Che cos'è il Pavor nocturnus nei bambini?
Avete mai sentito parlare del pavor nocturnus? È un fenomeno non patologico diffusissimo nei bambini, da non confondersi con sonnambulismo o incubi. Ecco perché.
Avete mai sentito parlare del pavor nocturnus? È un fenomeno non patologico diffusissimo nei bambini, da non confondersi con sonnambulismo o incubi. Ecco perché.
Sappiamo perfettamente che i bambini, soprattutto durante il sonno, possono essere colpiti da improvvise crisi di pianto, al punto da urlare fortissimo e far correre i genitori terrorizzati al loro lettino. Non sempre le cause di questi strani comportamenti sono da ricercarsi negli incubi, non è raro che il piccolo abbia avuto un attacco di pavor nocturnus, una perturbazione assolutamente non patologica del sonno, ma che ovviamente desta letteralmente terrore nel piccolo che la accusa.
Vediamo meglio di che si tratta.
Il pavor nocturnus può essere tradotto in italiano come terrore notturno, o terrore nel sonno, e, alla pari del più noto sonnambulismo, rientra nelle cosiddette parasonnìe, che sono appunto quelle perturbazioni non patologiche del sonno. È piuttosto frequente nei bambini, soprattutto fra i maschi, circa il 3% ne soffre, è un po’ ricorrente nelle bambine; di solito compare fra i due e i 12 anni, e scompare in adolescenza; non ha alcun significato patologico, né alcuna causa patologica, neurologica, psicologica, affettiva, relazionale, né tantomeno alcuna conseguenza immediata o negli anni successivi; si verifica durante il sonno profondo, di solito nel primo terzo della notte, e lascia amnesia parziale o totale.
È ragionevole che i genitori dapprincipio, ancora all’oscuro del disturbo, siano preoccupati, perché le crisi di pavor nocturnus sono davvero impressionanti: il bambino infatti grida, con gli occhi sbarrati, a volte serrati, con una forte attivazione del sistema nervoso autonomo: suda, ansima, è pallido, a volte paonazzo, ha le pupille dilatate, il respiro corto e frequente, mentre la sua frequenza cardiaca e il suo tono muscolare aumentano. Può anche perdere l’urina. Si agita in movimenti scomposti, irrigiditi, grida, piange, letteralmente in preda al terrore. Non è contattabile con i gesti, né con le parole, anzi, se gli si parla, se viene toccato o abbracciato, il terrore può aumentare.
In alcuni casi, il piccolo può anche alzarsi dal letto e camminare per casa urlando terrorizzato, ma questo atteggiamento non è da confondere con il sonnambulismo, poiché, a differenza di quest’ultimo, nel terrore notturno sono presenti sudorazione, battito cardiaco accelerato, tremore, rossore ed espressioni di terrore.
Non può neppure essere confuso con un incubo, dato che la crisi, che si verifica con una frequenza variabile, irregolare, non prevedibile (può succedere anche una sola volta nella vita), avviene in una fase di sonno non-REM, o sonno profondo, quindi non durante un sogno, che invece arriva solo nelle fasi di sonno REM.
Dunque non è un incubo, in cui invece gioca un ruolo estremamente importante la componente psicologica del bambino: l’ansia, le preoccupazioni, lo stress e le esperienze quotidiane “negative” (come la visione di un film pauroso, l’assistere a una lite dei genitori, l’assistere o essere vittima di violenza), segnano infatti il suo vissuto emotivo, incidendo negativamente sui contenuti dei sogni, dando luogo appunto all’incubo. In questo caso, a differenza dei terrori notturni, l’episodio si presenta nelle ultime ore di sonno, provoca un risveglio cosciente e, il mattino seguente, il soggetto ricorda sia l’episodio di risveglio, sia il contenuto del sogno.
