È conosciuta come “malattia del bacio”, perché proprio attraverso la saliva si trasmette, ma è una delle malattie infettive più frequenti nei bambini e adolescenti: solo che, mentre nei più piccoli spesso è asintomatica e passa inosservata, nei più grandi i disturbi possono essere rilevanti.

La mononucleosi è un’infezione provocata da un virus della famiglia dei virus herpetici (l’Epstein Barr, o HBV) che si diffonde appunto attraverso le goccioline di saliva emesse parlando. Non è però il bacio l’unico mezzo che veicola il contagio: può infatti essere trasmesso anche bevendo alla solita lattina, ad esempio, o dalla medesima cannuccia.

La mononucleosi è comunque un’infezione benigna che si risolve nel giro di una decina di giorni circa, grazie al sistema immunitario, e solo raramente può dare complicanze. L’ingrossamento dei linfonodi è proprio la spia della reazione dell’organismo all’aggressione del virus: qui si trovano infatti i linfociti B, i globuli bianchi che, allertati dalla presenza dell’agente estraneo, si moltiplicano per arrestarne l’avanzata. Contemporaneamente il sistema immunitario comincia la produzione di anticorpi, le sostanze di difesa specifiche che, una volta annientato il virus, rimangono donando un’immunità permanente.

Come detto, non sempre la mononucleosi presenta sintomi, infatti solo il 5-10% di coloro che la prendono ne mostrano di evidenti, circa il 10% mostra disturbi vaghi, soprattutto mal di gola e macchioline sulla pelle. L’infezione si manifesta prevalentemente a partire dall’età dell’asilo in poi, con un picco nell’adolescenza che raggiunge il suo massimo tra i 15 e i 24 anni, mentre è più rara sotto i 2 anni e dopo i 40 anni.

I sintomi della mononucleosi nei bambini

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Fonte: web

Più è piccolo il bambino, meno evidenti sono i sintomi, che invece si fanno più manifesti man mano che si cresce.

I sintomi sono, nei primi 7-15 giorni, quelli tipici dell’influenza, come malessere generico, stanchezza, svogliatezza, mal di gola, mal di pancia, nausea e mal di testa, cui si può accompagnare una leggera febbre, con sudorazione e brividi. In un secondo momento fanno la loro comparsa i sintomi più tipici della malattia:

  • l’infiammazione della gola, con piccole chiazze rosse sul palato;
  • l’ingrossamento e la presenza di secrezioni sulle tonsille, che somigliano alle placche della tonsillite e che rendono difficile e dolorosa la deglutizione;
  • la febbre alta, sui 38-39°, nella fase più critica della malattia;
  • l’ingrossamento delle ghiandole del collo e, più raramente, di altre sedi, come ascelle e inguine;
  • in pochi casi (circa il 10%) può comparire anche un esantema simile a quello del morbillo, collegato all’assunzione di un certo tipo di antibiotico, l’amoxicillina: se compaiono queste chiazze su tutto il corpo si ha un segnale in più del fatto che si tratti effettivamente di mononucleosi.

Negli adolescenti si può presentare la splenomegalia, ovvero la milza ingrossata, o l’epatomegalia (l’ingrossamento del fegato); meno di frequente, ci può essere gonfiore alle palpebre.

Contagio e durata della mononucleosi nei bambini

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Come detto, la durata dell’infezione è di circa 10-15 giorni nei bambini, un mese o poco più negli adulti. Il bacio è il canale di trasmissione preferenziale, essendo il virus veicolato dalle goccioline di saliva, a esso può avvenire anche attraverso tosse e starnuti, oppure con la condivisione di bicchieri, posate o rossetti usati da un soggetto infetto.

La cura della mononucleosi nei bambini

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Fonte: web

Per curare la mononucleosi nei bambini la parola d’ordine è anzitutto riposare; dopodiché, sono sufficienti gli antipiretici a base di paracetamolo per abbassare la febbre e i collutori antisettici per ridurre il mal di gola. È inoltre molto importante che il bambino beva, per contrastare la disidratazione indotta dalla febbre. Se la deglutizione è difficile, sono permessi cibi freschi e di consistenza morbida.

Come detto, la mononucleosi può condurre all’ingrossamento della milza, soprattutto tra gli adolescenti: il consiglio è quindi di evitare gli sport che implicano un contrasto fisico per almeno un mese dopo la guarigione, dato che eventuali traumi possono provocarne la rottura.

Per distinguerla da una tonsillite batterica, infezione che va curata con gli antibiotici, inutili invece per una malattia virale, il medico può effettuare esami specifici, ad esempio far eseguire un tampone orofaringeo, ovvero il prelievo di un piccolo campione dell’essudato delle tonsille che identifica se l’agente in questione è lo streptococco. Ci sono poi il monotest che scopre se ci sono anticorpi eterofili, le IgM, un indice di infezione recente che confermano l’infezione in atto, e le IgG, indice di infezione pregressa.

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