia, nel caso della sindrome di Down, l‘attendibilità è superiore al 99%, con falsi positivi molto rari, come confermato anche dagli studi più recenti in proposito, di cui uno compiuto esaminando un campione di 160 mila donne incinte.
Una precisazione doverosa va fatta: se il test fornisce un risultato positivo, le società scientifiche raccomandano di confermarlo con un esame tradizionale come amniocentesi o villocentesi, prima di valutare una possibile interruzione di gravidanza. Meno rilevante è invece la quota di attendibilità rispetto ad altre anomalie cromosomiche come le trisomie 13 e 18.
Nella gran parte dei casi il test analizza i cromosomi in modo mirato, valutando quello o quelli di interesse, mentre tecniche come amniocentesi e villocentesi, oltre a dare diagnosi e non stime di rischio forniscono uno sguardo all’insieme dei cromosomi fetali. Così, se ci sono altre anomalie rispetto a quelle cercate, amniocentesi e villocentesi permettono di identificarle, mentre il test del DNA fetale non ci riesce.
In ogni caso, l’esame non va assolutamente considerato in alternativa a un’ecografia del primo trimestre di gravidanza, che permette di analizzare in modo accurato l’anatomia fetale e di individuare anomalie che non sono per forza associate ad alterazioni genetiche e cromosomiche.
Anche se il test del DNA fetale da sangue materno può essere utilizzato dalle future mamme indipendentemente che presentino particolari fattori di rischio, mentre se ci sono l’esame può essere considerato come un passaggio intermedio in aggiunta a test più invasivi, prima di prendere una decisione rispetto a quale esame di diagnosi prenatale sottoporsi, i futuri genitori dovrebbero sempre poter effettuare una consulenza genetica, che la aiuti a compiere la scelta più adatta alla propria situazione.
Infine, val la pena sottolineare che il test risulta più attendibile in caso di gravidanze singole, mentre nel caso dei gemelli, pur identificando un’eventuale trisomia, non è in grado di attribuire il dato patologico al gemello corrispondente.
Il test di screening del DNA fetale non è rimborsabile dal parte del Servizio sanitario nazionale e può essere eseguito solo privatamente, o attraverso centri pubblici che si limitano a offrire il servizio, con un costo compreso generalmente tra 600-700 e 1.000 euro.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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