A che età si diventa mamme in Italia? La mappa che divide Nord e Sud
Non c'è un'età giusta per diventare mamme? Di sicuro, le cose vanno molto diversamente al Nord e al Sud Italia. Ecco a che età si diventa madri nella penisola.
Non c'è un'età giusta per diventare mamme? Di sicuro, le cose vanno molto diversamente al Nord e al Sud Italia. Ecco a che età si diventa madri nella penisola.
Nel 2017 sono nati 458.151 bambini, il numero più basso nella storia del Paese. Nell’arco di 3 anni (dal 2014 al 2017) le nascite sono diminuite di circa 45 mila unità, addirittura di 120 mila rispetto al 2008.
Insomma, da qualche anno è ormai chiaro che ci sia una profonda crisi demografica nel nostro paese: colpa della precarietà della situazione economica, di un sistema che non tutela le neomamme dal punto di vista lavorativo, anzi spesso le penalizza, di insicurezze generali che portano le coppie a dubitare circa l’opportunità di allargare la famiglia.
Ma siamo sicuri che la situazione sia la stessa su tutto il territorio della penisola? Se è vero, ad esempio, che sempre meno donne diventano madri prima dei vent’anni, allo stesso tempo dobbiamo domandarci se la cosa valga da Nord a Sud, o se ci siano differenze nella percezione della maternità da un capo all’altro del paese.
Un’inchiesta di Open rivela profonde differenze tra la parte settentrionale e quella meridionale dell’Italia, che rende evidente quanto fattori economici, ma anche culturali e sociali siano estremamente diversi e influenzino di conseguenza le scelte delle donne.
Al Sud e nelle isole, infatti, sono piuttosto alti i numeri di ragazze che restano incinte a nemmeno 19 anni. In generale, il 60% circa delle mamme adolescenti vive nel Meridione, il 16,6% nel Nordovest, il 10% nel Nordest e infine il 12,7% nel Centro Italia.
Quelle portate avanti durante l’adolescenza sono soprattutto frutto di “decisioni inconsapevoli”, come sottolinea Margherita Moioli, responsabile del SAGA , il servizio dell’ospedale San Paolo di Milano che offre assistenza alle giovani madri, prese nella maggioranza dei casi da ragazze provenienti da ambienti socio-economici medio-bassi e con un limitato livello di scolarizzazione.
“Quando si è in situazioni economiche o scolastiche non soddisfacenti o di trascuratezza genitoriale, la gravidanza e la famiglia diventano una questione identitaria – afferma – Diventando mamme, queste ragazze assumono un ruolo sociale che prima non avevano, né con la famiglia né con gli amici. Diventano improvvisamente protagoniste, mentre fino a qualche settimana prima erano invisibili“.
Chiaramente istruzione e occupazione giocano un ruolo fondamentale che incide notevolmente sull’età in cui le donne scelgono di diventare madri. Se andiamo ad analizzare i dati, si vedrà che nelle stesse regioni in cui c’è il più alto numero di mamme under 19 è elevato anche il tasso di abbandono scolastico femminile. Per fare un paragone, in Sicilia il 20% delle ragazze lascia la scuola prima del termine, in Lombardia lo fa solo il 10%.
Allo stesso tempo, coincide il tasso occupazione minore con la maggiore presenza di mamme adolescenti o quasi: a Milano lavorano 7 donne su 10, a Siracusa il tasso si inverte, con 7 su 10 che non hanno un’occupazione.
Secondo la sociologa Heather Rackin, dell’Università della Louisiana, le donne che appartengono alle classi medie urbane hanno un’ampia gamma di interesse e attività che le tiene lontane dalla maternità. E, oltre a questo, è impossibile non citare il fatto che la congiuntura economica, la scarsità di misure che tutelino la maternità, unitamente all’assenza di quelle per la paternità, rendono piuttosto complicato, per chi intende portare avanti la propria carriera professionale, fare una scelta. Perché spesso di questo, purtroppo, si tratta: rinunciare al lavoro (o all’avanzamento di carriera) per la maternità. Una scelta talmente intima e personale che non è giudicabile in nessuna maniera, e su cui ben poco si può dire, se non che nessuna donna dovrebbe essere costretta ad affrontare tale bivio.
Altro aspetto non trascurabile: il gender pay gap, il divario salariale, per cui, di fronte a una gravidanza, è quasi sempre il lavoro femminile a essere sacrificato. Alcuni dati Inps mostrano che, nel 2016, ben 25.000 donne si sono licenziate proprio per l’impossibilità di conciliare lavoro e maternità.
Inutile negare che la concezione di maternità e famiglia risentano ancora fortemente del sistema culturale cui si appartiene. Il concetto è del resto ben espresso dal primario di Ginecologia di Siracusa, Antonino Bucolo, il quale a Open ha detto: “Ben venga questo evento fisiologico! Portare avanti una gravidanza è un evento naturale e un dono di Dio. Speriamo che nel futuro ci siano tante diciottenni impegnate a formare una famiglia, incrementando così la natalità del nostro Paese”.
Ma è altrettanto banale sottolineare che l’età in cui si diventa madri è un fattore che ha un impatto notevole sullo sviluppo e il futuro dei figli. I figli delle madri milanesi, che lo diventano dopo aver raggiunto i propri obiettivi professionali, “Fin da piccoli sono carichi di impegni, super stimolati, devono fare la scuola in inglese e in italiano per crescere bilingui, al pomeriggio però hanno anche tre corsi sportivi perché devono essere eccellenti in tutto“. Lo afferma Stefania Piloni, ginecologa esperta di fertilità di Milano. Il rischio di overloaded, e soprattutto di perdere contatto con il senso della genitorialità e della famiglia, è dietro l’angolo.
Legato a questo aspetto, però, ce n’è un altro: secondo i dati raccolti dal SAGA, i figli di genitori adolescenti hanno maggiori probabilità di diventare a loro volta madri e padri adolescenti. Secondo l’esperienza del centro, inoltre, essere figli di madri adolescenti aumenterebbe nei bambini i rischi di ritardi nello sviluppo cognitivo, linguistico e motorio, nonché difficoltà di apprendimento e maggiori probabilità di abbandono scolastico. Per questo, afferma Moioli, è di fondamentale importanza che “le scuole diano una mano: devono essere strutturate per concedere una pausa a una ragazza che ha una gravidanza in corso e poi un bambino. Uno stand-by scolastico eviterebbe il problema dell’abbandono“.
Tra tutti gli scenari critici a cui può portare l’adolescenza, l’assunzione di sostanze, i disturbi alimentari o i tentativi di suicidio, la gravidanza è uno dei pochi risvolti verso la vita e non verso la conclusione della vita. Ma se le giovani donne non vengono raccolte e accolte in questa fase, la speranza data da una nascita può ritorcersi contro loro stesse e il bambino.
Che fare allora? È chiaro che, stando così le cose, sembrano necessarie delle strutture di supporto più accessibili e diffuse, al fine di canalizzare il desiderio di riscatto sociale e rinascita che spesso sottende dietro una gravidanza precoce. Per il resto, a 20 o 30 anni, nessuno nasce madre. Sono cose che si imparano, sempre ammesso che la maternità rientri nei piani di una donna. Cosa che non sempre accade.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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