A te che hai avuto un aborto spontaneo: la Festa della Mamma è anche tua. E mia

Cara donna che hai avuto un aborto spontaneo e stai leggendo, vai avanti. Lasciati invadere dal dolore, accettalo, e accetta il fatto che farà parte della tua vita per sempre, ma poi, insieme a lui, prosegui per la tua strada

L’8 maggio è la Festa della Mamma. Con l’avvicinarsi della data anch’io ho ripensato alla prima volta in cui ho visto un test di gravidanza positivo.

Mestruazioni super regolari, mai uno sgarro, e così, al sesto giorno di ritardo, quel giorno di buon mattino, prima di entrare al lavoro, entro al supermercato e compro uno di quei test digitali che, per semplificarti le cose, ti dicono direttamente se sei incinta o no.

Lo faccio in bagno, e nel leggere il risultato, “Incinta 1-2” scoppio a piangere; di felicità, di paura, di un mix di cose non ben spiegabili. Dopodiché mi faccio forza per non lasciar trapelare nulla e aspetto la sera, accogliendo mio marito con la notizia. La prima cosa che gli dico, mentre entrambi siamo in lacrime, è “Ho paura”.

Di non essere capace (ma chi lo è, in fondo?), di tutto quello che ci aspetta, che qualcosa vada storto. Soprattutto che qualcosa vada storto.

Prima ecografia, tutto bene: c’è il sacco gestazionale, tutto va come deve andare. La ginecologa mi spiega le prime cose e mi dà appuntamento per la seconda visita, quando si dovrebbe sentire il battito del cuore.

Nel frattempo, emozionati come non mai, non riusciamo a trattenerci dal dare la notizia ai nostri cari: organizziamo una cena con i nostri genitori e glielo diciamo con una torta, poi con uno stratagemma spiritoso lo diciamo anche ai miei cognati.

Arriva il giorno della visita e io dentro di me sento un insieme di sensazioni, di emozioni che ancora oggi non riesco a definire; mentre mi preparo tremo, il cuore non riesce a darsi pace, il tragitto per raggiungere lo studio della dottoressa mi sembra troppo lungo e troppo corto allo stesso tempo. Non so cosa aspettarmi e contemporaneamente ho paura di quel che mi aspetta.

Entro da sola, mi spoglio, mi sdraio sul lettino per l’eco transvaginale, chiedo se posso tenere il telefono per fare un video da far vedere in seguito a mio marito, lasciato fuori dalle regole anti Covid.

Non c’è battito.

Mi dice.

Per un momento non c’è più battito neanche nel mio, di cuore. Come? In che senso?

Non c’è nulla. Non si sente niente. Solo il vuoto tremendo che quella scoperta mi lascia.

La dottoressa fissa una visita per la settimana successiva; è la routine, per confermare che la gravidanza si sia interrotta. Ma per me non servono conferme, non mi serve aspettare sette giorni per sapere quello che so già. Il mio bambino non c’è.

Il giorno dopo non ho la forza di andare al lavoro, resto nel letto fino al pomeriggio inoltrato e sto bene solo se dormo. Ogni volta che riapro gli occhi vengo investita da mille domande, mille pensieri.

Perché a me?

È colpa mia. Ho fallito.

Ho dato una delusione a mio marito, ai miei genitori. A tutti.

So che razionalmente sono pensieri assurdi, ma in quel momento il cervello non ne vuol sapere, di essere razionale. È lui che ti comanda, e quel che ti fa provare in quel momento è un vuoto talmente grande da convincerti ad abbandonarti, perché tanto la via d’uscita non c’è, non la vedi. Anni e anni di slogan patriarcali che hanno dipinto le “brave donne” solo come quelle capaci di procreare ti spingono a pensare che tu sia un fallimento, che tu abbia procurato un dolore a chi ti sta intorno, tanto da portarti a dimenticarti persino del tuo, di dolore.

E credetemi, non ci sono parole “di consolazione” che tengano. Nei giorni a venire mi sono sentita spiegare dalla mia dottoressa che “È normale, soprattutto alla prima gravidanza”, che “capita spesso”; mi sono sentita dire “Beh, meglio ora che più avanti” e che, anche se non più giovanissima, avrei sempre potuto riprovare.

