“Nessuno nasce imparato” è un vecchio adagio popolare che, per quanto “antico”, si dimostra sempre valido, anche quando si parla di genitorialità. Perché non esiste uomo o donna al mondo che si ritrovi padre o madre e sappia svolgere questo ruolo alla perfezione, senza incappare in errori più o meno banali o senza aver bisogno di chiedere consiglio, supporto e, molte volte, aiuto a chi ha già vissuto questa esperienza, generalmente in primis i propri stessi genitori.

Essere madre o padre non è qualcosa di strettamente connaturato all’essere uomo o donna, e quando talvolta, nei discorsi fra amiche, si fa riferimento all'”istinto materno” delle donne (e a quello paterno, ovviamente) la sua presunta presenza o assenza non va affatto considerata come un criterio per parlare di “buone o cattive madri”, né, tantomeno, per garantire la certezza di una preparazione e di una competenza in quel ruolo che si può naturalmente acquisire solo con il tempo, la pazienza, l’esperienza.

Eppure, nel complicato universo dei genitori, sembra esistere netta e lampante la divisione tra due categorie di mamme: quelle che si mostrano comprensive e disponibili verso la donna catapultata improvvisamente in un universo del tutto nuovo, fatto di cose da imparare, da gestire, da organizzare, e quelle che invece sembrano vivere la maternità come una sorta di competizione, di gara di bravura da concorso di scienze delle scuole medie, che devono primeggiare nell’essere madri e, solitamente, cercano di riuscirvi mortificando gli sforzi e le mancanze, assolutamente naturali, delle altre.

Ne ha parlato Chiara Ferragni, ospite della puntata di E poi c’è Cattelan a teatro, una che di pregiudizi, critiche e cattiverie ne sa qualcosa. Anche e soprattutto ora che è mamma di Leone, e che vede le sue scelte da madre puntualmente messe in discussione da quell’esercito di mamme che lei – e molti altri, specialmente sui social – chiama “pancine”.

Quelle, appunto, non solo per cui la maternità è lo zenit della realizzazione femminile, il punto più alto cui una donna possa ambire e il solo completamento possibile del proprio essere, ma anche che vivono il rapporto con le altre madri con quell’aria di superiorità nemmeno vagamente celata e con l’unico scopo dichiarato di far sentire le “concorrenti” sbagliate, inadeguate. Non madri, in sostanza.

Ha ragione, Chiara, quando dice che esistono due categorie ben distinte, quelle che ti supportano e quelle che cercano di distruggerti psicologicamente.

Il problema – posto il fatto che l’argomento in discussione non sia il ritenere o meno che la maternità sia la realizzazione massima cui una donna può e debba aspirare, dato che ciascuna, in merito e fortunatamente, ha la propria visione della cosa – è che la scelta di un parto o di un altro, dell’epidurale o meno, di allattare artificialmente o al seno, persino di scegliere se continuare a lavorare o se fare la mamma a tempo pieno, non sono criteri validi e sufficienti per parlare di “buone o cattive madri”, né per farci sentire “più o meno brave” rispetto ad altre. Che avranno scelto il proprio percorso, e preso determinate decisioni, in merito a una propria, personalissima e sacrosanta visione della maternità, della vita da genitore ma, più in generale, anche della vita stessa, e non hanno il diritto di essere giudicata da nessuna “pancina” scesa sulla Terra per indottrinarci sulla retta via della genitorialità.

Ha ragione Chiara Ricchiuti, in questo articolo, quando parla di faide tra mamme e delle imposizioni che, a differenza dei consigli, indispensabili e per cui nessuna donna si deve vergognare se ha bisogno di chiederli, sono deleterie e puntano solo a sfiduciare la neo mamma, a farla sentire impreparata, inadatta al ruolo… Sbagliata.

Eppure da quando una mamma è incinta o partorisce non fa altro che riceverne: critiche, consigli, giudizi, imposizioni: ‘Se piange lo devi lasciare giù, non prenderlo in braccio’; ‘Non gli devi MAI dare il latte artificiale, devi allattarlo al tuo seno’; ‘Non farlo uscire almeno il primo mese di vita, il bambino deve stare a casa! e potrei continuare ancora per lungo…

Siamo in un universo al confine tra il desiderio di criticare per il gusto di farlo e la saccenza manifesta di chi, dimenticando probabilmente di aver indossato gli stessi panni della neo mamma, di aver vissuto le medesime paure e sperimentato le stesse incertezze, vuol dare sfoggio di un’onniscienza che irrimediabilmente non esiste. Perché il mondo della genitoralità è talmente complesso, ricco di sfumature e di cose da imparare che nessuno ha la chiave di volta per dissipare i dubbi, per risolvere i problemi, per semplificare il ruolo. Nessuno.

Alla fine, ogni madre o padre dovrebbe solo poter vivere serenamente la nuova vita da genitore sentendosi assolutamente libero di chiedere aiuto laddove se ne abbia bisogno, senza l’oppressiva sensazione di sentirsi in colpa se deve preparare il biberon con il latte prima di scappare al lavoro, o di essere un pessimo genitore perché lascia piangere il bambino nella culla per più di due minuti. E nessuno, “pancine” incluse, dovrebbe prendersi il diritto di far sentire sbagliati gli altri, imparando piuttosto il valore del rispetto, dell’empatia e della solidarietà, a prescindere che i percorsi scelti si condividano o meno.

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