Pavor nocturnus e incubo, quindi, sono due fenomeni distinti, che richiedono interventi altrettanto diversificati. Di solito la crisi dura appena pochi minuti, ma anche da 10 a 30 minuti. Alla fine il bambino torna a dormire profondamente, totalmente ignaro di ciò che sia successo. In realtà, continua a dormire nel suo sonno profondo, che non si è mai interrotto durante la crisi. Al mattino non ricorda nulla, perché nella crisi non era consapevole. Se viene svegliato, può ricordare qualcosa, ma i ricordi sono effettivamente legati più alla fase del risveglio che non al momento della crisi vera e propria.
Come abbiamo detto il terrore nel sonno non è espressione di disturbi neurologici, né di disturbi affettivi, né di disturbi relazionali, e non è un attacco di panico: si tratta semplicemente del risultato di un’attivazione del sistema limbico (ovvero il gestore delle emozioni), probabilmente dell’amigdala, che si realizza non in conseguenza di esperienze vissute. Tuttavia è stata riscontrata la presenza di una elevata componente genetica: i bambini i cui familiari hanno sofferto di terrori notturni o di altre parasonnie, hanno infatti un rischio molto più alto di sviluppare il disturbo. Oltre alla componente genetica, la presenza di alcuni fattori come apnee notturne, asma, reflusso gastroesofageo, insonnia e deprivazione di sonno, può contribuire all’insorgenza dei terrori notturni.
Ci sono inoltre anche dei fattori psicologici da tenere presente: nei soggetti predisposti, la componente psicologica può infatti giocare un ruolo soprattutto in relazione al livello di stress a cui il bambino è sottoposto nella sua quotidianità. Nel caso in cui, ad esempio, esista la presenza di fattori predisponenti (come la familiarità) e il bambino stia attraversando un periodo di forte stress, quest’ultimo può essere un fattore scatenante dell’insorgenza del disturbo. Ma altri fattori psicologici possono riguardare le possibili preoccupazioni e le ansie riguardo al disturbo stesso: per questo motivo è sconsigliato raccontare al bambino cosa è accaduto durante la notte.
Come abbiamo detto, lo stato emotivo del bambino è molto importante, dato che la presenza di condizioni che possono favorire un risveglio dal sonno profondo, come ansia ed eccitazione, ma anche un rumore improvviso, la vescica piena, eccetera, possono essere fattori scatenanti.
Nel caso in cui la frequenza degli episodi sia minore di una volta a settimana e i comportamenti del bambino non lo mettano a rischio di incidenti, i genitori possono adottare misure semplici come, ad esempio, assicurare al bambino una corretta igiene del sonno (fare in modo che gli orari di addormentamento e di risveglio si mantengano regolari), ridurre lo stress quotidiano, non svegliare il bambino durante un episodio di terrore notturno, ma provare piuttosto a tranquillizzarlo con un tono di voce basso e accarezzandolo dolcemente.
Devono inoltre evitare di raccontare al bambino ciò che è accaduto durante la notte, dato che ciò potrebbe preoccuparlo maggiormente e aumentare l’ansia. Chiudere poi l’accesso a porte e scale e rimuovere gli oggetti che potrebbero essere pericolosi, nel caso in cui il bambino si alzasse.
Possibile che non ci sia mai la necessità di rivolgersi a un professionista? Generalmente, lo abbiamo detto, il disturbo non deve destare particolare preoccupazione perché è tipicamente pediatrico, e scompare nel tempo senza che siano necessari interventi specifici. Tuttavia, può rivelarsi opportuno consultare un professionista quando gli episodi si presentano più volte a settimana e/o il comportamento notturno del bambino mette a rischio la sua incolumità. In questi casi, il trattamento maggiormente indicato prevede l’adesione a un programma comportamentale di una o più settimane, che consiste nella programmazione di risvegli notturni finalizzati a modificare i fattori fisiologici che sottendono il disturbo. È una strategia comportamentale molto efficace, implementata ad hoc da un esperto, il quale guida i genitori nell’applicazione del protocollo in ogni sua fase. Solo in casi rari può essere ritenuto necessario un trattamento farmacologico.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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