Ma pensate davvero che queste frasi sortiscano un qualche effetto “rigenerante” su una donna che ha appena avuto un aborto spontaneo? Pensate che in quel momento il fatto di non essere sola, di non essere l’unica ad aver subito quel trauma le risollevi il morale, o che per lei faccia un qualche sorta di differenza, in quel preciso momento, se il feto che porta in grembo smette di vivere a 7, 10 o 20 settimane?

Anche perché, diciamocelo, non è una gara a chi ha sofferto di più, o sopportato più dolore.

Lo sappiamo anche da sole, che la natura è bastarda, che avere un aborto spontaneo è un evento tutt’altro che raro, visto che interessa il 20% delle gravidanze, ma non è quello che vogliamo sentirci dire in quel momento. In realtà, non vogliamo sentirci dire niente, perché già da sole ci diciamo di tutto e di più.

Arriva la Festa della Mamma, a maggio, il mese in cui avrei dovuto partorire, e mi chiedo se in fondo non sia già diventata mamma anch’io, dopo tutto; io, come tutte quelle donne, quel 20% che si è sentita dire “Non c’è battito”. Cos’è che ti rende mamma, mi chiedo? Il poter stringere un figlio tra le braccia, il poterlo vedere, sentire, toccare, o anche solo il pensiero che ci sia, o che ci sia stato?

Non potrò mai dimenticare il mio primo test di gravidanza positivo, anche se per provare a farlo l’ho chiuso in un cassetto che non apro mai. Per settimane non sono stata in grado di vedere video sulla maternità, o di scriverne. Non riuscivo a sopportare la felicità degli altri, lo ammetto.

Non potrò mai neanche dimenticare i primi progetti, le fantasie, le aspettative, perché diciamocelo chiaro e tondo, molto probabilmente tante di noi si sono sentite e si sentono mamme sin dal momento in cui hanno saputo di essere incinte. Non vale per tutte, ma per me è stato così.

Non potrò, ovviamente, mai dimenticare come quelle parole, “NON – C’È – BATTITO”, mi abbiano distrutta, portandomi in una dimensione nuova del dolore, e come da lì abbia dovuto rialzarmi, per non lasciarmi andare. Questa esperienza, però, mi ha insegnato anche una cosa fondamentale.

Ho sempre pensato di poter pianificare tutto, nella mia vita, e che tutto dovesse svolgersi secondo piani regolari: casa, matrimonio, figlio. Ma l’aborto spontaneo è quell’evento che mi ha fatto capire che non tutte le cose della nostra vita le possiamo decidere noi, e che, semplicemente, di fronte a questo tipo di avvenimento siamo del tutto impotenti. Ho dovuto imparare a darmi pazienza, a concedermi tempo, ad aspettare. Ho dovuto imparare che organizzare ogni momento della vita non solo è impossibile, ma neanche giusto.

La Festa della Mamma non sarà, per ovvie ragioni, un giorno come gli altri, e credo che non lo sia per nessuna donna che abbia provato l’aborto spontaneo, indipendentemente dal fatto che abbia altri 2, 3 o 10 figli. Sarà un altro dei giorni in cui non smetterò di pensare a quanto successo, a quello che mi ha lasciato dentro e alla cicatrice che, pur guardando con fiducia al futuro, non potrà mai ricucirsi fino in fondo.

Ma almeno – adesso sì, razionalmente – ho smesso di darmi la colpa, di pensare di aver fallito, e non mi chiedo più “Perché a me?”. Io non sono ciò che mi è successo, io sono una donna a cui è successa una cosa. Che, con fatica e non senza qualche inciampo, sta cercando di superare.

Il dolore non se ne andrà mai, così come il ricordo, e dopo tutto non sarebbe neanche giusto. Ma non posso, e non voglio, lasciare che la mia vita e il mio futuro restino appese a quel giorno, lasciarmi sopraffare dal terrore di provare di nuovo quella sofferenza e permettere ai brutti pensieri di vincere. Mi merito di andare avanti. Ce lo meritiamo tutte.

Quindi, cara donna che hai avuto un aborto spontaneo e sta leggendo, vai avanti. Lasciati invadere dal dolore, accettalo, e accetta il fatto che farà parte della tua vita per sempre, ma poi, insieme a lui, prosegui per la tua strada. La Festa della Mamma, in fondo, è anche un po’ nostra, nonostante tutto.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!