"La mia salute mentale da genitore di un figlio disabile"
Come si sente chi è genitore di un figlio disabile? La testimonianza di una donna che affronta il suo compito da super mamma con il sorriso sulle labbra e tanta ironia
Come si sente chi è genitore di un figlio disabile? La testimonianza di una donna che affronta il suo compito da super mamma con il sorriso sulle labbra e tanta ironia
Jen Franklin Kearns è madre di tre figli ed è dotata di grande sarcasmo. Quando non è impegnata a portare i piccoli a scuola o alle lezioni di sport, ama raccontare la sua vita e soprattutto quello che si prova a essere genitore di un figlio disabile, nel suo caso affetto da sindrome di Down. Un’esistenza fatta di sacrifici e soprattutto di grande stress fisico e mentale, che lei ha scelto di affrontare con il sorriso sulle labbra. Per questo ha raccontato a The Mighty la sua esperienza, che vi riportiamo nella nostra traduzione non professionale in italiano.
Essere genitori è una sfida. Non importa quante foto felici pubblichiamo on line, sappiate che in qualche modo, a volte, tutti abbiamo uno o più problemi nel crescere un figlio. A volte si tratta di qualcosa di passeggero, ma capita a chiunque. Questa è la realtà di essere genitori.
Crescere un figlio disabile sicuramente rende la sfida più dura.
La disabilità di mio figlio mi mantiene sempre all’erta. Non c’è un momento in cui io non pensi a lui o a qualcosa che lo riguarda. Aggiungete tutti tipici pensieri da madre esausta, che passano quotidianamente nella testa, e avete qualcosa del tipo:
Sta bene?
Si sente capito?
Ho spostato gli appuntamenti dal dentista?
Si sta comportando bene a scuola?
Devo smetterla di sfogarmi con il cibo.
Mi sto battendo abbastanza per lui?
Ho tolto qualcosa dal freezer per cena?
Dove ho messo quei moduli?
Devo cancellare un po’ di foto dal telefono.
Dovrei richiedere un altro incontro?
Cosa potrei fare per far sentire gli altri miei figli considerati e importanti?
Prima o poi tornerà a dormire nella sua stanza?
Che giorno è oggi?
Spero tanto che nessuno abbia sentito la parolaccia che mi è sfuggita al supermercato.
Spesso questi pensieri mi assalgono improvvisamente, nel giro di due minuti. Fino a farmi girare la testa. Ma, dopo 13 anni, mi sono abituata e sostenere un carico di stress elevato, sempre. Di solito riesco a gestirli, ma ogni tanto diventa palese come gestire tutto lo stress di essere genitore di un figlio disabile possa compromettere la mia salute mentale.
Sono stanca, frustrata per i problemi che non si possono risolvere abbastanza velocemente e finisco per mettere me stessa all’ultimo posto delle cose che necessitano di attenzione. Le email si accumulano, metto su peso (perché mangiare cupcake è più divertente che elaborare i miei sentimenti), le relazioni vengono messe da parte. Rendersi conto di tali conseguenze aggiunge ulteriore stress a quello già accumulato, creando un ciclo terribile di “bleah”.
Le madri di solito non sono brave nel mettere i loro bisogno davanti a quelli dei loro figli e, da quanto ho potuto osservare, nella comunità dei genitori con un figlio disabile è ancora più vero. C’è troppo lavoro da fare, così continuiamo a correre. So di aver bisogno di una pausa, però. So di aver bisogno di aiuto per concedermela. Ma cercare di cambiare le cose è uno sforzo troppo grande, nella mia lista di doveri, allora mi adeguo. Buttandomi su molti cupcake, ovviamente. Certo, non è quella la soluzione, nemmeno a breve termine. So che, prima o poi, dovrò rallentare e risolvere i miei problemi per diventare il genitore che la gente crede che io sia. Ho bisogno di imparare a respirare, rilassarmi e finire di leggere i libri iniziati prima di metterli via perché c’è qualcosa che ha attirato la mia attenzione. Ho bisogno di riscoprire le attività che amavo fare prima di ricevere la fantastica responsabilità di crescere un figlio disabile. Ho bisogno di prendermi cura di me stessa.
Fino ad allora, continuerò a postare foto felici, non perché voglia ingannare qualcuno, ma perché mi dà gioia nei giorni in cui non ho tempo per fare cose per me stessa. Ci sto lavorando, proprio come tutti gli altri.
Web content writer e traduttrice. Parlo poco, scrivo tanto e cito spesso Yeats.
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