Bitest: quando e perché farlo
Fra gli esami di screening prenatale, il bitest è certamente uno fra i meno invasivi: con un semplice prelievo di sangue, infatti, può fornire indicazioni preziose sul feto.
Fra gli esami di screening prenatale, il bitest è certamente uno fra i meno invasivi: con un semplice prelievo di sangue, infatti, può fornire indicazioni preziose sul feto.
Oggi, fortunatamente, grazie agli esami di screening prenatale è possibile capire in anticipo, o almeno calcolare, con ampie possibilità di individuare la diagnosi corretta, le probabilità che il feto soffra di patologie o di anomalie cromosomiche, come, per esempio, la trisomia 21, o sindrome di Down, così da offrire un quadro della situazione clinica ai futuri genitori, i quali perciò potranno poi avere l’opportunità di decidere se proseguire la gravidanza o interromperla.
Fra i test di screening prenatale figurano anche il bitest, il tritest e la translucenza nucale, i quali appunto forniscono con alta attendibilità la percentuale di rischio di alcune anomalie cromosomiche, sin dalle prime settimane di gestazione. I risultati evidenziati da questi esami possono poi successivamente essere confermati o smentiti dai test diagnostici più invasivi, come la villocentesi e l’amniocentesi.
Come si differenziano questi due esami importantissimi? La translucenza nucale consiste nella misurazione, tramite ecografia, dello spessore di una falda di liquido minuscola posta fra la cute e la colonna vertebrale del feto, proprio a livello della nuca, che si presenta solo dall’undicesima alla quattordicesima settimana di gestazione. Proprio in questo periodo viene effettuato l’esame, essendo il momento in cui la falda è maggiormente spessa e meglio visibile. Associare l’esame della translucenza nucale a un’ecografia precoce è fondamentale affinché il test sia attendibile: infatti, se ci sono già anomalie fetali visibili così precocemente, il rischio che si sviluppino anomalie cromosomiche è in ovvio aumento.
I risultati della translucenza, infatti, non forniscono una diagnosi sicura, ma certamente pongono seri dubbi sul fatto che il feto possa presentare un difetto cromosomico: maggiore è lo spessore della translucenza nucale, infatti, maggiore è anche il rischio di anomalia. Rispetto ad altre indagini non invasive, fra cui il bitest di cui a breve ci occuperemo, questo esame fornisce anche indicazioni preziose per quanto riguarda le cardiopatie congenite, per le anomalie scheletriche e per alcune sindromi genetiche.
Se eseguita secondo le regole della Fetal Medicine Foundation, la translucenza nucale ha un’attendibilità pari a circa l’80%, ma, se abbinata al bitest, questa può aumentare del 5-10%, raggiungendo quindi il 90-95%.
Tramite il bitest, ottenendo un campione di sangue materno con un semplice prelievo di sangue, vengono dosate due sostanze: il famoso BhCG, la gonadotropina corionica, e la plasmaproteina A (PAPP-A, Pregnancy-Associated Plasma Protein, ovvero plasmaproteina A associata alla gravidanza), normalmente prodotte dall’unità feto-placenta.
Anche il bitest, come la translucenza nucale, viene eseguito generalmente a cavallo tra l’undicesima e la tredicesima/quattordicesima settimana, e l’esito si ha nel giro di 3 o 4 giorni.
È stata studiata l’associazione con la sindrome di Down, che rappresenta l’anomalia cromosomica presente alla nascita più frequente: un aumento della BhCG e una diminuizione della PAPP-A sono considerati indice di un aumentato rischio di sindrome di Down.
Il risultato del bitest è un indice di rischio espresso come percentuale o frazione (ad esempio 1/1.500): quando il valore è inferiore rispetto al valore soglia che il laboratorio fornisce, solitamente 1/250 (1 su 500 secondo l’NHS britannico), l’esame viene considerato negativo, mentre valori superiori alla soglia sono considerati positivi e suggeriscono il ricorso ad approfondimenti come l’amniocentesi. Il bitest consente di identificare l’85% dei feti affetti da trisomia 21, con un margine del 5% di falsi positivi, ovvero di campioni individuati come patologici ma che in realtà non lo sono.
Questi esami hanno un rischio molto basso di aborto spontaneo, attestato a circa l’1%, ed è per questo che, soprattutto nelle donne più giovani, il ricorso a test di screening privi di rischi è generalmente considerata una scelta ottimale considerando il rapporto rischio-beneficio.
Il costo della translucenza nucale varia naturalmente a seconda del centro cui ci si appoggia, ma in generale oscilla tra i 70 e i 250 euro, se si ricorre al privato, tuttavia l’esame è riconosciuto e offerto anche dal Sistema Sanitario Nazionale, sottoposto al ticket del SSN, con importo variabile da regione a regione, ma che generalmente può spaziare dagli 80 ai 100 euro. Idem per il bitest, anch’esso sottoposto a ticket regionale, mentre se ci si rivolge ai centri privati si può spendere una cifra che può aggirarsi tra i 70 e i 150 euro.
Giornalista, rockettara, animalista, book addicted, vivo il "qui e ora" come il Wing Chun mi insegna, scrivo da quando ho memoria, amo Barcellona e la Union Jack.
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